
La preoccupazione per la conflittualità montante ad ogni angolo del pianeta ha accompagnato papa Francesco fino ai suoi ultimi respiri.
Rispondendo ad un messaggio di auguri di pronta guarigione inviatogli dal direttore del Corriere della Sera, lo scorso 18 marzo, dalla sua stanza d’ospedale al Policlinico Gemelli il Papa scriveva:
Caro Direttore, desidero ringraziarla per le parole di vicinanza con cui ha inteso farsi presente in questo momento di malattia nel quale, come ho avuto modo di dire, la guerra appare ancora più assurda.
L’assurdità della guerra si palesa ancor di più in tutta la sua drammatica insensatezza quando la si guarda da quel punto di osservazione privilegiato che è la malattia, luogo in cui si dispiega compiutamente tutta l’essenza dell’umana fragilità.
Dal suo letto d’ospedale papa Francesco ha levato un accorato appello, invitandoci a sentire tutta l’importanza delle parole. In un tempo in cui, in modo più o meno subdolo, torna a montare il clima di propaganda belligerante che avevamo conosciuto nei primi decenni del Novecento, il richiamo di papa Francesco risuona come una profezia: poiché le parole sono fatti che costruiscono i mondi che abitiamo, dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra.
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È la proposta di un decisivo cambio di paradigma.
Proprio nei giorni in cui l’UE impegna i soldi dei suoi contribuenti per lanciare un video volto a promuovere un fantomatico kit di sopravvivenza utile a tenersi in vita per 72 ore in caso di minacce non meglio identificate, ma chiaramente identificabili con una bella guerra nucleare; proprio mentre i nostri governanti (e le nostre governanti) si arrabattano in tutti i modi possibili per giustificare l’investimento di fondi in piani di riarmo, a detrimento di istruzione e sanità; proprio mentre si cominciano a (re)introdurre anche nelle scuole progetti di rafforzamento della cooperazione civile-militare e sembra sempre più vicino il giorno in cui torneremo in piazza ad esercitarci nel passo d’oca; proprio mentre tutti i grandi (e le grandi) della terra si affannano a spiegarci la logica della guerra preventiva, sbeffeggiando il pacifismo come retaggio da hippy nostalgici e declinando come un insulto la parola «pacifista!», giacché l’idea-guida è che il Bene si può affermare solo sconfiggendo il Male a mano armata; proprio in giorni così, intrisi di irriducibile bellicosità, un uomo anziano, sulla soglia della morte, usa le sue ultime energie per richiamarci al dovere di sperare la pace.
Domenica 20 aprile, prima della benedizione Urbi et Orbi, impartita con un filo di voce dalla Loggia Centrale della Basilica di San Pietro, papa Francesco ha chiesto al maestro delle Celebrazioni Liturgiche Diego Ravelli di leggere il suo Messaggio Pasquale. Ci resteranno di lui queste ultime immagini, queste ultime parole: un uomo anziano e ammalato che osa, come pochi al mondo, continuare a credere che solo la pace ci salva dalla disumanità.
Se Cristo, nostra speranza, è risorto, sperare non è un’illusione, ma un dovere e una responsabilità:
Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita.
La potenza della Vita è disarmata e proprio per questo disarmante. Siamo circondati da volontà di morte, da conflitti e da violenze di ogni genere, ma la nostra esistenza non è fatta per la morte, è fatta per la Vita!
In questo giorno, vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio!
Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile!
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Nel Messaggio di Francesco tornano, nominati uno ad uno, i luoghi della terra martoriati dalle guerre: il Medio Oriente, il Libano, la Siria; lo Yemen; l’Ucraina; il Caucaso Meridionale, l’Armenia e l’Azerbaigian; i Balcani occidentali; la Repubblica Democratica del Congo, il Sudan e il Sud Sudan, il Sahel, il Corno d’Africa, la Regione dei Grandi Laghi; il Myanmar.
Su tutti, e prima di tutti, la Terra santa insanguinata:
Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero. Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!
Cessate il fuoco! Chi raccoglierà questo appello di papa Francesco? Chi avrà il coraggio e si assumerà la responsabilità di osare sperare la pace?
Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo.
I grandi e le grandi della terra, che in questi giorni affastellano tributi di cordoglio per la morte di papa Francesco, saranno capaci di raccoglierne l’eredità spirituale e fare in modo che, la sua, non rimanga una voce che grida solitaria nel deserto?
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Il testamento di Francesco, redatto quasi tre anni fa, il 29 giugno 2022, si chiudeva con queste parole, che testimoniano tutta l’urgenza del suo sentire:
La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’ho offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli.
Tornare a sperare che la pace è possibile: è questa il richiamo potente e la responsabilità che papa Francesco ci ha affidato con le sue ultime parole.






Povero Francesco nostro mi dispiace tantissimo, ma tanto, indefinibilmente tanto. Comunque stava anche soffrendo con la malattia.
Oltre alla tristezza per la sua scomparso, chiude la gola il pensiero che se ne sia andata l’unica voce forte sulla pace.
Ci si sente esposti alla mercé di forze che obbediscono alle ragioni dell’economia e del controllo del pianeta.
Disarmato e’ il nostro disorientamento difronte a questo.
Speriamo solo di non assistere a un funerale con i potenti del mondo schierati nei posti d’onore. Per chi si è riavvicinato alla fede grazie a Francesco sarebbe un trauma difficilmente superabile.