
Secondo il pensiero di E.J. Bickermann – citato nell’introduzione dalla docente della Pontificia Università Urbaniana di Roma, laica e sposata, grande esperta dei libri profetici e dell’AT in genere – il libro di Daniele è un testo bizzarro o “stravagante” per vari motivi: ad esempio, nei primi sei capitoli, scritti in terza persona, Daniele è un personaggio intraprendente, un saggio capace di interpretare i sogni del re, mentre nella seconda parte del libro (cc. 7–12), scritti in prima persona, egli ha bisogno dell’aiuto di un angelo per comprendere le visioni di cui gode.
La prima parte del libro presenta per lo più racconti, mentre nella seconda sono riportate diverse visioni.
Testo, posizione nel canone, struttura
Il libro è scritto in tre lingue: ebraico (1,1–2,4a; 8,1–12,13), aramaico (2,4b–7,28) e greco (3,24–90; cc. 13–14: queste parti non esistono in ebraico e aramaico).
La versione greca del libro ci è giunta in due versioni, quella dei LXX e quella di Teodozione, che è più vicina al testo ebraico. Entrambe le edizioni esibiscono un testo più ampio rispetto a quello ebraico masoretico e organizzano i capitoli in modo diverso. Ad esempio, i LXX inseriscono la storia di Susanna e di Bel il drago alla fine del libro (cc. 13–14), mentre la versione di Teodozione riporta la storia di Susanna all’inizio dello scritto.
La tradizione latina del libro di Daniele accetta il testo con le integrazioni greche, considerate in genere deuterocanoniche, complicando ulteriormente la situazione testuale del libro di Daniele. Forse l’autore è passato dall’ebraico all’aramaico e al greco, perché si domandava se bisognasse usare la lingua santa, a costo di apparire artificiale, o quelle parlate, col rischio di perdere parte della propria identità.
Nel suo commento l’autrice prende in esame il libro nel suo insieme, seguendo la traduzione della CEI.
Nella tradizione ebraica, Daniele si trova nella terza parte della Bibbia, cioè negli Scritti, forse a motivo dell’epoca recente in cui il libro fu scritto, probabilmente attorno al II secolo a.C. È inserito tra Ester e Esdra-Neemia. Ciò può avere un significato teologico.
Daniele ed Ester raccontano, infatti, una storia fittizia di due ebrei che si trovano alla corte di un re straniero e affrontano, con soluzioni diverse, lo stesso problema: come mantenere ed esprimere la propria identità in un paese straniero e in un contesto potenzialmente o effettivamente ostile? Ester segue la via dell’integrazione, come Giuseppe (cf. Gen 37–50), mentre Daniele preferisce mantenere le sue tradizioni religiose, ad esempio in termini alimentari e rifiutandosi di adorare la statua del re.
Nella tradizione cristiana, Daniele segue Ezechiele, con il quale condivide il genere letterario apocalittico, e precede i Dodici, è cioè annoverato tra i profeti maggiori (Isaia, Geremia, Ezechiele).
Nel codice greco Vaticano, poi, Daniele è inserito alla fine dell’Antico Testamento, anticipando in tal modo il Vangelo di Matteo, che parla della venuta del Figlio dell’Uomo (Mt 26,24; Dn 7,13) e della risurrezione futura, un tema adombrato in 12,2.
Fatta eccezione per il codice Vaticano, entrambe le collocazioni del libro di Daniele hanno un senso teologico, tra le quali – secondo la studiosa – non è necessario scegliere.
Circa la struttura, alcuni autori preferiscono una divisione bipartita: cc. 1–6 (racconti relativi a Daniele e compagni) e 7–12 (visioni di Daniele) e non prendono in conto Dn 13–14 (cf. A. Gianto). Altri propendono per una tripartizione: dopo l’introduzione (c. 1) seguono in forma chiastica A 2–7 narrazioni; B 8–12 visioni; A’ 13–14 narrazioni (L. Alonso Schökel; B. Marconcini).
Secondo Scaiola, il c. 7 è il centro del libro, il suo snodo. Diverse ragioni lo possono collegare sia a ciò che precede sia a ciò che segue. Scaiola legge il libro nella sua interezza, cc. 13–14 compresi (non considerati appendici deuterocanoniche).
Genere letterario, datazione, finalità
L’autrice presenta le ipotesi avanzate dagli studiosi circa il genere letterario: racconti sul successo che alcuni ebrei raggiungono in un paese straniero potenzialmente ostile; storie di antagonismo nei confronti di un impero straniero; visioni che spiegano il senso della storia, partendo dall’esilio babilonese e arrivando alla fine del mondo.
Temi dibattuti sono l’identificazione del Figlio dell’Uomo del c. 7 e i suoi rapporti con la tradizione enochica.
Un altro tema dibattuto riguarda il rapporto tra il libro di Daniele e l’apocalittica.
Circa la datazione, va tenuto presente che il setting in cui è ambientato il libro è la Babilonia degli esiliati, ma il contesto storico reale è rappresentato dall’epoca di Antioco IV Epìfane.
La redazione finale del libro sembra potersi collocare attorno al 164 a.C., al tempo appunto di Antioco Epìfane (175-164 a.C.). Il re seleucida cercò di imporre con la forza la cultura ellenistica in Palestina e, di conseguenza, viene descritto nel libro come una figura totalmente negativa, il modello del persecutore religioso, che diventerà addirittura il tipo dell’anticristo in epoca cristiana.
Circa la finalità del libro, Scaiola sostiene che l’autore intendeva sostenere i suoi compatrioti che soffrivano a motivo della persecuzione scatenata da Antioco IV Epìfane e lo fa creando una biografia immaginaria di Daniele, un giudeo deportato a Babilonia da Nabucodònosor nel 605 a.C., che viene educato alla corte insieme a tre amici.
Daniele (“chi mi giudica è Dio”), è un nome che ricorre anche altrove nell’AT ed è riferito a diversi personaggi: un eroe del passato menzionato assieme a Noè e a Giobbe in Ez 14, 14.20; 28,3; un figlio di Davide (1Cr 3,1); un reduce dall’esilio babilonese (Esd 8,2); un sacerdote che ha sottoscritto un patto al tempo di Neemia (Ne 10,7). Questo nome appare anche nel Libro di Enoch.
L’autore del libro probabilmente prende spunto da alcune leggende che circolavano in vari ambienti e che ruotavano attorno a un eroe particolarmente saggio, e l’ha reso Daniele, un giudeo esiliato a Babilonia.
Temi teologici fondamentali
Il libro descrive una possibile risposta all’oppressione, offrendo motivi di speranza al credente che, a motivo della sua fedeltà a Dio, ha perso ogni sicurezza umana.
A sostengo di tale speranza, l’autore offre una lettura della storia che fa riferimento all’avvento del regno di Dio, che contrasta le potenze politiche attuali, delle quali si decreta la fine. Questa attestazione di fede viene declinata in maniera differenziata nei racconti della prima parte e nelle visioni, di carattere apocalittico, dei cc. 8–12.
Il libro presenta questioni molto attuali. Ed esempio: dov’è Dio, quando il potente opprime il debole? Come bisogna comportarsi di fronte al male, soprattutto quando esso sembra prevalere sul bene? Il libro di Daniele, e l’apocalittica in genere, pongono, secondo Scaiola, il problema del rapporto tra fede e cultura che, sia storicamente sia all’interno della Bibbia, hanno, di volta in volta, assunto o la forma del dialogo o quella dell’opposizione.
Nel libro emerge anche con forza la necessità di fare una scelta radicale nei confronti della volontà di Dio, un’opzione che non ammette la possibilità di assumere una posizione intermedia.
Scaiola accenna, infine, alla rilevanza che l’intertestualità ha nell’interpretazione del libro, il quale si presenta come una scrittura costruita su altre scritture.
L’autrice accenna, ad esempio, al fatto che Dn 2 è un midrash di Gen 41; Dn 9 rilegge Geremia; l’idea è che la lettura della Scrittura costituisca uno strumento imprescindibile nel discernimento del tempo in cui il credente si trova a vivere.
La struttura del volume
Scaiola analizza alcuni capitoli del libro di Daniele seguendo le tappe caratteristiche della collana in cui questo suo volume è inserito: testo e struttura, lettura (con la suddivisione del testo in pericopi distinte e titolate), interpretazione, attualizzazione.
La studiosa analizza dapprima Dn 1 (“Alla corte del re Nabucodònosor”) e poi il c. 2 (“Il sogno di Nabucodònosor”), che è un racconto relativo all’interpretazione del sogno del re. I cc. 3–4 sono tralasciati, dal momento che affrontano lo stesso tema. Si studia quindi il c. 3 (“Dalla fornace ardente si innalza la lode”), un racconto di persecuzione in cui compaiono tre giovani e si innalza la preghiera di Azaria e il cantico dei tre giovani. Il c. 3 è parallelo al c. 6.
Particolare attenzione viene posta al c. 7 (“La visione del Figlio dell’Uomo”), considerato da Scaiola il centro del libro e di grande rilevanza sia per l’AT che per il NT. Dopo l’introduzione, seguono la visione, la sua interpretazione, la spiegazione della visione delle bestie, la quarta bestia e la conclusione.
Per la parte che riguarda le visioni, Scaiola analizza i cc. 8–9 (incentrati sulla storia e la sua interpretazione) e il c. 12, che allude al tema della risurrezione.
Chiude il volume l’analisi di Dn 13, che riporta la storia di Susanna. Molti autori considerano i cc. 13–14 come un’appendice deuterocanonica e non li prendono in esame nei loro studi. Dopo l’introduzione, seguono la presentazione degli anziani, Susanna e gli anziani, il processo, Daniele, la conclusione.
Il volume è arricchito da un “piccolo lessico” (“piccolo” ma molto utile) (pp. 123-128) e dalla bibliografia (pp. 129-132).
A mo’ di esempio, citiamo la spiegazione del titolo “Figlio dell’uomo”. «Questa espressione – scrive l’autrice – significa semplicemente “uomo”, un essere umano distinto dagli animali e dagli esseri celesti. All’interno del mondo giudaico questo significato perdura fino al II sec. a.C. e anche nel libro di Daniele l’espressione, senza articolo, conserva tale significato. A partire da Dn 7, tuttavia, cominceranno speculazioni sull’esistenza di un personaggio particolare così chiamato. Ad esempio, nel Libro delle parabole di Enoch, “il figlio dell’uomo” diventa un epiteto applicato ad una figura messianica e, in seguito, diventerà un importante titolo cristologico» (p. 125).
Nella conclusione, Scaiola conferma che il libro di Daniele è un libro bizzarro, sconcertante e, per certi aspetti, anche unico (trilingue, posto tra i Profeti nella tradizione cattolica, tra gli Scritti in quella ebraica). Daniele, però, è un libro interessante e attuale perché propone un’articolata interpretazione della storia, un’originale reinterpretazione di testi biblici precedenti e un’ampia riflessione sul tempo e sul potere.
Il volume di Scaiola è una preziosa e accessibile introduzione sintetica a un libro non facile della Bibbia.
- DANIELE. Introduzione e commento di DONATELLA SCAIOLA (Dabar – Logos – Parola; Lectio divina popolare), Edizioni Messaggero, Padova 2025, pp. 136, € 18,00, ISBN 9788825055016.





