
Dopo aver affrontato La questione Gender, Aristide Fumagalli ci ha donato un altro bel testo: L’Amore Possibile, Persone omosessuali e morale cristiana. Egli ha scritto, tra l’altro, anche un ponderoso trattato sull’Amore sessuale in cui parla con grande competenza e sotto varie angolature, dell’amore che lega l’uomo e la donna, e lo fa senza lasciarsi minimamente intimorire dalla sfida posta dall’attuale cultura occidentale piuttosto incline a rimuovere la differenza che non invece a confrontarsi con essa. L’autore non è quindi un outsider rivoluzionario che, trattando della omosessualità, si butta lancia in resta sulla teologia morale, con l’intento di scardinare principi intangibili.
Ha le carte in regola per dialogare sia col Magistero della Chiesa, che più volte si è occupata con materna premura delineando anche le linee per la cura pastorale delle persone con un diverso orientamento sessuale, sia con autori che hanno approfondito il fenomeno che si sta delineando e che chiede attenzione e risposte.
In questo vero e proprio manuale di teologia morale, frutto evidente di un corso specifico, Fumagalli parte dalla realtà fenomenica, cioè da come si presenta il problema oggi, non senza uno sguardo al passato.
Il popolo di Dio deve rendersi conto, senza rimozione o condanna, delle varie forme in cui viene vissuta la sessualità al di fuori della modalità binaria, che rimane comunque il parametro basilare dell’espressione sessuale. Ci sono persone che hanno un chiaro orientamento sessuale per quelli o quelle del loro stesso sesso.
Occorre distinguere bene la fase adolescenziale e transitoria dell’ambiguità o della difficoltà transitoria nell’accettazione del proprio sesso, dal fatto che ci sono anche persone che fin dalla pubertà si sentono a disagio nel proprio corpo biologicamente sessuato uomo o donna. Si tratta della cosiddetta disforia di genere.
Nell’omosessualità si devono distinguere l’omosessualità per inclinazione, che si forma nei primi anni di vita e che, allo stato attuale delle conoscenze, non può essere mutata; l’omosessualità sviluppatasi nella pubertà come possibile ma transitoria fase omoerotica della maturazione sessuale; l’omosessualità indotta da corruzione quando, mediante tali esperienze, si consolida la fase omofiliaca transitoria durante la pubertà. Durante le fasi puberali omoerotiche e omosessuali gli adolescenti devono essere protetti dal visualizzare scene omosessuali per preservarli dal consolidarsi della tendenza omosessuale.
C’è l’omosessualità di emergenza che si verifica durante il servizio militare, nelle carceri, nei collegi: tutte queste forme di omosessualità sono modificabili. Solo l’omosessualità per inclinazione si può considerare vera e propria omosessualità (cf. Martin Lintner, La riscoperta dell’eros, p. 140).
Eziologia
Riguardo all’omosessualità, Fumagalli si interroga sulla eziologia. Ecco quanto scrive: «L’analisi delle dimensioni biologica, psicologica e socioculturale dell’omosessualità ha come risultato più certo quello dell’incertezza di determinare con esattezza l’eziologia.
Si può tutt’al più, ritenere per valido che la causa dell’omosessualità risiede probabilmente in una molteplicità di fattori: è lecito ipotizzare la presenza di potenzialità biologiche sottostanti al comportamento sessuale, ma il modo in cui tali potenzialità vengono utilizzate dipende in gran parte dalle influenze ambientali che si esercitano sul soggetto, e anche dalla libera iniziativa del soggetto.
L’interazione fra i fattori ambientali e personali costituisce sempre un problema che richiede una buona dose di prudenza. L’assenza di una sola causa e la presenza invece di più cause variamente compresenti lascia intendere che molteplici e diverse sono le genesi e le configurazioni dell’omosessualità. Non esiste, quindi, sotto il profilo eziologico e strutturale, una sola omosessualità, bensì molteplici e diverse omosessualità.
Una recente conferma di questa affermazione è offerta dalla ricerca genetica realizzata negli Stati Uniti presso il Broad Institute, centro di ricerca del Mit di Harvard, da un’équipe internazionale di scienziati coordinati dall’italiano Andrea Ganna, il quale dichiara che “la genetica non è l’unico fattore che influenza il comportamento, l’identità e l’orientamento sessuale. La sessualità umana, come altri tratti umani, è il frutto di un complesso mix di fattori genetici, influenze ambientali ed esperienze di vita”.
La ricerca ha pure quantificato al 25% l’incidenza della componente genetica sull’orientamento sessuale, peraltro non concentrata in un solo gene con effetto elevato, ma diffusa in tanti geni con effetto ridotto. Questa interazione di fattori che possono essere indicati singolarmente, ma non scissi nella sintesi dell’essere umano vivente, dipende dal fatto che il desiderio omosessuale, per quanto esista pre-socialmente, può tuttavia essere colto solo culturalmente e viene inoltre trasformato socialmente» (cf. pp. 56-57).
Ci rendiamo conto dell’assurdità dell’omofobia a fronte della complessità legata a tanti e complessi fattori.
Uno sguardo alla storia
L’autore fa anche un’accurata carrellata sull’evoluzione storica del fenomeno (pp. 33-47). Limitandoci al mondo greco-romano, l’omosessualità e l’efebofilìa erano considerate delle tappe dell’iniziazione sessuale dei giovani, e la depravazione dei costumi sessuali come qualcosa di normale.
All’epoca, l’adulto di oggi era stato a suo tempo l’efebo di ieri; i seriosi filosofi, gli scrittori e i condottieri – così perlomeno apparivano nei loro busti marmorei – erano comunque passati attraverso quella trafila.
D’altronde, ogni vizio e ogni altra espressione umana negativa avevano il proprio nume tutelare. Ecco, di conseguenza, la severa condanna da parte di san Paolo (1Cor 6,9-10; 1Tim 1,9-10; Rm 1,26-27), che vedeva nei vizi legati al sesso una conseguenza e una espressione dell’idolatria.
…e alla sacra Scrittura
L’esame dei pochi passi del Primo Testamento che trattano di pratica omosessuale (Gn 19,1-29; Lv 18,22 e 20-13; Gdc 19;) ne esclude l’approvazione e inclina, piuttosto, alla condanna, che però esige di essere adeguatamente precisata, al fine di evitare interpretazioni fondamentaliste che mettano in corto circuito, invece che in circolo ermeneutico, il messaggio biblico con l’attuale esperienza dell’amore omosessuale.
Vale a dire che la Bibbia non parla dell’inclinazione erotica verso la persona dello stesso sesso, ma solo degli atti omosessuali (Pontificia Commissione Biblica, Che cosa è l’uomo).
Da ciò consegue che la condanna biblica riguarda i soli atti omosessuali, senza alcun riferimento all’orientamento omosessuale e, tanto meno, alla condizione omosessuale che l’antropologia biblica non contemplava.
La Bibbia condanna l’omogenitalità, vale a dire il comportamento sessuale, ma non l’omosessualità in quanto orientamento psicologico o condizione esistenziale.
Si potrebbe però osservare che la stessa antropologia biblica, concependo l’uomo come unità indissociabile di spirito e di corpo, benché non conosca le categorie di condizione e di orientamento, ne supponga la realtà. Pur ammettendo la concezione unitaria dell’antropologia biblica, ciò che non rientra nella sua comprensione è proprio l’eventualità di una tendenza che non sia eterosessuale. Gli atti omosessuali sono pertanto condannati nella Bibbia come frutto della libera scelta di sfogare trasgressivamente l’istinto sessuale da parte di persone eterosessuali.
Una ulteriore precisazione sottolinea che il comportamento omosessuale è riprovato in quanto espressione della trasgressione di un sacro dovere verso il prossimo, come quello dell’ospitalità dello straniero, ed espressione dell’idolatria religiosa.
La pratica omosessuale è dunque presentata e condannata nell’Antico e nel Nuovo Testamento quale conseguenza immorale di un più radicale peccato religioso, quello contro Dio compiuto rinnegando le leggi della sua creazione e rinunciando al suo regno.
La Bibbia condanna l’omogenitalità considerata come culto idolatrico, ma non ha come oggetto di valutazione l’amore tra due persone dello stesso sesso e gli atti omosessuali praticati nel contesto di una amorevole rispettoso rapporto. E ciò perché la distanza dei due orizzonti interpretativi, biblico e odierno, vieta di trasferire immediatamente il giudizio del primo sul secondo.
Il silenzio biblico sull’amore omosessuale così come si manifesta oggi non può essere invocato come prova della sua approvazione, e nemmeno può valere come prova di legittimità l’indiscutibile atteggiamento misericordioso e inclusivo di Gesù ampiamente attestato nella Scrittura nei confronti di ogni persona ingiustamente discriminata ed emarginata. Questo atteggiamento di Gesù è comunque un valido fondamento per contrastare ogni forma di omofobia e riconoscere l’inalienabile dignità delle persone omosessuali, oltre che «la percezione di ogni soggetto umano come persona redenta dal Signore» (G. Piana).
L’interpretazione e la valutazione dell’omosessualità a partire dai pochi testi biblici che ne trattano esplicitamente non sono quindi sufficienti per il discernimento contemporaneo dell’amore omosessuale, cosicché – come conclude il documento della Pontificia commissione biblica sull’antropologia biblica – «il contributo fornito dalle scienze umane, assieme alla riflessione di teologi e moralisti, sarà indispensabile per un’adeguata esposizione della problematica».
L’insegnamento biblico sull’amore tra uomo e donna è e resta comunque un riferimento fondamentale per l’interpretazione e la valutazione di ogni espressione della sessualità umana. Da esso quindi non si potrà prescindere nell’operare il discernimento sull’odierna esperienza degli amori omosessuali (cf. Fumagalli 65-67).
L’autore getta anche lo sguardo sulla storia della Chiesa, a partire dai primi secoli del cristianesimo. Possiamo dire, in estrema sintesi, che quel passato non è stato tenero verso gli omosessuali, ma limitatamente ai soli giudizi valutativi.
E oggi?
Guardando all’oggi, possiamo dire che la Chiesa, nei suoi documenti ufficiali, si è mostrata attenta alla realtà dell’orientamento affettivo di persone verso lo stesso sesso, e ha mostrato materno interesse pastorale verso questi suoi figli.
Nel 2023 il Dicastero per la dottrina della fede con la dichiarazione Fiducia supplicans, a seguito di «una riflessione teologica basata sulla visione pastorale di papa Francesco» ha aperto «la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio».
Si chiarisce che si benedicono le coppie, ma non le unioni, non le relazioni, ma i singoli nella relazione. Si tratta di benedizioni senza forma liturgica che non possono avvenire nel contesto dei riti civili, con abiti o parole tipici delle nozze cristiane, né davanti all’altare o in un altro luogo significativo della chiesa. Precisazioni che però non pongono in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione.
Già nel recente passato Amoris laetitia, accennando alla cura pastorale delle persone omosessuali senza esplicitare la disapprovazione morale per gli atti omosessuali, non intendeva però legittimarli. Tuttavia, era un sicuro indice di come l’approccio pastorale – in sintonia con il suo messaggio complessivo e l’intero magistero di Francesco – debba guardare anzitutto alle persone nella singolarità della loro condizione di vita, al fine di promuovere un cammino sempre possibile.
Approssimarsi alla realtà concretamente vissuta è, anche nel caso delle persone omosessuali, la condizione migliore per l’interpretazione antropologica e teologica, per la valutazione morale e per il discernimento pastorale del loro cammino di vita cristiana (cf. Fumagalli, pp. 124-125).
In estrema sintesi, possiamo dire che il giudizio di condanna degli atti omosessuali da parte della Scrittura e della tradizione riguarda il loro compimento per libera scelta conseguente all’idolatria religiosa o all’egoismo edonistico. Non sembra questo il caso di atti omosessuali espressivi di amore personale compiuti da persone dall’orientamento omosessuale.
Questa eventualità dell’amore personale testimoniata anche dalle persone omosessuali credenti, pone in discussione l’inevitabile qualificazione degli atti omosessuali come espressivi di idolatria religiosa ed egoismo edonistico, e avanza l’ipotesi che possano essere appunto espressione di amore personale cristiano.
Tale ipotesi di amore personale non sembra esclusa dalla presentazione biblica dell’amore responsabile tra uomo e donna come senso della sessualità umana: tale amore, infatti, è e resta la figura ideale e paradigmatica dell’amore interpersonale, che non esclude tuttavia altre figure non certamente emblematiche, ma solo analoghe. L’autore d’altronde evidenzia ampiamente i limiti dell’amore omosessuale (pp. 170-174).
Comunque, la dottrina della Chiesa non nega che l’orientamento omosessuale possa corrispondere all’identità sessuale della persona, esserle connaturale, tant’è che non esige il cambiamento dell’orientamento sessuale. Mette in forse l’opinione secondo cui la tendenza omosessuale definitiva, non quindi solo transitoria di talune persone, sarebbe a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio.
Il magistero non nega e anzi riconosce la capacità di “autodonazione” delle persone omosessuali, ma nega che essa possa trovare espressione in un atto omosessuale, univocamente esprimente l’egocentrismo edonistico.
Il rapporto tra l’oggettività degli atti e la soggettività dell’agente è una questione cruciale della teologia morale, la quale stenta a elaborare una teoria dell’azione che meglio integri gli atti e colui che li compie, tenendo in debito conto la valenza simbolica di ogni atto umano (cf. p. 170).
Fumagalli cerca una soluzione argomentando sul filo del rasoio, mantenendosi in equilibrio fra il dato antropologico in esame e le giuste perplessità espresse da documenti che esprimono il magistero della Chiesa.
Certamente, una teologia dell’ideale oggettivo, disattenta alla storia soggettiva, considera in termini negativi di male ogni distanza dall’ideale.
Una teologia più attenta alla vicenda personale considera, invece, il cammino verso l’ideale, riconoscendo la gradualità necessaria per adempierlo e gli eventuali intralci che lo limitano.
Questa seconda concezione teologica caratterizza il più recente magistero della Chiesa maturato sinodalmente e insegnato autorevolmente da papa Francesco.
Comunque, l’amore omosessuale non è oggettivamente la realizzazione della vocazione all’amore propria di ogni essere umano nella sua interezza, ma lo è solo in tutte le parti possibili alle persone omosessuali.
Un cammino di umanizzazione
L’interrogativo etico non è dunque: è bene o male essere omosessuali, ma piuttosto: che posso fare di questa realtà, come aprire nell’ambito di questa realtà un cammino di umanizzazione? Possiamo qualificare l’amore e gli atti omosessuali alla luce di quattro considerazioni.
- La donazione interpersonale, si rivela in un atto gratuito compiuto e accolto gratuitamente, ed è invece contraddetto in un atto imposto all’altro come pure in un atto subìto: non realizzerebbe, infatti, un cammino di umanizzazione. La donazione si rivela in un atto di attenzione all’altro e, quindi, salvaguarda l’alterità dell’altra persona evitando ripiegamenti narcisistici. La donazione di sé a beneficio dell’altro si rivela, inoltre, in un atto generativo, capace cioè di comunicare vitalità, rifuggendo da un atto che sia in qualche modo mortificante, tale da danneggiare il corpo, turbare la psiche e pervertire lo spirito. La donazione si rivela in un atto che esprime e alimenta la comunione interpersonale.
- L’unificazione personale si rivela in un atto casto, responsabilmente compiuto, che, come ogni gesto di amore, richiede che sia casto, pudico, non semplicemente sfogo istintivo e compulsivo, escludente la responsabilità personale e il rispetto dell’altro.
- Il dono di sé va vissuto in un ambiente sociale dal quale vengono comunque suggeriti comportamenti omologati alla cultura dominante: occorre saper prenderne le distanze alla luce dell’amore cristiano. Ciò richiede anche che i due partner non compiano atti omosessuali con altri soggetti, poiché essi tradirebbero il loro amore.
- Infine, l’amore sessuale omosessuale deve avere anche una sua storia, nel senso che gli eventuali atti omosessuali avvengano dentro una storia di vita che i due condividono senza limiti di tempo. Ciò che è richiesto nella relazione omosessuale nell’ottica di un cammino di umanizzazione del rapporto lo è anche per l’amore che unisce l’uomo e la donna.
Concludo con le parole di papa Francesco:
«Desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta di assicurare un rispettoso accompagnamento affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Amoris laetitia, n. 250).
- ARISTIDE FUMAGALLI, L’Amore possibile, Persone omosessuali e morale cristiana, Questioni di etica teologica, Cittadella ed., Assisi 2020, pp. 207, € 15,90.






Se sia più giusto seguire Aristide anziché la Bibbia giudicatelo voi stessi.
Io giudico che è meglio seguire un sano lavoro di interpretazione come è normale che sia perché la Bibbia prese letteralmente come lei vorrebbe indicare è omicida.
Aggiungerei alle assurdità dell’omofobia, con la quale concordo pienamente, l’assurdità della condanna della libertà/sessualità della donna : quante volte le ragazze madri sono state stigmatizzate e condannate dalla morale cattolica ? Oggi la maggior parte dei bambini nasce fuori dal matrimonio e nessuno si scandalizza. Ancora qualche anno e rideremo anche delle assurdità dell’omofobia , con buona pace dei moralisti . Perché anche alla stupidità c’è un limite. E non è merito di Papa Francesco, è che fortunatamente il mondo cambia ..
Non posso che concordare in pieno.
“Ci rendiamo conto dell’assurdità dell’omofobia a fronte della complessità legata a tanti e complessi fattori.”
Questa assurda omofobia che ancora vive in molti cristiani non nasce dal nulla ma è un fenomeno culturale che la religione ha alimentato per secoli rendendo al vita di molti un inferno. E un certo numero di cristiani ancora desidera che gli omosessuali soffrano per la loro condizione lottando affinché sia negato loro qualunque riconoscimento sociale.
E’ molto bello vedere che finalmente si può parlare apertamente di tutto ciò e di questo sempre si deve ringraziare Papa Francesco.
Dal “chi sono io per giudicare” al “c’è troppa frociaggine”; dal “vai avanti” (dove?) rivolto al seminarista omosessuale (respinto!) fino alla “ideologia gender” (vedesi Amoris laetitia); dalle benedizioni delle persone sì, ma delle unioni no (e delle coppie forse: vedesi Fiducia Supplicans).
Un grande grazie… sì ma no, forse quando anche se vuoi, vedi tu però. Insomma, parlare è una bella cosa (e lo facciamo da tanti anni, poiché parlano i cristiani con, dem, retrò, pro, etc etc). Parlare con coerenza, però, sarebbe stato un dovere.
Papa francesco ha fatto per i gay più cose di tutti i suoi predecessori. Quindi non c’è nulla di cui discutere. È talmente evidente che le sue polemiche scivolano come le unghie sullo specchio.
Nessuno specchio: sono tutte evidenze. Questa sua cieca partigianeria non fa onore al magistero bergogliano. Come non lo fa a quello dei suoi santi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II
Di fronte alla verità può tirare fuori tutti i santi che vuole. Le cose non cambiano.