
Mount Calvary (William H. Johnson).
Nei racconti dell’ultimo giorno passato tra noi il Vangelo rimane fedele alla strategia narrativa con cui aveva intessuto la vicenda di Gesù fin dalle prime pagine. Una strategia pensata per la comunità a venire, che quelle pagine le leggerà nel corso dei secoli – fino al giorno del compimento del desiderio di Dio.
Una strategia che la Chiesa fatica a sentire rivolta a sé, quasi occultandola nella luce del giorno di Pasqua. Pensando che quest’ultima la affranchi per sempre da quello che non vuole e non sa ricordare.
La scena che va dall’ultima cena alla croce è la scena del tradimento e della scomparsa della comunità apostolica. Incapace di seguire il suo Signore nell’ora della verità del messia che Dio ha mandato a riscattare l’umanità – e non a circoscrivere un gruppo di eletti, che si sente superiore a tutti i fratelli e le sorelle nell’umano.
Le donne, tenute a distanza dalla sala della Cena, riappaiono sulla scena della via della croce – qualcuno le fa arrivare fino ai suoi piedi, in una fedeltà indefessa alla verità crocifissa di Dio. Ma cosa vuol dire tutto questo – soprattutto per la Chiesa e, in particolare, per la comunità apostolica di sempre?
Questa strategia evangelica non può essere risolta da una retorica apostolica preoccupata soltanto di mantenere il proprio esclusivo potere – proprio su quella verità che gli apostoli hanno mancato nel giorno che decide dei giorni. Cosa li legittima, da quel giorno, a farsi i tutori che addomesticano una verità di cui non sono stati all’altezza? Qual è il fondamento che li abilita a decidere su quelle che quel giorno, invece, quella verità seppero coglierla, seguirla, farla propria?
L’assenza delle donne da quella sala preparata con cura per la cena di Pasqua che Gesù fece coi suoi è l’architrave di millenni di esautorazione della fede delle donne a essere parte istitutiva della Chiesa. La scomparsa degli apostoli dal cammino della croce è stata ridotta, invece, a mero incidente di percorso – da lasciarsi alle spalle per sempre.
Eppure, la strategia del Vangelo allo sparire degli apostoli nell’ora della Croce dà un peso e una portata che interroga, mette in crisi (e in riga), esattamente coloro che a quella Cena hanno preso parte. Una scena costruita ad arte per dire del tradimento, del misconoscimento e dell’assenza di coloro che chiamiamo apostoli.
L’altra parte della tavola narrativa dice, in opposizione, di una fedeltà, di una capacità di riconoscimento e di una prossimità delle donne che eccede il momento fugace di uomini a cena con Lui. Ma dell’ingiunzione che viene da questa scena non si trova alcuna traccia nei millenni di storia della Chiesa – fino a oggi.
La presenza all’ultima cena del Signore è stata ribaltata in affermazione di un potere esclusivo dei maschi nella Chiesa. La presenza delle donne nello spazio e nei gesti della verità crocifissa di Dio è stata, invece, ridotta all’insignificanza istituzionale. Quando questo accade non si è più nel Vangelo.
Non siamo tutti uguali; ci sono luoghi e modi diversi per abitare il Vangelo; nella comunità del Signore alcuni sono qui e alcune sono là – certo, il dittico strategico del vangelo di Gesù dice anche questo. A dice anche che alcuni non sono dove avrebbero dovuto essere e alcune sono dove avrebbero potuto non esserci. Uomini che hanno scelto (di evitare il confronto con la Croce) e donne che hanno scelto (di essere là dove il Signore è – costi quel che costi, anche il frantumarsi del proprio desiderio di riscatto).
Alla Cena gli uomini sono convocati da un imperativo – ci vanno perché così sono stati istruiti. Nessuna convocazione, invece, per il cammino della croce – è questione di libertà, amore e attaccamento. Quando questa diventa la misura della verità gli uomini scompaiono. Le donne ripetono il gesto di Rut: «Perché dove tu andrai, andrò anche io, e dove tu ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (Rt 1, 16b-17).
Non per niente Rut, donna e straniera fino alla fine, è nella genealogia di Gesù – e nell’ora della Croce il suo essere fedele a sé stessa che la fa essere là dove Dio è, dice la parola che gli apostoli non possono sopportare di ascoltare e sentire: il Dio di Gesù non è il vostro Dio. A questo Dio sarete poi recuperati, non per merito vostro, ma per fare memoria per sempre di quello che avete mancato.
Ma la strategia narrativa del Vangelo aggiunge un’ultima figura – quella di coloro che sono fuori, dei pagani (miscredenti e laici nei secoli). Romano e centurione, questo uomo non ha scelto come le donne di essere presso la Croce; ma come esse sa riconoscere che lì c’è Dio come Egli è.






Mi sembra che l’articolo riproponga il solito schema della contrapposizione del genere femminile al maschile, di carisma e istituzione, di ingiusto e giusto,… Da queste polarizzazioni non è capace di uscire e siccome sono humus contemporaneo, mi domando: quanto c’è di approfondito e quindi di reale in quello che l’autore scrive? Facendo semplicemente rimbalzare a duemila anni fa quelli che sono i comportamenti odierni, nasconde la realtà del passato, ritendo addirittura che l’Evangelo determini atteggiamenti e comportamenti inossidabili e divenga cifra dell’oggi. Tutto antistorico e fuori dalla realtà delle cose.
Bastava semplicemente affermare che ci sono stati due modi di fare, che entrambi sono importanti, che tutti e due sono veri, perché né le protagoniste né i protagonisti stavano mettendo in scena un copione già scritto, ma perché nella vita può accadere questo e quello e pure altro.