Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». (Lc 14,25-33)
Continua il racconto del “grande viaggio” di Gesù verso Gerusalemme, durante il quale il Signore, a confronto con i discepoli, con una folla numerosa e con una serie di interlocutori a volte polemici, mette a tema l’esistenza credente, spiegando che cosa significa diventare discepoli e come vivere la sequela.
In particolare, in tre diverse tappe strategiche Gesù si ferma e chiarisce che cosa significa seguirlo e quali conseguenze comporta la decisione di camminare dietro di lui.
Le tre condizioni per servire il Signore
La prima sosta è proprio all’inizio del viaggio, quando tre uomini desiderano unirsi al gruppo dei suoi seguaci (9,57-62; XIII domenica); l’ultima tappa, alle porte di Gerico, è l’incontro con il “giovane ricco” (18,18-30). A metà del viaggio troviamo l’episodio di questa domenica: Gesù stesso prende l’iniziativa di dare alcune spiegazioni alla molta gente che lo accompagna.
I primi versetti presentano due condizioni: per seguire il Signore è necessario amarlo più dei propri cari e della stessa vita.
Viene perciò stabilito un rapporto alternativo tra gli affetti familiari e la sequela.
Occorre evitare, evidentemente, che questa forte affermazione relativa agli affetti familiari sia intesa come se significasse l’univoco rifiuto di attribuire e riconoscere valore ad essi; tutta la tradizione della fede biblica, e in particolare l’interpretazione che i testi di Gen 1–2 danno dei rapporti uomo-donna e della generazione esclude questo tipo di giudizio e di valutazione. Piuttosto, si ribadisce il principio generale: trova la vita chi rinuncia al desiderio di difenderla e, invece, la dà per la causa di Gesù e del vangelo. Ciò vuol dire che soltanto nell’accoglimento pratico della volontà di Dio, cioè nel rapporto di discepolato, si manifesta e insieme si realizza la verità compiuta dei rapporti familiari.
La seconda condizione precisa la sequela nei termini di imitazione del Crocifisso («portare la propria croce»). L’imitazione non è una figura diminuita, non si tratta pertanto di riprodurre un modello esteriore; essa si fonda, infatti, nella precedente iniziativa di Gesù che chiama, che conduce stabilmente il discepolo lungo il cammino, e che, coinvolgendolo nella sua stessa vicenda, determina il contesto entro cui solo può assumere significato il comando di prendere la croce.
La seconda parte del testo aggiunge una ulteriore condizione, chiarita attraverso una micro parabola. Anche se cambia la forma, si tratta comunque della continuazione del discorso, come risulta dalla ripetizione dell’espressione «non può essere mio discepolo».
La terza condizione per seguire Gesù consiste nel rinunciare a tutte le proprie cose. Presupposto per la sequela di Gesù è una scelta radicale che include pure l’abbandono di quel falso fondamento dell’esistenza che è il possesso o l’accumulo di beni.
Chi non è disposto a farlo è come uno che si mette a costruire una torre senza prima averne calcolato la spesa o come un re che va in guerra senza aver fatto il conto dei soldati a disposizione. È un comportamento assurdo di cui tutti si rendono conto, eppure c’è il pericolo che non sia così ovvio. Voler seguire Gesù senza essere disposti a rinunciare a tutto assume i tratti della follia e dell’insipienza.
L’evidenza della fede
Le due parabole presentano un tratto sapienziale, spesso presente in questo genere, qui suggerito dalla formula caratteristica «chi di voi…». Attraverso questa modalità, esse intendono suggerire l’ovvietà delle richieste sorprendentemente radicali poste da Gesù ai suoi seguaci. Se l’imperativo appare “impossibile”, la parabola lo riconduce ad un’evidenza pratica che appare invece subito per tutti convincente. Il tratto sapienziale è proprio la ricerca, nell’ordine ovvio delle cose, di un argomento che suggerisce il senso e l’evidenza delle parole e dei gesti di Gesù che pure, in prima battuta, appaiono sorprendenti e scandalosi.
La parola sapiente dichiara quello che l’esperienza effettiva mostra e che una innaturale cecità impedisce ai più di vedere. L’evidenza a cui la sapienza richiama non è, peraltro, quella dei semplici dati di fatto, ha invece la figura dell’evidenza della fede; in questo caso essa ha come contenuto che la vita dell’uomo è possibile soltanto sul fondamento della fiducia. La fede è il contrario della paura, è l’evidenza che riconosce che non si salva la propria vita proteggendola accanitamente dalla morte, questo, al contrario, è il modo più sicuro di perderla, ma rischiandola con audacia, e che un’abbondanza di vita viene assicurata a chi rifiuta di rassegnarsi di fronte alla morte e alla paura da essa ispirata.
Le due parabole intervengono pure a modificare l’idea che il nostro incontro decisivo con il Signore sia paragonabile all’effetto di un magico impulso che ci condurrà a essere pronti a tutto. Saremo pronti se ci abbiamo pensato bene, se lo avremo voluto.
Allora, se vogliamo veramente seguire Gesù, è decisivo domandarsi dove va, perché la meta è Gerusalemme. Gesù non cattura seguaci, né recluta discepoli ad ogni costo. Egli sa che la voce del Padre ha in sé stessa la sua persuasiva autorevolezza ed essa solo è affidabile per la vita, e che solo sul fondamento della fede si edificano la sequela e il servizio del vangelo.





