Cechia: da Chiesa europea a Chiesa identitaria

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Il card. Duka con il presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman

Il card. Duka con il presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman

La Chiesa ceca ha subito un drastico cambiamento negli ultimi dieci anni. Se, nel quadro della rivoluzione democratica del 1989, si è distinta come Chiesa locale dell’Europa occidentale (questo almeno nelle élites e negli atteggiamenti di fondo), dal 2015, come la Chiesa cattolica in Polonia e in Slovacchia, ha privilegiato un percorso che potremmo dire conservatore. Rifletteremo sulle cause di questa inversione di tendenza, sulle sue conseguenze e sulle opzioni ora disponibili.

La posizione del cristianesimo nella società ceca moderna a partire dal XIX secolo è stata molto complicata e ambivalente. Da un lato, il cattolicesimo è stato ufficialmente la religione di Stato fino alla caduta della monarchia austriaca nel 1918, con tutti i suoi privilegi, l’influenza sull’organizzazione dello Stato e della società, le reti istituzionali di vasta portata e le proprietà.

D’altro lato, i territori cechi avevano subito una massiccia secolarizzazione nel corso del XIX secolo e molte persone, soprattutto l’élite culturale e la classe operaia, si sono allontanate dalla religione e dalla Chiesa. Nei circoli politici e culturali cechi è prevalsa un’ideologia storica che vede il cattolicesimo come un corpo estraneo nel corpo della nazione, coinvolto nella minaccia all’identità nazionale o addirittura alla sua stessa esistenza nei secoli XVII e XVIII. Tuttavia, questo non significa che le persone abbiano cambiato denominazione e si siano convertite a Chiese non cattoliche; molto più spesso sono rimaste non confessionali o semplicemente formalmente cattoliche.

Il periodo della Prima Repubblica cecoslovacca ha portato queste tendenze alla ribalta e le ha intensificate, poiché milioni di persone hanno abbandonato la Chiesa. Tutte le tendenze alla secolarizzazione sono state rafforzate durante l’era comunista dalla soppressione delle Chiese e delle religioni imposta dallo Stato. D’altra parte, la persecuzione da parte del regime totalitario ha dato credibilità alla Chiesa e ha suscitato la simpatia di una parte dell’opinione pubblica. Nonostante una certa ripresa negli anni ’80, la Repubblica Ceca è una delle società più secolarizzate al mondo.

Nuove prospettive dopo il 1989

Dopo la rivoluzione democratica del 1989, l’impatto morale della Chiesa cattolica in Cechia era alta. L’arcivescovo di Praga, il cardinale Tomášek, dichiarò in un momento decisivo che la Chiesa era dalla parte della nazione; molti cattolici, ad esempio il sacerdote dissidente Václav Malý, che moderò le manifestazioni di massa a Praga, emersero come protagonisti del cambiamento democratico. Le speranze furono rafforzate anche dalla visita del papa polacco Giovanni Paolo II nella primavera del 1990. La Chiesa si gettò a capofitto nel rinnovamento delle sue strutture e istituzioni, furono riaperte scuole cattoliche e ne furono fondate di nuove, fu ripristinata la Caritas e gli ordini religiosi poterono finalmente legalizzare le loro attività.

La posizione della Chiesa era talmente consolidata che si pensò di restituire i beni confiscati, in cambio dei quali lo Stato si era impegnato nel 1950 a coprire tutte le necessità della Chiesa. Nei primi anni, tuttavia, si ottenne solo un parziale ripristino degli edifici dell’ordine. Ulteriori soluzioni furono rimandate a futuri negoziati politici, che regolarmente fallirono per lungo tempo, lasciando la Chiesa dipendente dai contributi statali per gli stipendi e le attività pastorali.

L’accresciuta fiducia in sé stessi e il rinnovamento in corso portano facilmente alla tentazione di aspirare ancora una volta allo status di Chiesa popolare nazionale. La consacrazione della nazione alla Vergine Maria, a Velehrad nel 1993, avvenne senza grandi discussioni all’interno della Chiesa, incontrando invece resistenze in alcuni ambienti politici e nella società.

La continua tendenza all’estraneazione tra la società e la Chiesa cattolica divenne evidente durante la seconda visita papale del 1995. I vescovi moravi completarono il processo di canonizzazione di Giovanni Sarkander, un sacerdote che aveva subito il martirio durante le guerre confessionali all’inizio del XVII secolo ed era stato uno zelante ricattolicizzatore – questo fu inteso dalle Chiese non cattoliche e da alcuni settori dell’opinione pubblica come simbolo dell’ambizione della Chiesa cattolica di dominare la sfera pubblica e diventare un’ideologia di Stato che cercava di sostituire il marxismo.

Il peggio fu evitato quando, all’ultimo minuto, la Chiesa cattolica decise di aggiungere alla canonizzazione di Sarkander anche quella di Zdislava von Lemberk – figura su cui tutti potevano facilmente concordare, in quanto appartenente al movimento delle pie principesse impegnate in cause caritatevoli all’inizio del XIII secolo.

Dominic Duka, allora provinciale domenicano, dichiarò che la Chiesa stava fallendo poiché si concentrava troppo sul rinnovamento delle strutture e delle istituzioni e non riusciva a spiegare e a evidenziare il suo contributo e il suo ruolo nella società. Tuttavia, l’atteggiamento generale della Chiesa cattolica ceca era piuttosto filo-occidentale, i vescovi sostenevano l’adesione alle strutture europee, visitavano i loro colleghi in Occidente – anche perché dall’Europa occidentale arrivavano massicci aiuti finanziari e materiali, senza i quali sarebbe stato impossibile restaurare le chiese e ricostruire le istituzioni.

C’erano solo piccoli segnali d’allarme, come il fatto che alcuni vescovi non volevano inviare sacerdoti in Occidente per la formazione, o esprimevano ampie critiche al liberalismo occidentale nella società e nella Chiesa. È sintomatico, tuttavia, che già allora le grandi figure della Chiesa cattolica ceca in esilio, come il professore di teologia Karel Skalický o il gesuita Petr Kolář, non trovassero in patria un impiego all’altezza delle loro qualità. Il loro libero pensiero occidentale e la loro apertura mentale erano senza dubbio una delle ragioni di questa situazione.

Il trauma interno, che divenne un problema per queste promettenti prospettive di ulteriore sviluppo della Chiesa cattolica nel nostro paese, fu l’andamento del Concilio plenario della Chiesa cattolica ceca, organizzato con il sostegno delle Chiese occidentali. Dopo il grande entusiasmo e il lavoro dedicato di centinaia di piccoli gruppi di lavoro nelle parrocchie negli anni 1998-2002, è seguita l’assemblea plenaria dal 2003 al 2005 in cui il ruolo dei laici è stato fortemente ridimensionato e ben poco di quanto elaborato nella fase preparatoria fu incluso nei documenti finali. I risultati non hanno avuto praticamente alcun impatto sulla vita delle Chiese locali, lasciando alle migliaia di partecipanti delle parrocchie, un tempo entusiasti, un retrogusto amaro di clericalismo e di abuso del potere ecclesiastico.

Nei confronti dello Stato, fu l’arcivescovo di Praga, il cardinale Vlk, ad affrontare pubblicamente non solo la questione delle proprietà ecclesiastiche ma anche quella della Cattedrale di San Vito, ma per il resto i rapporti furono piuttosto amichevoli. Il concordato tra il Vaticano e la Repubblica Ceca non fu però mai ratificato a causa della mancanza di sostegno politico e pubblico. Tuttavia, lo Stato sostenne generosamente le scuole cattoliche e la Caritas.

Ne sortiva una posizione ambivalente: da un lato, chiaramente minoritaria, ma, dall’altro, anche molto presente nella sfera pubblica. Il viaggio per prendere parte ai funerali del capo di Stato polacco a Cracovia nell’aprile 2010, dove l’arcivescovo Duka si è seduto in uno scompartimento del treno con il Presidente della Repubblica e il Primo Ministro, è stato un’espressione di questa particolarità. Una cosa del genere non sarebbe stata possibile nemmeno ai tempi della monarchia austro-ungarica.

Cambio di rotta dopo il 2012

Il cambiamento di rotta è avvenuto dopo il 2012, quando inizialmente la leadership della Chiesa cattolica ha festeggiato la conclusione positiva degli sforzi per risolvere la questione delle proprietà ecclesiastiche, dove fu raggiunta una generosa soluzione politica basata sull’accordo, stipulato da una decina di Chiese e comunità religiose, che portava alla separazione tra Stato e Chiese, in modo che le Chiese avessero la possibilità di provvedere ai loro bisogni materiali.

Ma la restituzione di ingenti beni alla Chiesa, comprese le inevitabili controversie legali, e decenni di compensazioni finanziarie, oltre al sostegno dello Stato, scatenarono un’enorme ondata di sentimenti anticlericali e antireligiosi alimentati da alcuni partiti e movimenti politici. Improvvisamente, i leader ecclesiastici si sono resi conto di quanta resistenza e persino odio verso la Chiesa cattolica esistesse ancora nell’opinione pubblica ceca, di quanto sia precaria e vulnerabile fosse la sua posizione. Allo stesso tempo, alcuni movimenti politici conservatori hanno iniziato a usare la Chiesa cattolica come ombrello ideologico.

La stessa restituzione dei beni ecclesiastici ha poi inevitabilmente portato le diocesi a trasformarsi da istituzioni a prevalente orientamento pastorale a istituzioni di gestione patrimoniale: gli assistenti pastorali laici sono stati licenziati in massa, mentre sono stati rafforzati i dipartimenti di gestione immobiliare ed economica. Questo ha portato anche a un cambiamento interno, a una nuova mentalità, alla volontà di difendere lo status quo della Chiesa cattolica all’interno della società ceca.

Il secondo impulso al riorientamento di gran parte dell’episcopato ceco è stata la crisi migratoria del 2015. Nei discorsi dell’arcivescovo Duka di Praga e del suo più importante consigliere e portavoce, monsignor Piťha, troviamo dichiarazioni molto dure contro i rifugiati, contro l’Islam, contro l’intera ondata migratoria, presentata come una pianificata invasione musulmana dell’Europa. Il dominio dello Stato Islamico in Medio Oriente e Nord Africa è servito poi a rafforzare l’islamofobia. Parte di una certa isteria morale è stata la dura critica alle élite politiche europee, in particolare alla cancelliera tedesca Merkel e ad altri politici, per l’ingenuità, l’incapacità di gestire la migrazione e le minacce all’identità europea. L’Unione Europea nel suo complesso, le sue istituzioni e il suo corso sono stati aspramente criticati.

L’episcopato della Repubblica Ceca è stato ed è anche emotivamente e intellettualmente fortemente legato al doppio pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. La maggior parte dei vescovi ha un atteggiamento di distanza nei confronti di papa Francesco, proprio per la sua apertura verso ambienti non ecclesiali e la sua volontà di cambiamento su alcune questioni. Non è un caso che il card. Duka abbia contribuito al corpus di testi che hanno criticato il documento Amoris laetitia.

Duka ha coltivato rapporti con i politici populisti che sono saliti al potere nel 2013. In particolare, il presidente Miloš Zeman, con la sua stridente retorica antiliberale e la sua simpatia per i regimi cinese e russo, che lo stesso Duka e il suo entourage hanno sostenuto alle elezioni. Oppure il ministro delle Finanze e poi primo ministro Andrej Babiš, il cui movimento e i suoi rappresentanti sono stati invitati a varie festività ecclesiastiche e hanno avuto spazio negli opuscoli distribuiti in quelle occasioni per rivolgersi ai fedeli.

Ad esempio, la Conferenza episcopale ha collaborato con Babiš per ciò che concerne la nomina figure controverse dello spettro estremista in importanti comitati dei media pubblici. Le congratulazioni ufficiali di Duka (“condividiamo molti temi comuni”) a Tomio Okamura, leader di un partito estremista con un programma di uscita dall’Unione Europea e dalla Nato, per il suo successo alle elezioni parlamentari hanno avuto un’ampia eco.

Nel frattempo, sono in corso altre dispute culturali, come il restauro di una copia della Colonna Mariana nella Piazza della Città Vecchia, abbattuta alla fine della Prima Guerra Mondiale come simbolo dell’umiliazione della nazione ceca da parte della monarchia asburgica e della violenta ricattolicizzazione del periodo barocco. Per molti cattolici, sostenuti dalla maggioranza dei vescovi cechi, si tratta di una soddisfazione simbolica e di un elemento chiave per la riparazione della storia ceca; d’altro canto, molte Chiese non cattoliche e molti progressisti la rifiutano per le stesse ragioni, considerandola un atto contrario al significato della storia ceca, come simbolo e strumento di una nuova cattolicizzazione strisciante.

Un importante sviluppo è stato l’incontro congiunto delle Conferenze episcopali ceca e slovacca nel marzo 2018, dove i vescovi cechi sono stati ispirati a votare contro la cosiddetta Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza contro le donne perché contiene la parola gender (ideologia di genere), presentata poi come una nuova pericolosa eresia che calpesta la famiglia tradizionale e altri valori.

A questo ha fatto seguito la famosa predica di mons. Pitha nella Cattedrale di San Venceslao, nella quale sono risuonate parole scandalose sulla presunta minaccia del totalitarismo dove gli omosessuali saranno despoti incontrastati, imprigionando gli eterosessuali in campi di sterminio e portando via loro i figli. Anche l’arcivescovo Duka ha dato il suo appoggio a questa lettura dei tempi. Le uniche due voci tra i sacerdoti cattolici che hanno criticato il discorso di Pitha sono valse a entrambi il monito ecclesiastico e la minaccia di ulteriori punizioni da parte di Duka, oltre ad altre vessazioni ecclesiastiche e assurdi attacchi in pubblico.

Nuova retorica e guerre culturali

Duka ha scelto di usare una retorica militare, parlando di guerra e di lotta, e ammira pubblicamente Viktor Orbán e la sua critica alla democrazia liberale. La maggior parte delle diocesi organizza seminari in cui persone accuratamente selezionate, ma per lo più incompetenti dal punto di vista delle questioni trattate, istruiscono ideologicamente i sacerdoti a lottare contro la Convenzione di Istanbul, il gender, il matrimonio per tutti e altri presunti mali moderni. A questo scopo, forniscono sempre più materiale che costituisce il contenuto delle prediche dei vescovi. Nelle chiese vengono sostenute e firmate petizioni contro il “matrimonio per tutti”.

Per alcuni vescovi cechi e moravi, l’alleanza con organizzazioni laiche cattoliche militanti e conservatrici, come il “Movimento per la vita” e la “Alleanza per la famiglia”, maschera evidentemente la mancanza di una propria visione pastorale, di un’idea coerente di dove e come guidare le diocesi loro affidate, e della ricerca di un autentico stile di ministero episcopale per il nostro tempo e spazio.

Non condividono la visione della Chiesa di papa Francesco, ma non sono in grado di crearne una propria. Quindi sono grati a entrambe le organizzazioni per poter presiedere di tanto in tanto celebrazioni che vedono la partecipazione di un numero maggiore di persone rispetto al solito, per partecipare a marce di massa in cui la gente guarda a loro come generali della “guerra culturale”.

Sicuramente deve essere una sensazione esaltante essere acclamati come difensori dell’ordine tradizionale della civiltà occidentale. Per questo è così facile trascurare i molti momenti problematici di entrambe le organizzazioni, come il fatto che il vicepresidente del “Movimento per la vita” sia direttore di una rivista che pubblica regolarmente testi che criticano ferocemente il pontificato di papa Francesco, in cui si afferma, prima delle elezioni, che un cattolico e patriota deve e può votare solo per il partito estremista SPD (Partito della democrazia diretta).

I vescovi e le altre élite ecclesiastiche dovrebbero essere messi in guardia da coloro che applaudono le loro posizioni con approvazione ed entusiasmo. Tra i gruppi politici, sono il partito SPD, il movimento di estrema destra e filo-russo ” Trikolora” e persino il Partito comunista – sostenuti da i protagonisti della disinformazione in Cechia e da piattaforme Internet russe. Come minimo, la leadership delle Chiese dovrebbe essere in grado di valutare il contesto più ampio e non compromettere le Chiese e la causa del Vangelo in questo Paese in nome di un’agenda particolare attraverso alleanze deliberate e scellerate con partiti e movimenti le cui attività si basano sul populismo e sull’estremismo – spesso con legami filorussi.

Poiché i vescovi sono insoddisfatti dei media cattolici, che ritengono non condividano affatto la loro visione dell’identità della Chiesa e della fede, e poiché spesso si oppongono apertamente i media pubblici e di altro genere, non hanno problemi a utilizzare lo spazio offerto da piattaforme di disinformazione che usano metodi dubbi la cui proprietà non è trasparente – o a creare nuove piattaforme con un profilo molto simile. I vescovi si lamentano assurdamente della censura e della Cancel culture, anche se hanno un accesso ampio e generoso a media di ogni tipo – favorendo i media ideologicamente di parte.

I dibattiti interni non hanno quasi mai luogo, come ha dimostrato il caso di un numero della rivista teologica domenicana Salve, in particolare per ciò che concerne un articolo sugli effetti della nuova forma di finanziamento della Chiesa – con interviste a diversi sacerdoti, che avevano chiesto di rimasti anonimi. Per una buona ragione. La reazione è stata una rottura definitiva tra il Duka e la rivista Salve. Grande insoddisfazione è stata espressa anche da altri vescovi.

Per neutralizzare gli effetti di questo numero di Salve, il ruolo di portavoce dei vescovi è stato assunto, quasi delegato, al vescovo ausiliare di Praga  Zdeněk Wasserbauer, che in occasione di un dibattito ha contestato soprattutto le affermazioni dei sacerdoti sulla mancanza di comunicazione tra vescovi e clero. La maggior parte dei vescovi cechi ha percepito la rivista Salve, che è tutto tranne che aggressiva oltre a chiaramente fedele alla Chiesa, che intendeva stimolare una discussione interna alla Chiesa per adempiere meglio al proprio compito, come un attacco personale al loro stile di leadership diocesana – reagendo (con un’unica eccezione) negando, ignorando o attaccando. Un’altra opportunità di cambiamento è andata così persa.

Si potrebbe anche citare il nuovo fenomeno delle numerose controversie legali dell’arcivescovo Duka di Praga – e le sue molte cause contro, ad esempio, la rappresentazione di un’opera scandalosa del drammaturgo Oliver Frljevic; oppure l’accresciuto esercizio del potere ecclesiastico da parte dei vescovi e la punizione dei sacerdoti che non vogliono sottomettersi all’episcopato; o anche l’applicazione di un nuovo tipo di controllo sugli stipendi dei preti. Vanno citate le ulteriori e costanti critiche al Cammino sinodale tedesco, e il paragone del Comitato centrale dei cattolici tedeschi con il “Comitato centrale” del Partito comunista e così via.

A ciò si aggiunge una venerazione acritica per papa Benedetto XVI, iniziata dopo la sua morte , che si attua nella difesa della personalità del papa defunto e del suo pontificato, senza avere però alcuno spessore oggettivo, senza fornire argomenti, fermandosi a livello emotivo e di confessione. Problematiche sono state anche le dichiarazioni e la gestione da parte di alcuni vescovi cechi della questione degli abusi sessuali, in cui il fenomeno è stato minimizzato – procedendo a un adempimento puramente formale delle norme vaticane.

Davanti a un bivio

Durante la pandemia, lo Stato ha inizialmente dimenticato di regolamentare le condizioni di partecipazione alle funzioni religiose, per poi cancellarle del tutto per molti mesi. Lo shock di una rilevanza sistemica minima non ha fatto altro che intensificare il sentimento di incertezza e paura per il futuro all’interno di alcune élite ecclesiastiche.

La Chiesa cattolica nella Repubblica Ceca, come in Polonia e in Slovacchia, si trova a un bivio: deve continuare a difendere i valori, l’orientamento identitario e la tentazione di cavalcare l’onda della politica conservatrice e nazionalista, o deve intraprendere un percorso aperto di riorientamento come proposto da papa Francesco e – ancora più coraggiosamente – dal Cammino sinodale tedesco?

I cattolici, sia i fedeli che il clero, sono divisi tra i due orientamenti, e anche all’interno delle famiglie e delle parrocchie ci sono molti conflitti. Ma non si tratta di una divisione città/paese, Boemia/Moravia, bensì di una divisione che attraversa tutto il Paese.

Molto dipenderà dalla scelta della nuova generazione di vescovi – fino ad allora le decisioni importanti saranno rimandate. E, naturalmente, molto dipenderà anche dall’elezione del prossimo papa.

  • Tomáš Petráček, intellettuale pubblico ceco, sacerdote cattolico e studioso, è professore di storia sociale ed ecclesiastica moderna presso l’Università di Hradec Králové nella Repubblica Ceca. È specializzato sui temi della secolarizzazione, del rapporto tra religione e società e del ruolo delle chiese nello spazio pubblico e politico. Il testo qui pubblicato è una conferenza online da lui tenuta nel dicembre 2023 al Collegio di ricerca teologica dell’Università di Erfurt.
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