Che concilio fu quello di Nicea?

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Il professor Giovanni Filoramo, storico del cristianesimo e della religione e saggista prolifico, risponde alle nostre domande sulla natura storico-politica del Concilio di Nicea.

  • Prof. Filoramo, quale la data “migliore” per ricordare il Concilio di Nicea?

Il concilio ebbe inizio il 19 luglio 325 alla presenza dell’imperatore Costantino. Spesso si trova come data d’inizio il 20 maggio: ciò è dovuto a un errore dello storico ecclesiastico Socrate.

  • Quali sono le fonti storiche di cui disponiamo al riguardo?

Non abbiamo gli atti del concilio, il che costituisce una grave lacuna. Le fonti a disposizione sono indirette, come la Vita di Costantino di Eusebio, le storie ecclesiastiche dello stesso Eusebio, di Teodoreto, di Socrate, di Sozomeno: si vedano Clavis Patrum Graecorum, a cura di M Geerard, Turnhout 1974, IV, 8511-8527; i testi in originale con traduzione in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo et al., EDB, Bologna 1991, pp. 1-19; una raccolta recente di Samuel Fernandez – Sara Contini, Le fonti antiche sul concilio di Nicea, Città Nuova, 2025.

La ricerca storica, al proposito, continua a interrogarsi su una molteplicità di aspetti, come la natura particolare di questa assemblea, i suoi precedenti, come si è giunti alla convocazione, perché si è scelto questo luogo, quale è stato il ruolo di Costantino, chi ha di fatto presieduto la riunione. Per non dire delle numerose questioni teologiche legate alla controversia ariana e alla formulazione finale del credo.

  • Si può dire che il genere “Concilio” sia nato a Nicea? Chi ne è stato l’artefice e per quali ragioni?

I precedenti del concilio di Nicea sono i sinodi. Il termine greco synodos significa “incontro” e il suo equivalente latino è concilium. Il sinodo cristiano è la riunione di delegati di diverse Chiese al fine di risolvere problemi e controversie. Si possono identificare, ad esempio, come sinodi le riunioni per ricomporre le divergenze sulla data pasquale tenutesi nella seconda metà del secondo secolo.

Accanto ai sinodi ci sono altri tipi di assemblee dove un esperto viene chiamato per risolvere una controversia: i protagonisti in questo caso sono, appunto, gli esperti, i didaskaloi. I sinodi, poi, possono essere locali, cioè, regionali o provinciali, per esempio comprendenti una “provincia” come l’Africa. Il concilio di Nicea è il primo “ecumenico” nel senso che Costantino ha convocato tutti i vescovi del suo impero, di cui ormai era l’unico sovrano, anche se, a parteciparvi, furono soprattutto i vescovi della parte orientale di lingua greca.

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  • Può tratteggiare la figura di Costantino prima, durante e dopo Nicea?

È impossibile riassumere in poche righe una figura così complessa come Costantino. Per i nostri scopi, basterà ricordarne alcuni tratti significativi, che hanno inciso sul concilio. Costantino ha passato la sua vita a combattere: anche poco prima di morire, nel 337, stava preparando una grande campagna militare contro i Parti. Si è dimostrato da giovane un valente generale, combattendo con il padre Costanzo Cloro soprattutto in Gallia.

La madre, Elena, era una cristiana, ma la religiosità in cui il futuro imperatore si è formato era tipicamente pagana. Sulla sua famosa “conversione” ritorno dopo. Il fatto essenziale è che egli si è fatto battezzare soltanto alla fine della sua vita (tra l’altro, paradossalmente, da un vescovo ariano, Eusebio di Nicomedia): dunque, formalmente, fino alla fine egli non ha fatto parte della Chiesa ortodossa, cosa che deve essere tenuta presente per valutare il suo ruolo nel concilio di Nicea.

Inoltre, egli non ha mai formalmente negato la sua originaria religiosità pagana. Il suo scopo era prevalentemente politico: conquistare l’impero e diventare imperatore unico. Una volta divenuto tale, ha perseguito con lucidità il suo scopo cercando, da un lato, di appoggiarsi al cristianesimo e al suo dio come nuova religione politica dell’impero (un unico impero, un unico imperatore, un unico dio), dall’altro, combattendo le sue divisioni e lotte intestine, che rischiavano di avere effetti devastanti sull’unità dell’impero.

Di qui, di fronte alla minaccia dell’arianesimo, la decisione di convocare un concilio ecumenico – il primo – per contrastare la minaccia ariana e ricuperare un’unità dottrinale che rinsaldasse l’unità dell’organizzazione ecclesiastica, che egli aveva deciso di utilizzare come elemento di coesione politico-religiosa dell’impero.

  • Quali altre figure – ecclesiastiche – ricordare?

In assenza degli atti del concilio si possono solo fare ipotesi. Intanto, non si sa chi abbia presieduto i lavori. Sappiamo solo dagli elenchi di vescovi che ci sono pervenuti – sulla cui autenticità esistono peraltro dubbi – che una figura chiave fu Osio di Cordova, che rimase consigliere di Costantino anche dopo il concilio. Secondo alcuni studiosi, a presiedere le sessioni sarebbero stati due autorevoli personaggi: Eustazio di Antiochia e Alessandro di Alessandria e cioè i due vescovi delle due più importanti diocesi orientali.

  • Quale la politica di Costantino riguardo alle religioni dell’impero?

Ho già accennato alla legislazione antipagana di Costantino che, tuttavia, anche dopo Nicea, non promosse mai una vera e propria persecuzione del paganesimo, limitandosi a condannare la pratica dei sacrifici pubblici intorno a cui ruotava la religione politica dell’impero.

Quanto agli ebrei, anche in questo caso, Costantino non cambiò la politica tradizionale, confermandone la libertà di culto. Una legge promulgata nel 335, poco prima di morire, più restrittiva, regolamentando il proselitismo ebraico, mirava a interdire la circoncisione degli schiavi cristiani di ebrei: se un ebreo non avesse rispettato questa prescrizione, la vittima avrebbe dovuta essere affrancata. Più in generale, la legge intendeva proteggere quegli ebrei che avessero deciso di passare al cristianesimo. Favorendo in questo modo la comunità cristiana, Costantino contribuì ad aumentare il solco tra le due tradizioni.

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  • Donatismo e arianesimo: quali preoccupazioni politiche ed ecclesiali sono state portate al Concilio di Nicea?

Anche se al concilio di Nicea, presi dal problema di Ario, la crisi donatista fu praticamente ignorata, in realtà essa è importante per capire poi la posizione di Costantino nei confronti dell’arianesimo.

La crisi donatista, su cui adesso non è possibile soffermarsi, era scoppiata in Africa in seguito alla persecuzione dioclezianea. Se gli esiti furono alla fine negativi – lo scisma durò fino alla conquista araba, né a sconfiggerlo definitivamente bastò, un secolo dopo, l’intervento di Agostino –, ciò che esso mette chiaramente in luce per la prima volta è un modo nuovo di porsi, gravido di conseguenze per entrambi, nelle relazioni tra Impero e Chiesa.

Quando, nel 313, l’imperatore Costantino manifestò l’intenzione di riservare ai soli vescovi del partito di Ceciliano una serie di esenzioni fiscali, il partito avversario dei seguaci di Donato si appellò a lui perché a dirimere la questione fosse un giudice neutrale e precisamente i vescovi della Gallia, che non erano stati colpiti dalla persecuzione. Costantino deferì, in un primo tempo, il caso al vescovo di Roma, l’africano Milziade, che riconobbe la legittimità della consacrazione di Ceciliano; poi, di fronte al persistere delle proteste donatiste, a un sinodo convocato ad Arles nel 314, che riconfermò il verdetto di Milziade.

Sulla base di queste decisioni, ribadite nel 316 dal tribunale imperiale di Milano, l’imperatore promulgò una legge severissima contro gli scismatici, imponendo loro di consegnare le chiese al partito cattolico. I donatisti opposero una resistenza tanto tenace quanto violenta; dovette intervenire l’esercito, scoppiarono torbidi, vi furono numerose vittime. Alla fine, l’ostinazione degli scismatici ebbe la meglio e, nel 321, l’imperatore concesse loro la tolleranza.

La crisi donatista non toccava tanto una questione dottrinale, come l’arianesimo, quanto istituzionale: la vera natura della Chiesa e dei suoi sacerdoti. Costantino non era evidentemente un teologo, ma, confrontandosi con la questione donatista, dovette rendersi conto delle gravi conseguenze che uno scisma poteva avere sulla vita della Chiesa.

Dopo il 324, divenuto imperatore unico, di fronte all’aggravarsi della questione ariana, decise di correre ai ripari. Costantino convoca il concilio nella sua qualità di pontifex maximus, garante della pace religiosa dell’impero, che non può essere minacciata dai conflitti interni alla vita della Chiesa: questa volta, a differenza che per il donatismo, un concilio di natura dottrinale, che, dunque, richiedeva una soluzione dottrinale condivisa.

In una lettera scritta nel 324 e rivolta ai due contendenti, Alessandro e Ario, Costantino precisò chiaramente la sua posizione. Egli era mosso dal desiderio «di unificare nella coerenza di un unico punto di vista le convinzioni religiose di tutte le province, convinto che, se avessi istituito una comune concordia tra i servi di Dio, in modo conforme ai miei voti, anche le esigenze della cosa pubblica avrebbero tratto giovamento da un mutamento conforme alle pie aspirazioni di tutti» (in Eusebio, Vita di Costantino, II, 64-65).

Di qui, alla fine del concilio, quando si passò alla fase attuativa, la scelta di Costantino di intervenire duramente per ridurre il numero dei vescovi che si erano rifiutati di approvare il Credo. Alla fine, soltanto Ario e due vescovi egiziani che lo avevano sostenuto fin dall’inizio si rifiutarono di sottoscrivere la formula del Credo con un coraggio e una coerenza che non impressionarono Costantino, il quale li condannò all’esilio, considerandoli ribelli.

  • Di quali altre questioni si è occupato il Concilio di Nicea?

Tra i decreti disciplinari, il più importante riguarda la data di celebrazione della Pasqua, una questione fondamentale che riguardava il rapporto con il giudaismo delle origini. Il concilio decide di seguire l’uso romano, e cioè di celebrarla nella domenica immediatamente successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera.

I canoni di Nicea, in numero di 20, parlano poi della struttura della Chiesa (4-7,15,16), del clero (1,3,9,10,17), della penitenza pubblica (11-14), della riammissione degli scismatici e degli eretici (19), infine di norme liturgiche (18 e 20).

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  • Prima e dopo Nicea, come cambia la grande Chiesa?

La situazione della Chiesa è profondamente cambiata, più che per le decisioni del concilio, quale conseguenza della legislazione precedente e della successiva perseguita da Costantino, che ha mirato – a partire dalla vittoria su Massenzio nel 312 e poi su Licinio nel 324 in conseguenza della quale è diventato imperatore unico – a identificare nell’annuncio cristiano la nuova religione politica di cui ora l’unico imperatore aveva bisogno.

Questa legislazione, molto articolata e dispersa nel tempo, ha avuto come esito complessivo l’inserimento del clero cristiano nella burocrazia imperiale, con una serie di privilegi, quale le esenzioni fiscali, che dovevano facilitare il suo nuovo compito: attraverso la liturgia e l’azione pastorale impetrare sull’impero e sull’imperatore la grazia dell’unico Dio, a cui Costantino si era convertito.

  • Costantino fu davvero convertito?

Non entro qui nel merito dell’annosa questione della “conversione” di Costantino, sulla quale sono corsi – e continueranno a scorrere – fiumi di inchiostro. Personalmente, sulla base della documentazione in nostro possesso, penso che quella di Costantino non fu una conversione nel senso di una folgorazione improvvisa – la famosa visione del ponte Milvio di cui ci parla soprattutto Eusebio di Cesarea nella sua Vita di Costantino, modellandola sulla conversione di Saulo/Paolo descritta negli Atti degli apostoli –, bensì una progressiva e, a suo modo, convinta conversione, che meglio si comprende sullo sfondo del cosiddetto “monoteismo pagano” tipico delle élites intellettuali dell’epoca.

Ma Costantino, come detto, conservò fino alla fine la carica di pontifex maximus, e cioè di supremo supervisore e decisore della vita religiosa dell’impero: in questo senso, va interpretata l’espressione che Eusebio gli attribuisce di Episkopos ton extos, ossia vescovo supervisore delle cose o di coloro che sono all’esterno (della Chiesa).

Costantino favorì certamente, in modo decisivo, la Chiesa (ortodossa nicena) con privilegi e concessioni varie, ma anche attraverso una grande politica edilizia. Questo però non significa che il suo impero sia già un impero cristiano. Il calendario rimase pagano; del paganesimo, come religione pubblica, ad essere colpiti furono soprattutto i sacrifici pubblici, ma non la religiosità privata e le strutture di fondo dell’impero, come la schiavitù o la condizione femminile: queste non furono, in sostanza, intaccate.

  • Si è trattato di un Concilio davvero ecumenico, tra Oriente e Occidente? Più teologico o politico?

Come ho ricordato, la partecipazione dei vescovi della pars occidentis di lingua latina fu minima: per esempio, non partecipò il vescovo di Roma. Ormai, tra le due parti dell’impero si era scavata una profonda divisione, linguistica e culturale. Dunque, anche se Nicea fu il primo concilio che mirava a riunire tutti i vescovi, di fatto fu un concilio prevalentemente orientale, anche nelle profonde questioni teologiche poste al centro del dibattito.

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3 Commenti

  1. adriano bregolin 21 maggio 2025
    • Angela 21 maggio 2025
  2. Carlo Truzzi 20 maggio 2025

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