
Una controversa decisione relativa alla lavra delle Grotte (Kiev) e le denuncia internazionale delle violenze anti-religiose dei russi nei territori occupati: sono due elementi delle recenti vicende ucraine.
Il 5 marzo il ministero della cultura ha creato una commissione incaricata di verificare le centinaia di reliquie custodite nel prestigioso complesso monastico della Grotte di Kiev. Compito della commissione, che terminerà il suo lavoro entro maggio, è quello di verificare i resti dei santi custoditi nelle tombe e nei sacrari e determinarne il valore storico e scientifico. Nel caso in cui si trovassero oggetti catalogabili come beni culturali, essi saranno annotati alla fine del rapporto conclusivo. Le informazioni raccolte non saranno diffuse se non in contesti scientifici. A capo del gruppo di lavoro ci sarà Vladimir Shornikov, direttore del dipartimento per la conservazione del patrimonio nazionale, che ne risponderà direttamente al ministro.
La quiete dei morti
In un paese devastato dalla guerra di aggressione russa può sembrare una decisione del tutto marginale se non richiamasse la memoria sinistra delle violenze e delle persecuzioni anti-religiose perseguite dal potere comunista sovietico.
La profanazione dei resti umani dei santi della tradizione ortodossa appartiene fin dal 1918 all’orientamento del potere dittatoriale. Celebre il caso di Sergio di Radonež, uno dei santi più onorati, i cui resti furono violati ed esposti nel 1920 per denunciare la “superstizione medioevale” del popolo ignorante.
Un anno prima, a Vladimir, una folla di contadini bloccò il treno che trasportava al museo dell’ateismo i resti dell’eremita Alessandro di Svir.
Nel 1926 le autorità comuniste decisero il cambio di indirizzo della lavra delle Grotte di Kiev, da luogo di devozione a museo storico dell’ateismo. I resti dei santi custoditi nell’ampia area cimiteriale vennero esposti e trasformati in “percorsi educativi”, forzosamente sottratti al culto e alle devozioni. Negli anni ’30 alcuni resti vennero raccolti in scatoloni e depositati nel fondo del museo e altri scomparvero. Per riapparire solo dopo il crollo del regime.
L’attuale decisione del ministro della cultura, seppur lontanissima dalla volontà ideologica anticristiana del regime comunista, ha rinnovato con scarsa sapienza quella dolorosa memoria, dando spazio alle proteste.
Per il cancelliere della Chiesa ortodossa (“filo-russa”), il vescovo Antonio, è la prova della persecuzione verso la Chiesa del metropolita Onufrio e «ripete esattamente le azioni del regime comunista ateo».
L’avvocato R. Amsterdam, che rappresenta la Chiesa nelle sedi internazionali, ha denunciato la profanazione, sponsorizzata dallo stato, di un luogo che, da mille anni, è un centro di culto e di preghiera.
Le persecuzioni dei russi
Di altro spessore e peso la repressione e la persecuzione perseguite dalle autorità russe nei territori ucraini occupati. In particolare: Crimea e le aree del Donbass (Donetsk, Lugansk, Zaporijia e Kherson).
In uno studio apparso su Novaya Gazeta Evropa si denuncia la scomparsa di centinaia di comunità religiose, ridotte da 1.967 a 902. Le chiese e i siti religiosi distrutti o gravemente danneggiati sono 326 nei territori occupati. Violando le leggi internazionali, in alcuni edifici religiosi i russi hanno collocato istallazioni militari. In particolare nell’area di Kherson sono state duramente colpite 38 parrocchie (su 193) che facevano riferimento alla Chiesa del metropolita Onufrio e 18 (su 35) che dipendevano dal metropolita autocefalo Epifanio. Anche il 40% delle comunità cattoliche è stato colpito.
Gli edifici scampati alla distruzione sono stati forzosamente affidati alla Chiesa ortodossa russa, in perfetta coincidenza con la “russificazione” dell’amministrazione civile. Non ci sono più parrocchie che fanno riferimento alla Chiesa ucraina autocefala.
Nel rapporto della commissione statunitense sulla libertà religiosa (2025) si denunciano «gravi violazioni della libertà religiosa contro gli ucraini». Alcuni dei pope e dei sacerdoti rapiti e sottoposti a tortura sono poi ritornati in Ucraina, ma il rapporto evidenzia l’uccisione dal sacerdote Stephan Podolchask e la scomparsa di alcuni sacerdoti di obbedienza autocefala.
Un altro prete, Kostiantyn Maksimov, è stato condannato a 14 anni di carcere con l’accusa di spionaggio, in realtà perché si è rifiutato di trasferire la propria parrocchia sotto l’obbedienza del patriarcato di Mosca.
Gravi violazioni dei diritti umani sono denunciate anche dalla Corte europea dei diritti, anche nei confronti dei musulmani tartari di Crimea. Nel rapporto statunitense si annota, con qualche preoccupazione, anche l’approvazione della nuova legge religiosa in Ucraina per il suo effetto repressivo sulla Chiesa ortodossa “filo-russa” di Onufrio.





