Gracias, Bergoglio, Francisco

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Roberto Marquez sistema un suo ritratto di Francesco fuori dal Gemelli (Foto AFP/Filippo Monteforte)

Bergoglio, giovane argentino di famiglia migrante e umile, va spensierato a una festa con amici. Passa davanti a una chiesa e «qualcosa» lo spinge a entrare. Poi, «qualcosa» lo spinge a confessarsi con il vecchio sacerdote. Finché questi gli dice all’improvviso: «E tu, perché non diventi prete?». Rimane scioccato, disarmato. Sente chiaramente che Dio lo chiama. Lo ha guardato con misericordia e lo ha scelto. «Miserando atque eligendo» sarà sempre il suo motto di vita. Non a caso tutto succede il giorno di San Matteo. Anche lui, come già l’esattore delle imposte, benché consapevole di essere «un grande peccatore», accetta la chiamata di Gesù di Nazareth.

Bergoglio, superiore dei gesuiti argentini durante la dittatura militare, che causò 30.000 «desaparecidos». Lui, che era il principale rappresentante di una comunità strettamente sorvegliata, ha rischiato la vita per molti. Ha nascosto, protetto, salvato. È arrivato al punto di trasportare nel bagagliaio della sua auto persone sconosciute, superando diversi posti di blocco della polizia nel cuore della notte, per portarle in un’ambasciata e permettere loro di lasciare il Paese.

Nonostante tutto, alcuni gli hanno rimproverato di non aver protetto abbastanza due suoi compagni, Jalics e Yorio, che sono stati torturati. A volte, fare tutto non è abbastanza… E questo, come lui stesso ha ammesso, è stato il peso più grande della sua vita. Ha dovuto andare in terapia da uno psichiatra per riuscire a «domare» la «nevrosi» e l’«ansia» che lo hanno sempre tormentato… Da qui, sicuramente, il «pregate per me» che ripeteva sempre a tutti quelli che incontrava. La semplice consapevolezza di una natura incarnata nel dolore dell’uomo.

Bergoglio, vescovo ausiliare, coadiutore e, infine, arcivescovo e cardinale di Buenos Aires. La sua priorità: le villas miseria della periferia della grande città. Le «periferie». Con gli immigrati, con le ragazze madri, con i tossicodipendenti, con chi non ha un lavoro dignitoso. Come sa bene il missionario Paco Blanco, «in vent’anni ci ha visitato costantemente e non è mai venuto in macchina. Sempre in autobus e in metropolitana». Parlava con tutti, conosceva l’anima di tutti. E «si è arrabbiato come mai prima quando un prete si è rifiutato di battezzare il figlio di una prostituta». Già allora esisteva la Chiesa del «tutti, tutti, tutti».

Bergoglio, nei primi giorni di febbraio 2013. Benedetto XVI «ha già accettato sua la sua rinuncia» e «lo renderà pubblico da un momento all’altro». Bergoglio prepara il suo trasloco e ha già deciso dove andrà a vivere: in una residenza sacerdotale, con i sacerdoti anziani senza famiglia che ha assistito tante notti quando ne avevano bisogno. La sua stanza, aggiunge Blanco che l’ha vista, «era di un’austerità francescana: una sedia, un tavolo, una libreria per pochi libri, un letto e un angolo cottura per prepararsi da mangiare».

Ma tutto cambia… Arriva l’11 febbraio 2013 e un profeta di nome Joseph Ratzinger annuncia le sue dimissioni. La prima volta di un Papa da secoli. E Bergoglio va a Roma. Entra nel conclave vestito di porpora e ne esce vestito di bianco.

Francesco, il primo in tante cose. Il primo Papa gesuita, il primo ad arrivare dall’America («sono venuti a cercarmi in capo al mondo») e il primo a chiamarsi come il santo più vicino a Gesù in tutta la storia: Francesco d’Assisi.

Francesco, l’uomo che, prima di morire, nonostante la sua estrema debolezza, non ha voluto rinunciare al Giovedì Santo come lo concepiva lui: andando in prigione ad abbracciare i detenuti. Gli spezzava il cuore non poter lavare loro i piedi (amava quel gesto, in cui vedeva il culmine del cristianesimo), ma in cambio, lo abbiamo saputo in seguito, ha lasciato loro tutto il denaro che aveva sul suo conto corrente…

Arriva la domenica di Pasqua e, come ha raccontato in seguito il vaticanista Salvatore Cernuzio, il Papa, con l’entusiasmo di un bambino che aspetta i Re Magi, sogna di scendere in piazza e percorrerla tutta. Lo fa davanti a 55.000 fedeli commossi. Prima di farlo, un po’ intimorito, chiede a Massimiliano Strappetti, il suo infermiere: «Credi che ce la farò?». Dopo che il suo «angelo custode» lo incoraggia, mentre è in mezzo a una marea umana emozionata, si gira verso Strappetti e gli sussurra: «Grazie per avermi riportato in piazza».

Aveva davvero bisogno di essere in mezzo al popolo di Dio… Nessuno di noi lo sapeva, ma quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avremmo visto in pubblico. Poche ore dopo, alle 7.35 del mattino di lunedì 21 aprile 2025, «Francesco è tornato alla Casa del Padre».

Cosa c’è tra il 13 marzo 2013, quando ha indossato l’anello del Pescatore, e il 21 aprile 2025, quando ha chiuso gli occhi per sempre? Una valanga di riforme e gesti che hanno aperto una strada particolarmente luminosa nella storia bimillenaria della Chiesa. Ma, prima di tutto, un uomo innamorato di Dio e dell’uomo. Un discepolo affascinato e affascinante. Che non è poco.

Gracias, Bergoglio, Francesco.


Bergoglio, joven argentino de familia migrante y humilde, acude alegre a una fiesta con sus amigos. Al pasar frente a una iglesia, “algo” le lleva a entrar. Luego, “algo” le mueve a confesarse con su anciano sacerdote. Hasta que este le suelta de golpe: “Y vos, ¿por qué no te metes a cura?”. Se queda impactado, desnudo. Siente sin ninguna que Dios le llama. Le ha mirado con misericordia y le ha elegido. “Miserando atque eligendo” será siempre su lema vital. Por algo todo ocurrió el día de san Mateo. Como el recaudador de impuestos, pese a saberse “un gran pecador”, acepta la llamada de Jesús de Nazaret.

Bergoglio, superior de los jesuitas argentinos en tiempos de la dictadura militar, que causó 30.000 “desaparecidos”. Él, siendo el principal representante de una comunidad estrechamente vigilada, se jugó la vida por muchos. Escondió, protegió, salvó. Llegó a llevar en su maletero a personas desconocidas, pasando varios controles policiales en plena noche, para llevarlas a una embajada y que pudieran salir del país. Pese a todo, algunos le achacaron que no protegiera lo suficiente a dos compañeros suyos, Jalics y Yorio, que fueron torturados. A veces, hacer todo no es suficiente… Y esa, como él mismo reconoció, fue la cruz más dolorosa de su vida. Necesitó acudir a terapia con una psiquiatra para poder “domar” la “neurosis” y la “ansiedad”, que siempre estuvieron latentes… De ahí, seguramente, el “recen por mí” que le transmitía siempre a todos aquellos con los que se encontraban. La conciencia sencilla de una naturaleza encarnada en el dolor del hombre.

Bergoglio, obispo auxiliar, adjutor y, finalmente, arzobispo y cardenal de Buenos Aires. Su prioridad: las villas miseria del extrarradio de la gran urbe. Las “periferias”. Con los inmigrantes, con las madres solteras, con los devorados por la droga, con los que carecen de un trabajo digno. Como bien sabe el misionero corazonista Paco Blanco, “en veinte años, nos visitó constantemente y jamás vino en coche. Siempre, en bus y metro”. Hablaba con todos, conocía el alma de todos. Y “se enfadó como nunca cuando un sacerdote se negó a bautizar al hijo de una prostituta”. Ahí ya estaba la Iglesia del “todos, todos, todos”.

Bergoglio, en los primeros días de febrero de 2013. Benedicto XVI “ya le ha aceptado la renuncia” y “se va a hacer público en cualquier momento”. Prepara la mudanza y tiene dispuesto dónde va a vivir: en una residencia sacerdotal, con los ancianos curas sin familia a los que tantas noches cuidó cuando lo necesitaban. Su habitación, añade Blanco, que la vio, “era de una austeridad franciscana: una silla, una mesa, una estantería para unos pocos libros, una cama y una cocinita para hacerse él la comida”. Pero todo cambió… Llegó el 11 de febrero de 2013 y un profeta llamado Joseph Ratzinger anunció su renuncia. La primera de un Papa en siglos… Y Bergoglio fue a Roma. Y entró al cónclave de púrpura y salió de blanco.

Francisco, el primero en muchas cosas. El primer papa jesuita, el primero en llegar desde América (“han ido a buscarme al fin del mundo”) y el primero en llamarse como el santo más cercano a Jesús en toda la Historia: Francisco de Asís.

Francisco, el hombre que, antes de morir, pese a su abrumadora debilidad, no quiso renunciar al Jueves Santo tal y como él lo concebía: yendo a la cárcel a abrazar a los presos. Le dolió en el alma no poder lavarles los pies (amaba ese gesto, en el que veía el culmen del cristianismo), pero, a cambio, como supimos luego, les dio todo el dinero que le quedaba en su cuenta corriente…

Llegó el Domingo de Pascua y, como contó más tarde el vaticanista Salvatore Cernuzio, el Papa, con la ilusión de un niño en la noche en la que espera a los Reyes Magos, soñaba con bajar a la plaza y recorrerla por entero. Lo hizo ante 55.000 fieles conmovidos. Antes de hacerlo, empequeñecido, le preguntó a Massimiliano Strappetti, su enfermero: “¿Crees que podré hacerlo?”. Después de que su “ángel de la guarda” le animara a ello, cuando estaba en medio de una marea humana emocionada, se volvió a Strappetti y le susurró: “Gracias por devolverme a la plaza”. Realmente, necesitaba encarnarse entre el Pueblo de Dios… Ahí nadie lo sabíamos, pero fue la última vez que se le vio en público. Horas después, a las 7:35 de la mañana del lunes 21 de abril de 2025, “Francisco volvió a la Casa del Padre”.

¿Qué hay entre el 13 de marzo de 2013 en el que se puso el anillo del Pescador y el 21 de abril de 2025, cuando cerró los ojos para siempre? Un alud de reformas y gestos que han abierto un camino especialmente luminoso en la bimilenaria historia de la Iglesia. Pero, ante todo, un hombre enamorado de Dios y el hombre. Un discípulo fascinado y fascinante. Que no es poco.

Gracias, Bergoglio, Francisco.

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