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Emanuele Giordana, redattore de L’atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, attualmente a Bangkok, ci lancia alcuni messaggi vocali dalla linea di faglia che percorre il Myanmar sino alla Thailandia. La trascrizione è di Giordano Cavallari.
- In quale momento della guerra civile del Myanmar, di cui ci avevi parlato sopraggiunge questo terremoto?
Questo disastro arriva a quattro anni dal colpo di stato e quindi di guerra civile, nel momento in cui il controllo militare della giunta è ridotto al 20% circa del territorio, e continua a diminuire. Peraltro, parlare di controllo militare non significa affatto consenso da parte della popolazione interessata.
La zona in cui la giunta sta ripiegando all’avanzata delle forze della resistenza è quella abitata dalla comunità Bamar la principale del Paese. Ed è proprio la zona attraversata dalla direttrice nord-sud più violenta del sisma: dal Sagaing birmano giù sino a Bangkok in Thailandia, dove mi trovo.
- Quali sono le città maggiormente popolate e colpite?
Dalle immagini, Mandalay risulta la città con le maggiori distruzioni, ma anche la capitale Naypyidaw è gravemente colpita; in misura minore, Yangon. Ma è tutta la popolazione del Sagaing, ove si è collocato l’epicentro del sisma, a soffrire enormemente.
- Quali testimonianze stai raccogliendo?
Da operatori delle ONG che si trovano nella zona, so che il problema umanitario è diffuso nelle campagne. Se è vero, infatti, che le città sono sotto gli occhi con i grandi crolli dei grattaceli e dei palazzi più importanti – mentre nelle campagne le case sono basse ed è morta meno gente − è altresì vero che i soccorsi arrivano quasi esclusivamente nelle grandi città, mentre i villaggi restano isolati e, in pratica, abbandonati al loro destino.
Mi dicono che nelle campagne manca l’acqua potabile, manca il cibo, mancano i medicinali, mancano le cure per i feriti e i malati…
- La giunta sta facendo il possibile per soccorrere la popolazione?
C’è un problema non da poco: l’utilizzo politico degli aiuti nella catastrofe. È una storia che si ripete. Ci sono precise testimonianze: la giunta militare sta impedendo che gli aiuti umanitari internazionali arrivino nelle zone della resistenza.
La maggiore difficoltà non è, ad oggi, l’arrivo degli aiuti nel Myanmar, bensì la loro distribuzione capillare secondo i bisogni, ossia in che modo e per chi avviene la distribuzione. La comunità internazionale dovrebbe farsi maggiormente responsabile. Noi giornalisti cerchiamo di fare la nostra parte.





