Gesù, il figlio

di:

monti

Per Ludwig Monti, ex monaco di Bose e attualmente docente nei licei di Milano e ricercato conferenziere, l’“essenziale cristiano” è Gesù Cristo, il Figlio di Dio. È lui che ha amato ed evangelizzato con la parola e la vita.

L’autore intende non intrattenersi sulle affermazioni della cristologia “alta” dei concili di Nicea e di Constantinopoli, elaborate con le categorie della cultura greca, ma seguire la vita concreta di Gesù come è narrata dagli evangelisti. In questo volume, dopo aver seguito Marco in un’opera precedente, si avvale delle testimonianze di Matteo e di Luca.

La vita di Gesù si svolge in incontri, relazioni, predicazione, passione per l’uomo concreto. La sua è una pro-esistenza appassionata che rivela la sua pre-esistenza presso il Padre.

Gesù è il Figlio di Dio incarnato, che assume su di sé la nostra umanità, anche nelle sue ferite e nelle conseguenze del peccato, per far incrociare Dio con la vita concreta dell’uomo e far intravedere l’amore suo e del Padre anche nella massima delle contraddizioni, la passione e la Croce.

Dio non è estraneo a nessuna situazione umana e in lui l’uomo può trovare un senso alle proprie vicende, anche all’enigma della sofferenza e della morte.

Monti considera il biblista Bruno Maggioni un suo maestro di riferimento e lo cita varie volte.

Nell’Appendice del volume (pp. 191-195) l’autore cita alcune pagine di Maggioni che ben riassumono il pensiero che Monti sviluppa nel suo lavoro. Le seguiamo da vicino.

Quale Figlio di Dio

Maggioni afferma che l’evento cristologico non dice solo che cosa Dio ha rivelato di sé all’uomo, ma anche come lo ha rivelato. Gesù ha comunicato Dio e lo ha reso credibile attraverso la sua dedizione sino al martirio.

Non si può riconoscere la centralità di Gesù Cristo soltanto allineando tutti i suoi misteri (incarnazione, vita nascosta, vita pubblica e missione, parole e miracoli, Croce e risurrezione, ritorno glorioso), ma occorre cogliere il centro ermeneutico che li lega insieme e li chiarifica.

Per Maggioni (e per Monti) il centro è la Croce/risurrezione, con una sottolineatura particolare della Croce. È lì che si rivela la novità del volto di Dio, la sua nascosta e imprevedibile identità: il volto dell’amore che si dona e salva l’uomo condividendone la sconfitta.

La via percorsa dal Gesù terreno è la manifestazione della natura inattesa della gloria di Dio, non il suo nascondimento. La gloria del Risorto, quella con cui tornerà, è il trionfo della dedizione del Crocifisso, non la sua sostituzione con una gloria di altra natura.

Per rivelarsi e comunicarsi, Dio ha scelto la via dell’incarnazione. Dio si è comunicato e rivelato mediante una profonda condivisione dell’esperienza dell’uomo. «La Parola è fatta carne». Pur non perdendo lo splendore che appartiene al Figlio Unigenito, essa non si è espressa saltando l’opacità della storia, ma al contrario servendosene.

La Parola di Dio si comunica mediante una profonda condivisione di esperienza. Gesù si è posto al centro della storia, là dove Dio e l’uomo sembrano contraddirsi, trasformando la contraddizione in rivelazione.

Gesù si è posto al centro, là dove la verità è rifiutata e l’amore sconfitto e dove Dio sembra assente – e l’ha risolta. Proprio perché si è collocato qui, Cristo può dirsi la parola che illumina e convince. Se non ci si colloca qui – afferma Maggioni – né si parla di Dio (che si è rivelato nel Crocifisso) né si parla dell’uomo (che vive nella contraddizione).

Maggioni ricorda che Gesù ha utilizzato tutte le funzioni di parola: l’annuncio, l’insegnamento, la denuncia e la polemica, il dialogo, il paradosso, l’ascolto, la parabola, il miracolo, il silenzio. Nel suo volume, Monti sottolinea e illustra queste diverse modalità espressive nell’esame di alcune pericopi evangeliche.

Maggioni ricorda come la parabola sia un lampo che insieme mostra e nasconde. Questo non semplicemente perché ciò che si intende comunicare è un mistero tanto grande che non può essere detto diversamente, ma perché la sua accoglienza possa appartenere veramente all’uomo, essere una risposta e non una sopraffazione. La parabola crea lo spazio per una libera adesione e sollecita l’intelligenza dell’ascoltatore a intuire e a proseguire.

Anche i miracoli non vogliono essere il segno di ciò che Dio può fare, bensì di chi egli sia. Non privilegiano la potenza, perché Dio non è potenza ma amore. I miracoli di Gesù – e il loro racconto nella Chiesa – preferiscono la “qualità” alla grandiosità. I miracoli, da soli, non sono in grado di comunicare l’identità di Gesù. Dicono che egli è il Messia, ma non ancora quale Messia. Per questo i miracoli nel Vangelo sono accompagnati dal silenzio (cf. specialmente l’imposizione del silenzio nel Vangelo di Marco).

Il “capovolgimento”

L’evento Gesù Cristo porta con sé un grande “capovolgimento”. Il Vangelo non dice anzitutto ciò che cosa deve fare l’uomo: dare la vita per Dio. Il Vangelo racconta innanzitutto che un Figlio di Dio ha dato la vita per l’uomo. Il Signore che lava i piedi ai discepoli: questo è del tutto sorprendente. Questo fatto impone al credente di capovolgere il suo modo di pensare Dio e la sua gloria.

Morire per Dio è impegnativo e ammirevole. Che il Figlio di Dio sua stato crocifisso per noi – e sia morto tra due malfattori – è qualcosa di assolutamente inatteso.

Il Figlio di Dio è venuto nel mondo per salvare il mondo. Non gli è passato accanto, evitando le contraddizioni, ma condividendole. Ha assunto la morte, le conseguenze del peccato, morendo non solo per i peccatori, ma come un peccatore, tra due malfattori.

Il Figlio di Dio ha condiviso il dramma e lo scandalo della menzogna e lo ha vissuto non anzitutto per mostrare quale prezzo occorresse alla giustizia di Dio per riscattare il peccato dell’uomo, ma per mostrare fino a che punto Dio ama l’uomo. Il Crocifisso dice la misura dell’amore di Dio, non soltanto la gravità del peccato.

La storia di Gesù Cristo – prosegue Maggioni condiviso e citato da Monti nel suo lavoro – non permette che l’uomo costruisca astrattamente, fuori della storia, una figura geometrica di Dio, che poi – appena la immergi nella storia e a contatto con le sue contraddizioni – subito si frantuma.

È la figura di Dio degli amici di Giobbe. È la figura diffusa ancora fra i cristiani, di un Dio incapace di sostenere l’urto delle contraddizioni dell’esistenza. La figura di Dio rivelata da Gesù è invece dentro la storia e le sue contraddizioni – delle quali la croce è la gigantografia –, che rivelano il suo vero volto, e non smentendolo.

Maggioni suggerisce una scelta: non un cammino da Dio a Cristo, e nemmeno (prevalentemente) dall’uomo a Cristo, ma da Cristo a Dio e all’uomo. È un cammino che offre due vantaggi: una forte sottolineatura della novità cristiana e la possibilità di far emergere la domanda dell’incontro, come del resto avviene nelle cose della vita.

Se si parte dalle domande che l’uomo già sente dentro di sé, si corre il rischio di arrivare a Gesù imprigionati nelle proprie domande, senza la possibilità che possa correggerle o cambiarle. Se si parte dalla figura di Gesù e dalla sua storia, allora c’è la possibilità che l’incontro faccia sorgere domande più ampie e più consone.

Le note di Maggioni riportate nell’Appendice si concludono affermando che la narrazione della storia di Gesù procede a tre livelli, l’uno nell’altro, quasi senza soluzione di continuità.

Il filo conduttore è la figura di Gesù (persona e storia), che procede in un alternarsi di segni di potenza e di debolezza (la potenza per dire che Gesù è Figlio di Dio, la debolezza per mostrare quale Figlio di Dio).

Nello spazio di Gesù si svela il volto di Dio (un Dio sorprendente!) e in questo stesso spazio si svela anche la verità dell’uomo e il progetto di vita a cui è chiamato.

Questo modo di procedere offre dei vantaggi: la compattezza del discorso e la profonda unità fra rivelazione di Dio e vita dell’uomo.

Il progetto, infatti, non trova la sua figura anzitutto in una serie di comandamenti, ma nella vita di Gesù, addirittura nei tratti del volto di Dio che egli ha rivelato. È quindi una morale molto profonda – sottolinea Maggioni – radicata nella “lieta notizia”.

Anche l’oggi è continuamente presente nel discorso, ma non a lato della narrazione cristologica, né semplicemente a essa accostato, ma dentro la narrazione. L’attualità è nella storia di Gesù, nella figura di Dio e di discepolo che essa svela.

La vita e lo stile di Gesù

Ludwig Monti struttura il proprio lavoro sulla figura di Gesù con tutta la novità che porta con sé, suddividendo la trattazione in cinque passaggi e illustrando il suo discorso con il commento a una quindicina di pericopi evangeliche.

Per quanto riguarda gli inizi, Monti analizza il momento del battesimo, in cui Gesù è rivelato come il Figlio di Dio, l’Amato. Gesù stesso rivelerà la sua dimensione profetica con l’affermazione che lo Spirito del Signore è su di lui, il che realizza la profezia di Is 61.

L’incontro e la guarigione del lebbroso (Mc 1,40-45) mostra all’evidenza come egli abbia preso su di sé le nostre debolezze, come afferma l’evangelista Matteo (cf. 8,16-17).

Gesù è sempre in cammino. Lc 17,11-19 lo mostra mentre attraversa volutamente la Samaria, guarendo dieci lebbrosi, solo uno dei quali torna a ringraziare, lodando Dio e venerando Gesù. «La tua fede ti ha salvato» afferma Gesù: salvezza, vita piena e non solo guarigione fisica.

Gesù richiede una sequela esigente. In Lc 14,25-33 egli afferma che chi non è disposto a lasciare tutto non può essere suo discepolo. Egli è il Figlio dell’uomo che è venuto per servire e dare la propria vita (cf. Mc 10,35-35). Un vero capovolgimento dell’immagine di Dio e della salvezza.

A Gerusalemme, nella prima controversia (cf. Mt 22,15-21), Gesù impone agli scribi e ai farisei di rendere a Cesare quel che è di Cesare – le realtà umane da amministrare – e a Dio quello che è di Dio – tutto l’uomo, immagine di Dio (come suggerito dall’immagine incisa sulla moneta delle tasse).

Nella seconda disputa – con i sadducei che non credono alla risurrezione e accolgono solo i primi cinque libri della Bibbia –, egli sottolinea che Dio non è un Dio di morti, ma di viventi. Il legame che connette al presente Dio con i patriarchi rivela che Dio ama per sempre gli uomini, in un’alleanza che supera l’abisso della morte.

In un’altra controversia (Mt 27,41-46), Gesù rivelerà di essere Figlio di Davide, ma anche suo Signore, Figlio di Dio. Una regalità di tutt’altro tenore rispetto a quella umana. Una regalità che trova la sua massima espressione nel dono della propria vita.

Per quanto riguarda la passione e morte, Monti riflette anzitutto sulla lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1ss), che mostra come Gesù viva nella libertà e per amore, servendo i suoi discepoli come uno schiavo.

Nel giardino del Getsemani egli prega il Padre perché non si faccia come vuole lui, ma come vuole il Padre. Gesù resiste alla morte e al dolore, ma nella preghiera si abbandona con fiducia al progetto che il Padre ha innestato nel suo cuore di Figlio.

Al “buon ladrone” Gesù promette: «Oggi con me sarai nel paradiso» (cf. Lc 23,35-43). Gesù muore come un malfattore, ma rivela che lui è il paradiso, la vita piena per chi condivide il suo progetto e la “buona notizia”.

Per quanto riguarda la risurrezione, Monti si sofferma sul sepolcro vuoto (cf. Mc 16,1-8), con lo stupore e la paura che le donne provano di fronte al mistero e all’inaudito di una vita nuova che ha toccato la persona del loro maestro.

Nella sua prima conclusione, il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con i suoi discepoli rinserrati nel cenacolo per la paura. Infonde loro la pace, la gioia, la missione, la capacità di perdonare sempre.

Tommaso – senza toccare le piaghe di Gesù – pronuncia la più alta delle professioni di fede del Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio!». E il redattore finale del Vangelo ricorda che le parole e le vicende di Gesù riportate nel Vangelo sono state scritte «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio» (cf. Gv 20,19-31).

Nella versione lucana degli incontri pasquali di Gesù con i discepoli, Gesù afferma fra l’altro che «bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me» (cf. Lc 24,44). Egli rivela in tal modo che è il Figlio di Dio profetizzato dalle Scritture, ma nella modalità del Crocifisso Risorto, che porta con sé nella vita divina definitiva i segni concreti della sua passione.

Il Risorto non abbandona gli uomini che vivono le contraddizioni e le tragedie della storia, ma le assume su di sé e le trasfigura in Dio, dando loro non una spiegazione teorica ma un senso concreto, derivante da una profonda condivisione di vita vissuta con gli uomini, con passione, amore e libertà.

Nella Conclusione (pp. 173-190) Monti medita sul tema “Figli nel Figlio”, commentando il brano escatologico di Mc 13 e paralleli. mettendo in evidenza i verbi della vigilanza, quale atteggiamento proprio del discepolo che aspetta il ritorno del Cristo nella gloria.

Occorre essere aderenti alla vita del mondo e alla vita degli uomini, con relazioni appassionate ed empatiche. Solo così si è discepoli di colui che ha capovolto per sempre l’immagine di Dio e del suo rapporto con gli uomini.

Un bel testo di meditazione, scritto con passione e semplicità, andando al nocciolo della novità cristiana: un Dio che in Gesù ama gli uomini fino a dare la propria vita.

Ludwig Monti, Il Figlio, Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2025, pp. 208, € 15,00, ISBN 9788892246942.

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2 Commenti

  1. Pier Giuseppe Levoni 13 aprile 2025
  2. don Gianni 13 aprile 2025

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