Caso Acutis: note a margine

di:

acutis

La canonizzazione di Carlo Acutis era diventata un «caso» ben prima degli interventi di Andrea Grillo sulla propagazione e uso dei miracoli eucaristici su cui ha finito per fare perno il processo canonico.

Se si guarda ai dubia mossi, si può dire che Carlo è riuscito a fare il «miracolo» di risultare indigesto su tutti i lati della nostra litigiosa comunità ecclesiale cattolica.

In questo frullio di contestazioni, ad Andrea Grillo va dato il merito non solo di aver articolato le ragioni dell’opportunità o meno dell’elevazione del vissuto del giovane milanese a modello per la Chiesa universale, ma anche e soprattutto di aver cercato di mettere in luce l’auto-comprensione della Chiesa cattolica che si lega alla dichiarazione di esemplarità per la fede – soprattutto per quella delle generazioni più giovani.

Dove si è cercato di comprendere il senso delle critiche mosse da Grillo, si è pian piano configurato un dibattito di qualità e sicuro interesse – anche quando non le si condivideva, o si riteneva che il vero focus del «caso» Acutis fosse da cercare altrove (e non tanto nella sua personale devozione eucaristica e nella «teologia» che ne veniva conseguentemente espressa in maniera indiretta).

***

Non sono mancati interventi che sono passati dalla «cosa» in discussione alla «persona» che si era preso la briga di rompere il silenzio italiano in materia di canonizzazione di Acutis. Una procedura, questa, sempre più in voga anche all’interno del mondo cattolico che si esprime sulla rete.

Nel leggere alcune delle reazioni di questo tipo, si ha come l’impressione di una scarsa tolleranza alla riflessione, al contraddittorio, all’approfondimento sulle conseguenze delle decisioni che la Chiesa cattolica prende – anche in forma solenne e impegnativa per tutta la comunità.

Ma è proprio perché decisioni di questo tipo coinvolgono tutto il corpo dei credenti, è bene che essi partecipino al dibattito pubblico sulla loro opportunità o meno. La corporazione dei teologi e delle teologhe esiste anche proprio per questo all’interno di quella comunità di fede che si chiama Chiesa cattolica.

È un loro dovere addurre le ragioni, pro o contro che siano, in materie che decidono della destinazione della Chiesa e del modo in cui essa viene percepita da quelli che sono i suoi destinatari (potenzialmente ogni uomo e ogni donna, in ogni tempo).

***

Da quanto emerso fino a questo momento, tanto nel dibattito teologico quanto nell’iter che ha portato alla canonizzazione di Carlo Acutis, mi sembra sia possibile evincere alcuni punti fermi che potrebbero meritare una qualche riflessione non di maniera da parte dell’intera comunità ecclesiale.

Un primo aspetto è quello della estrema imperfezione della «perfezione» cristiana – quella che, abitualmente, chiamiamo santità. Più i santi sono prossimi al nostro tempo, alle sue alterne e complesse vicende, più la trasparenza della loro testimonianza appare attraversata anche da ombre che prestano il fianco a lecite obiezioni. Un prezzo da pagare, questo, quasi inevitabile per ogni santità cristiana sincronica.

Oggi, poi, ci si rende conto come anche quella asincronica sia attraversata da una sua problematicità: perché quanto poteva essere esemplare in una determinata epoca della Chiesa cattolica può non esserlo più in un’altra. Spesso, in casi come questo, si mette in campo una stentata ermeneutica della giustificazione che fatica a convincere fino in fondo.

Il fatto è che i santi e le sante sono persone del loro tempo, nel quale vivono e di cui sono impregnate. Ed è rispetto al loro tempo che devono essere sottoposte al giudizio della Chiesa cattolica e alla prova del mondo. Questo, però, non toglie la questione sull’opportunità del loro culto in tempi diversi dai loro.

E non toglie nemmeno il fatto che, proprio per ragioni di opportunità, la Chiesa cattolica, nel punto massimo della sua autorevolezza, sia giunta a sospendere il suo giudizio già dato (cosa accaduta, ad esempio, con la beatificazione sospesa del fondatore della congregazione dehoniana p. Leone Dehon).

***

Un secondo aspetto che sta emergendo dal «caso» Acutis è l’estrema fragilità, se non addirittura l’impossibilità, di una esemplarità universale del vissuto cristiano – per gli stessi fedeli cattolici.

Il processo di canonizzazione, ossia l’elevazione del culto e venerazione di un santo/una santa per tutta la Chiesa cattolica nella sua universalità, va a sbattere contro un suo limite paradossale. Perché un santo, in questo caso Carlo Acutis, vive nel suo tempo e nel suo contesto socio-culturale ed ecclesiale a «modo suo». Ed è proprio in questo modo-suo, in rapporto con il suo ambiente di vita e di fede, che sta il senso dell’eventuale santità del vissuto cristiano di una persona.

È chiaro, dunque, che l’universalizzazione del culto è fortemente intrisa di particolarità – ed è proprio quest’ultima che frena la possibilità efficace di ogni procedura di universalizzazione.

Cosa può dire, immediatamente (perché questa è una delle caratteristiche della devozione, anche di quella verso i santi e le sante), un ragazzino milanese a un adolescente che vive nei barrios di Caracas (tra l’altro separati tra di loro da più di 20 anni, che oggi sono già due epoche diverse della vicenda umana su questa nostra terra)? Poco, a volte forse nulla.

Quanto il «caso» Acutis permette di cogliere è, quindi, l’esigenza di tornare a pensare (sia come corporazione teologica, sia come comunità ecclesiale in tutta la sua ampiezza) il tema della santità nella Chiesa cattolica. Certo, anche quella personale, della «porta accanto» come la chiamava papa Francesco, oppure quella che travalica le stesse barriere confessionali cristiane.

Ma soprattutto quella che viene formalmente riconosciuta dalla parola autorevole della Chiesa cattolica. Oggi siamo molto più consapevoli dell’estrema complessità della sua unità di fondo, e di cosa questo significhi per il governo istituzionale della Chiesa stessa. Ciò chiede di rivedere una procedura, in cui la Chiesa cattolica mette in gioco una delle sue note essenziali, che è ancora intrisa, da cima a fondo, di una concezione fortemente uniforme (e idealizzata) della stessa unità cattolica della fede.

La dichiarazione di universalità del culto dato a un vissuto cristiano, che ne implica una sua esemplarizzazione a livello globale, è un atto del potere di governo della Chiesa cattolica – e non un’espressione della pietas dell’istituzione ecclesiale.

Nell’atto in cui un’esperienza della fede viene offerta al culto e alla venerazione di tutti i fedeli, ovunque essi si trovino (e per sempre), è in gioco il potere della Chiesa cattolica e non la devozione dei credenti. Non si tratta, quindi, solo di indagare la relazione fra teologia e devozione (se una ve n’è, visto che, in merito, i pareri sembrano essere discordanti), ma anche e soprattutto quella fra potere istituzionale e devozione dei (alcuni) credenti.

***

In un suo intervento nel dibattito sul «caso» Acutis, Marinella Perroni sottolineava l’importanza di essere consapevoli della distanza che intercorre fra realtà e interpretazione – e dell’individuazione di chi siano i soggetti dell’interpretazione. Sottointeso a tutto questo sta l’importanza, per chi interpreta, di tenere conto del contesto in cui si è dipanata la vita breve di Carlo Acutis.

Aggiungerei che anche coloro che hanno vissuto in prima persona quel contesto, come la madre di Carlo e tutta la sua famiglia, stanno già in un rapporto di distanza e alterità rispetto alla realtà concreta che fu Carlo Acutis. Di lui, quelle persone che gli furono in molti modi vicino, sono portatrici dell’impatto che il suo vissuto ebbe su di loro – prima o dopo la sua morte.

A questo contesto, in tutta la vicenda, mi sembra non si sia data troppa attenzione – magari anche solo per dire che bisognerebbe conoscerlo più a fondo. Con tutti gli esterni al contesto complessivo del vissuto di fede di Carlo Acutis condivido la scarsa conoscenza; ma sento che esso non rappresenta semplicemente uno sfondo irrilevante.

***

Devo ringraziare un mio compagno di liceo che, in maniera estremamente discreta e desiderosa di custodire una buona (che vuol dire il più reale possibile) memoria di Carlo, mi ha permesso di gettare un fugace sguardo proprio sul contesto e sulle atmosfere di vita di Carlo Acutis e della sua famiglia.

Posso procedere solo con rapide pennellate, perché mi mancano molti colori per poter disegnare il quadro contestuale in maniera adeguata. Però quei pochi che il mio amico di antica data ha posto sulla tavolozza del pensare teologico hanno aperto orizzonti che prima non ero stato capace di cogliere.

Mi limito a uno solo, quello che forse è in grado di intercettare in un qualche modo le critiche (pertinenti, a mio avviso) avanzate da Andrea Grillo in merito ad alcune distorsioni nella devozione eucaristica di Carlo Acutis – e alla loro amplificazione dovuta ai divulgatori ecclesiastici del culto a questo santo dei nostri giorni (più o meno).

Quella di Carlo è una famiglia in cui si intrecciano due filoni di cultura e statuto sociale dell’Italia settentrionale – con più precisione di Torino: quello dell’alta borghesia imprenditoriale piemontese, con una sua non marginale attenzione al sociale unita a un senso di responsabilità civile verso il vissuto condiviso della socialità umana, da un lato; e, dall’altro, quello della nobiltà sabauda.

Due sono gli aspetti comuni a questi portati socio-culturali che si sono incontrati nella famiglia di Carlo Acutis: il primo è quello di una laicità, magari non così aggressiva come quella dei cugini francesi, ma comunque pensata e argomentata; il secondo è quello della razionalità come principio cardine intorno a cui organizzare anche il vissuto esistenziale di una vicenda umana.

Già questo abozzo di contesto, perché nulla di più è, permette di comprendere sia alcune forzature «ideali» che hanno caratterizzato il vissuto di Carlo Acutis per ciò che è accessibile a noi altri; sia la sua ricerca di un’atmosfera calorosa dell’esperienza cristiana, di un appoggioper la sua fede in costruzione che fosse al tempo stesso sensibile e concreto, che sfuggisse al dominio della pura razionalità.

Questi due tratti si congiungono, a mio avviso, proprio nella problematicità della sua devozione eucaristica. Che, in un certo qual modo, probabilmente lo isolava già dai suoi coetanei e amici quotidiani dell’oratorio milanese che frequentava, ma che aveva certamente un senso per lui e per la sua storia di fede.

Questo permette di comprendere un po’ di più la «distorsione» eucaristica della sua devozione personale – fatto questo che nulla toglie alla legittimità della verifica teologica del suo senso per la fede di tutti e tutte. Provo a riformulare in altro modo il nocciolo duro delle obiezioni mosse da Andrea Grillo: perché si è scelto di fare di questo aspetto, estremamente intimo/personale e contestuale (quindi squisitamente particolare), il perno di tutta la procedura di canonizzazione, di pubblicizzazione ecclesiastica della figura di Carlo Acutis, e di esemplarizzazione universale della sua esperienza cristiana?

Perché si è scelto qualcosa che lo rendeva alternativo non al mondo si badi bene, ma ai suoi stessi amici in oratorio che condividevano con lui la fede in Gesù?

***

Ma vi è un secondo contesto, più ampio, che deve essere interrogato: quello della diocesi milanese e della sua pastorale giovanile. Quando Carlo Acutis inizia a frequentare una scuola cattolica della città e l’oratorio della sua parrocchia, Martini non è più alla guida della Chiesa milanese da qualche anno.

La Milano di Martini è stata il luogo di un esperimento credente singolare: quello della gestazione di una devozione comunitaria ispirata dalle idee portanti del Vaticano II – la lectio divina. La mia generazione ha fatto propria con convinzione questa devozione alla Scrittura, che è divenuta una vera e propria segnatura riconoscibile della fede dei giovani di quel tempo.

Io e i miei coscritti potremmo essere i genitori di Carlo, per quanto riguarda l’età. Quindi deve essere successo qualcosa nella tradizione generazionale di questa devozione conciliare alla Scrittura – perché, mutatis mutandis, la distanza della devozione della fede dei giovani dopo di noi dall’adesione lieta e calorosa alle Scritture è qualcosa che non riguarda solo Carlo Acutis.

In merito, vi è un capitolo della storia pastorale della Chiesa di Milano che rimane ancora tutto da scrivere, per cercare di comprendere perché e in quali modi, nell’arco di una sola generazione, il tentativo di dare forma a una devozione condivisa, comune e accomunante, si è sostanzialmente dissolto nel nulla.

***

Dunque, cosa voleva il governo della Chiesa e il suo potere con la canonizzazione di Carlo Acutis? Credo che, in fin dei conti, l’intenzione fosse buona – ma anche abbastanza ingenua: quella di avere un santo che proveniva dalla generazione digitale, pensando che questo fosse sufficiente a superare lo iato che c’è oggi fra la Chiesa cattolica e i giovani e le giovani occidentali.

Forse, dietro questo, in alcuni esponenti ecclesiastici ci stava e sta anche una sottile perversione – che suona più o meno così: è uno dei vostri, noi lo riconosciamo come esemplare (per noi, ma questo non lo dicono), quindi se non fate come ha fatto lui siete voi a essere nel torto e nell’errore – e noi siamo a posto con la nostra coscienza e possiamo finalmente smantellare tutta la preoccupazione per una riforma della pastorale giovanile e per il rapporto tra la Chiesa cattolica e il mondo odierno.

L’ingenuità sta nel pensare che oggi una distanza di 20 anni significhi appartenere alla medesima generazione. Ma non è così: gli adolescenti di oggi sono letteralmente un altro mondo rispetto a Carlo Acutis – e lo sentono molto più lontano e alieno di quanto io possa sentire rispetto a san Tommaso d’Aquino.

E sono proprio i due punti messi più in risalto dalla pubblicità ecclesiastica che rendono Carlo Acutis un «reperto archeologico» per giovani che vivono solo vent’anni dopo la sua morte – ossia, la competenza digitale e la devozione eucaristica.

La Chiesa cattolica ha volutamente scelto di tralasciare quelle «devozioni» che avrebbero potuto rendere Carlo sintonico con i giovani che calcano oggi la scena del mondo occidentale. In particolare penso qui alla sua passione sociale fatta di prossimità ai poveri, agli emarginati, agli stessi immigrati – rispetto ai quali la buona fede dell’alta borghesia milanese sarebbe (stata) disposta a dare sì dei soldi, ma non certo a condividere con loro la tavola, come fece Carlo.

Questo sentire prossimi coloro che stanno dalla parte sbagliata del mondo, dalle logiche che lo guidano, dare loro il proprio tempo scoprendo che questo è atto dovuto – ossia la giusta restituzione di qualcosa che appartiene a loro e non a me –, ecco forse un punto di aggancio devozionale che sarebbe in grado di offrire una chiave di interpretazione evangelica per ciò che i giovani oggi fanno e sentono. Chiave che apre all’intimità del «lo avete fatto a me» proprio davanti all’onestà della confessione che riconosce «ma quando mai ti abbiamo incontrato?».

***

Siamo solo agli inizi e, forse, c’è ancora tempo per la nostra Chiesa di non fare del «caso» Acutis una occasione mancata – con tutti i distinguo che la teologia ha il dovere di apportare in una materia così importante per l’auto-comprensione della Chiesa cattolica e il suo posizionamento rispetto alla vita delle persone che esistono realmente.

Probabilmente il rischio più grande racchiuso nella distorsione della devozione eucaristica di Carlo Acutis, messa in risalto dagli articoli di Andrea Grillo, è quello di fare del giovane santo milanese una sorta di modello neo-clericale – un clone digitale del santo Curato d’Ars, più che il reale di un ragazzo degli oratori milanesi di inizio XXI secolo.

Mi sembra che sia il processo di canonizzazione, sia l’immaginario pubblico che la vocalità ecclesiastica va creando intorno al nuovo santo, spingano proprio in questa direzione.

Certo, la forza meccanica dell’apparato istituzionale lascia poco spazio per resistere a questa distorsione clericale dell’esperienza umana e di fede del nostro giovane santo, ma bisogna anche guardare alle nostre responsabilità – e per nostre intendo quelle di quei giovani milanesi di allora che, come me, ebbero la grazia di poter praticare una devozione alla Scrittura che ci ha permesso di vivere in presa diretta col mondo così come è – leggendolo, interpretandolo e comprendendolo alla luce della Parola.

Ogni tanto penso che questa mia generazione abbia attuato le intuizioni più luminose del Vaticano II a proprio esclusivo favore – senza pensare ai giovani che sarebbero venuti dopo di noi, tra i quali c’è anche Carlo Acutis.

Print Friendly, PDF & Email

18 Commenti

  1. Matteo De Matteis 13 agosto 2025
  2. Luigi 1941 15 luglio 2025
  3. Giuliano Minelli 15 luglio 2025
  4. Mauro 12 luglio 2025
  5. Fabio Cittadini 10 luglio 2025
    • Angela 11 luglio 2025
      • Angela 11 luglio 2025
    • Anima errante 11 luglio 2025
      • Angela 11 luglio 2025
        • Valentina 11 luglio 2025
          • Valentina 12 luglio 2025
      • Pietro 11 luglio 2025
  6. Antonio Franceschi 10 luglio 2025
  7. Adriano Bregolin 10 luglio 2025
    • Claudio 12 luglio 2025
  8. Angela 10 luglio 2025
  9. Adelmo Li Cauzi 10 luglio 2025
  10. 68ina felice 10 luglio 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto