Dianich: Le perle di Paolo

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dianich

Una urgenza di annuncio del kerigma, del Vangelo nella sua immediatezza, attraversa il volume che il teologo Severino Dianich ha dato alle stampe: Le perle di Paolo. Un viaggio nelle pagine più belle dell’apostolo (San Paolo, 2025). Come se la spinta secolarizzante nella società e l’analfabetismo religioso diffuso rendessero percorribili solo i messaggi più essenziali e “indifesi” della fede cristiana.

«I cambiamenti che stanno avvenendo, in maniera più vistosa, in questi ultimi decenni portano con sé per la Chiesa il dovere di riprendere il motivo stesso della sua esistenza, cioè la proposta agli uomini del nostro tempo della fede in Gesù, risorto e Signore, o, se si vuole scendere al livello più elementare della sua missione, l’assicurare al mondo il permanere nella storia della memoria storica di Gesù di Nazaret e di quel messaggio che, fino ad oggi, è stato una componente essenziale di tutta una determinata civiltà» (p. 159).

Un compito che spinge Dianich, autore di decine di volumi di grande spessore teorico e teologico, ad applicarsi ad una comunicazione spoglia e immediata nello sforzo di dire l’essenziale della fede cristiana.

Nel volume in questione lo fa attraverso 37 citazioni dalle lettere di san Paolo che organizza su tre piani.

Anzitutto una traduzione originale del singolo testo (per lo più alcuni versetti) svolta con libertà e intesa a esprime nel linguaggio più comune l’insopprimibile impeto di testimonianza che occupa il cuore e la mente dell’apostolo.

Ad essa segue un commento essenziale (una o due pagine) in cui il tema viene sviluppato.

Infine, il testo originale secondo la Bibbia in uso nella Chiesa.

Annunciato e vissuto

Cosi, ad esempio, Dianich traduce i versetti 13-15 di Fil 2: «Ricordatevi sempre che è Dio a darvi la grazia di volere e di fare le cose secondo la sua volontà; abbiate cura quindi, con molto rispetto, della sua opera di salvezza in voi e siate timorosi di non essere all’altezza della situazione. Fate tutto quel che dovete fare senza star lì continuamente a pensarci e a ripensarci: siete figli di Dio; siate quindi irreprensibili e puri, e in questo mondo malvagio e perverso, sia manifesta la vostra irreprensibilità» (p. 149).

Una libertà che non risponde al rigore dell’accademia, ma che persegue l’intento paolino della presentazione di una fede senza orpelli, liberandola da ogni dipendenza esteriore. Al di là dei riti, delle regole, delle formule, «(Paolo) procede senza paura, alieno dalla ricerca di facili compromessi, e senza mai ricorrere a discorsi ambigui, per evitare di scontrarsi con coloro che procedevano su strade diverse. Questa sua sicurezza gli viene dal costante brillare nel suo spirito di quella luce che, sulla via di Damasco, lo aveva avvolto gettandolo a terra e lo aveva accecato fino a che non fu reso capace di aprire gli occhi sul volto di Gesù» (p. 70).

Ciò che lo consuma è l’urgenza di annunciare Cristo crocifisso sapendo che l’Evangelo chiede al testimone la sequela nel cammino di consunzione, di generosità e di amore. «È che egli (Paolo) si immerge senza risparmiarsi in tutti i problemi umani dei suoi fedeli, fino a gustarne tutta l’amarezza, ed è che le folgorazioni della grazia lo sollevano continuamente alla percezione sublime dell’amore di Dio che tutti e tutto sovrasta» (p. 68).

Solo così si formano, grazie all’azione dello Spirito, le comunità cristiane, chiamate a riconoscersi nella gioia e nella responsabilità come corpo di Cristo vivente.

La Chiesa è il segno e l’attestazione della presenza salvifica di Gesù, nonostante le infedeltà che ne accompagnano il cammino storico. La corrente evangelica riemerge sempre rompendo le croste delle superfetazioni favorite dalle fragilità delle comunità, nel passato come nel presente.

Il canto dell’inno alla carità del capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi conclude il cammino dell’apostolo e di chiunque annunci il Vangelo: «Se l’amore è la sintesi di tutta la morale cristiana, è anche la sintesi di tutta la fede: nulla è buono se non c’è amore» (p. 162).

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