Il dialogo come riconciliazione

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Il dialogo come riconciliazione è il tema trattato nei due Incontri sul dialogo interreligioso che si sono svolti il 20 e il 27 marzo 2025 a Mantova presso la Casa del Mantegna. Promotore degli eventi Agorà delle Religioni, un gruppo di persone di fedi diverse che cercano di conoscersi attraverso il dialogo e il confronto reciproco.

I relatori, rappresentanti di due differenti confessioni, sono stati il professor Edson Fernando De Almeida, teologo protestante di origine brasiliana, e il professor Marco Dal Corso, cattolico, insegnante di Religione in un Liceo di Verona e collaboratore dell’Istituto di Studi Ecumenici «San Bernardino» di Venezia. Due voci che parlano di due realtà del Sud e del Nord del mondo.

Il perdono come cura della memoria

È tema caro a de Almeida, poiché appartiene all’esperienza brasiliana e va al cuore della sua storia. È inoltre linea di pensiero della Fondazione Rubem Alves – teologo e psicanalista brasiliano –, di cui de Almeida è Presidente, e dell’Università federale di Juiz de Fora, in cui insegna Teologia e Ermeneutica.

Il perdono, come dice l’etimologia, è «consegna totale», «grazia imprevista» e, per questo, «eccedente». riguardando sempre qualcosa di «imperdonabile» (J. Derrida). Come, diversamente, riparare l’orrore dello schiavismo nero? Nessuna giustizia umana può risarcire un tale male. Comprendere questo, dice Derrida, è «profetico» poiché impedisce ogni banalizzazione del perdono, che è dono sacro e miracolo per chi lo sperimenta.

«Corazza profetica», a protezione di esperienze umane difficili, è un evento da ripetere quotidianamente in ricordo di quelle tre «p» – Padre, pane, perdono – che intessono la preghiera cristiana del Padre nostro.

Senza il perdono e la promessa, ricorda H. Arendt, la vita non progredisce, poiché del tutto inerme di fronte ad un passato «irreversibile» e al «disfacimento» del futuro. Il perdono, in quanto «azione inattesa», è il gesto liberante che impedisce di cedere al desiderio risarcitorio della vendetta. Esso è la vera alternativa che, sciogliendo i legami «dell’irreversibilità del passato», ridà vita al perdonante e al perdonato.

«Caro alla sfera religiosa. [esso] si offre come elemento per pensare i processi di oppressione e di liberazione che avvengono nella quotidianità» – dice l’arcivescovo D. Tutu.

In quanto espansione vitale, va tolto dalle sagrestie e portato nelle piazze, affinché il ricordo di un passato di oppressione non venga soffocato ma curato con la promessa di un futuro, che è conclusione di un «lutto» quando si è fatto «lotta» contro la sofferenza prodotta dalla ineguaglianza e dalla schiavitù. È con lui che si può fare giustizia sociale, di genere, razziale.

Perdonare è un atto creativo – «poetico» – che trasforma l’esperienza di dolore in liberazione e apre all’oltre. Freud, nel suo libro Ricordare, ripetere, rielaborare, racconta il duro lavoro di offrire alle persone prigioniere del lutto «una poetica dell’elaborazione, come alternativa alla ripetizione compulsiva dell’evento traumatico». Se il soggetto rimane passivamente nella memoria traumatica, è condannato a rivivere una sofferenza che si colora di risentimento e di desiderio di vendetta.

Trasformare il lutto in danza recita il Salmista; questo il cammino da percorrere per trasfigurare creativamente l’evento doloroso e sperimentare la “resurrezione”.

L’esperienza brasiliana

Il modello brasiliano è un esempio di memoria traumatica che si ripete, con pochi momenti di elaborazione creativa. Il film Sono ancora qui, diretto da W. Salles e tratto dall’omonimo libro di memorie di Marcelo Rubens Paiva, che racconta la scomparsa del padre desaparecido durante la dittatura militare che ha oppresso il Paese dal 1964 al 1985, è l’esempio del cammino di rinascita necessario al paese e compiuto in modo commovente dalla madre dello scrittore, per scoprire la verità e offrire un futuro ai figli.

Poco ha fatto il Brasile, dice il prof. de Almeida, per superare la memoria di questo crimine. perché ancora preponderante è al suo interno l’opinione che il passato sia da rimuovere e che, piuttosto, sia da vivere il presente.

Alla luce di questa idea, diffusa anche fra le gerarchie politiche, nel 2014, a cinquant’anni dal colpo di stato militare, alcuni esponenti hanno ribadito alla Chiesa cristiana la necessità di chiudere con un passato doloroso e, a questo scopo, di non promuovere eventi che mettessero in discussione le forze militari brasiliane. Nessun evento commemorativo, quindi, – come «cintura protettiva» – affinché la memoria del dolore non sia accessibile.

Ma, senza l’«arte» della rielaborazione, la storia si ripete, come è accaduto nel 2022 allorché la tradizione militare, che sostenne il colpo di stato nel 1964, guidata dall’ex presidente Bolsonaro, non riconfermato nelle recenti elezioni, lo rifece ai danni del neoeletto presidente Lula.

M.R. Kehl, psicoanalista e giornalista, nel suo libro Il risentimento in Brasile, parla della difficoltà del paese di riconciliarsi con il passato. Il primo elemento ostativo è l’immagine che i brasiliani hanno di sé, che riproduce quella che i colonizzatori hanno costruito su di loro attraverso l’«imperativo di un popolo felice» – del Carnevale e del football – per soffocare la sofferenza sotto la cultura dell’oblio.

Il secondo elemento ostativo è l’autocritica di settori egemoni delle classi borghesi che attribuiscono la miseria del Brasile al suo ritardo rispetto alle potenze occidentali: è un paese che non si è abbastanza colonizzato, che non è abbastanza bianco, nord-americano e europeo.

Il Brasile «è un progetto ben riuscito di esclusione – continua M.R. Kehl – poiché lo si è voluto come uno stato di bianchi che attaccava i corpi non bianchi, indigeni e neri». L’oblio di un passato coloniale che, in negazione di un’origine nera, riconosce nei portoghesi i padri fondatori, fa dei brasiliani un popolo senza ascendenti, orfano del padre nero e indigeno.

Nessuna patria germoglierà da questa «orfanità» sottomessa a padri «violenti e abusivi», i cui figli – frutto di una paternità malata – soggiacciono servili ad «autorità politiche e religiose che premiano i corpi docili e puniscono i corpi insubordinati».

«Come fare esperienza di lutto e di perdono in tale contesto?», si chiede il prof. de Almeida. «La memoria non trasformata, non resuscitata, a causa di un dolore che non si ricrea, diventa un fantasma che si attualizza in nuove forme di risentimento». Un popolo è vitale quando rielabora le ferite del passato e quando, come una missione, realizza il miracolo del perdono, che è «ricordo, non oblio; grido non soffocamento; ricerca di giustizia e di reciprocità, mai vendetta».

Il passato coloniale e la dittatura sono superabili solo attraverso un cammino di riconciliazione. È questo il compito che attende il popolo brasiliano.

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Un commento

  1. Giuseppe 19 aprile 2025

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