
Desidero innanzitutto ringraziare Roberto Mozzi per la pacata lucidità con cui, nel suo articolo pubblicato su SettimanaNews lo scorso 8 luglio, ha portato ad evidenza alcuni nodi, per troppe persone ancora indicibili, relativi alla presenza delle donne nella Chiesa. Vorrei riprendere e riflettere su alcuni passaggi dell’articolo, procedendo per punti. Le parole testuali dell’autore sono riportate in grassetto.
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(1) Mozzi evidenzia, in apertura, come uno dei temi più significativi del recente Sinodo, per importanza e conseguenze, sia proprio quello che mette al centro la discussione che verte sulla posizione delle donne nella Chiesa.
Chi ha frequentato gruppi di lavoro sinodali o ha dimestichezza con consigli pastorali, parrocchiali o diocesani, sa quanto sia difficile, in questi ambiti, tematizzare la questione del ruolo delle donne nella Chiesa. Il problema non è tanto parlare delle donne – neanche i preti più misogini ormai si sottraggono all’elogio del genio femminile –, ma parlare del ruolo e della posizione delle donne nella Chiesa. Si può parlare dei giovani, della trasmissione della fede, dei migranti, degli emarginati, della liturgia. Si può parlare di tutto, perfino delle donne e della loro corresponsabilità, basta che non si vada a toccare l’argomento «ruoli e posizioni».
È, questo, un argomento che ha a che fare con il livello strutturale profondo della Chiesa; provare a parlarne significa rischiare di andare incontro all’insofferenza del giudizio tranchant (… la solita femminista!) o, al più, alla benevola commiserazione di chi cerca con pazienza di spiegarti che «ruolo» e «posizione» non sono le parole corrette per parlare di donne nella Chiesa. E così, come per miracolo, nella sintesi conclusiva dei lavori di gruppo tutte le parole che hai eventualmente pronunciato in merito alla questione «ruolo delle donne» scompaiono (ne hai parlato solo tu, non è una questione condivisa, è prematuro parlarne, non sono questi i tempi…)
Che il silenziamento sia una tattica da ricomprendere nella più ampia strategia dell’evitamento – silenziare un problema per evitare di portarlo ad evidenza e potersi raccontare che non esiste – ce lo ha mostrato bene, d’altro canto, proprio lo stesso Sinodo, che ha profuso notevoli energie per affossare la questione del diaconato alle donne, nascondere l’elefante sotto il tappeto e fingere che non vi sia necessità, per la Chiesa, di tematizzare una questione femminile di tipo strutturale.
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(2) Mozzi evidenzia la singolarità sociale della Chiesa italiana: la Chiesa è presente in modo propositivo e attivo nelle istituzioni pubbliche e nella società civile quando si tratta di promuovere pari opportunità, sostenere equità di rappresentanza e combattere contro la violenza maschile ma, al suo interno, la stessa Chiesa si struttura in modo rigidamente maschile, teorizzando e realizzando il principio per cui alla donna non è riservato un ruolo direzionale, ma solo consultivo. Questa singolarità è ben evidente a chi osserva la Chiesa dall’esterno, ma non altrettanto chiara a chi la vive dall’interno.
Certo la Chiesa ha compiuto dei passi. Dopo essersi per secoli conformata al pensiero comune che sosteneva l’inferiorità della donna, il suo stato di minorità rispetto al maschio, la sua necessaria condizione di subordinazione, oggi la Chiesa in tante situazioni e in tanti luoghi è in prima linea a difendere la dignità delle donne. L’importante è che questi luoghi e queste situazioni non mettano in questione la sua stessa struttura e non comportino la necessità, per la Chiesa, di ripensare sé stessa e le argomentazioni del costrutto teologico-dogmatico che da secoli le permette di giustificare il suprematismo maschile di cui è sostanziata.
Che culto, predicazione e presidenza della comunità − ovvero i fattori su cui si struttura l’identità ecclesiale − siano solo appannaggio maschile è, d’altra parte, storia secolare che ha a che fare con il problema della rappresentatività del corpo femminile. Questo corpo che dà la vita, scandaloso per la sua potenza generativa, questo corpo così diverso e perciò così seduttivo, questo corpo desiderabile e pericoloso, questo corpo, da sempre, per i maschi, è stato un problema. Maschi nati da donna, che sulle donne – sui corpi delle donne – da sempre usano la violenza – più o meno efferata, più o meno subdola – per affermare il proprio potere.
Ma la Chiesa cattolica dei passi li ha fatti, si diceva. Convertita dalle rivoluzioni di pensiero innescate dai femminismi, anche la Chiesa cattolica ha ormai accettato che le donne siano a pieno titolo soggette di diritti, come i maschi. Che possano votare ed essere votate, che possano lavorare fuori casa, che possano studiare (perfino teologia!), laurearsi, diventare insegnanti, mediche, avvocate, giudici, teologhe, deputate, senatrici, prime ministro, presidenti di società e di stati – come i maschi. Che, nel mondo e per il mondo, possano fare tutto, come i maschi.
È «dentro», che la musica non è cambiata. Dentro, al suo interno, la Chiesa cattolica continua a negare alle donne la possibilità di presiedere il culto, di predicare pubblicamente, di ricevere il sacramento dell’Ordine. Si tratta di una evidente discriminazione su base sessuale, camuffata da volere divino e motivata con presunte ragioni giuridico-teologiche. Una discriminazione che mette la Chiesa cattolica sullo stesso piano di tante altre religioni e culture, cristiane e non, che ancora oggi, nel terzo Millennio, alla luce di un irrisolto problema con il corpo femminile continuano in tutto il mondo a violentare la libertà, i desideri e i sogni delle donne.
Senza contare che la singolarità di cui parla Mozzi è costantemente a rischio sia di sfiorare il ridicolo, posto che la difesa delle prerogative escludenti maschili all’interno della Chiesa è affidata ad un clero paludato di vesti dall’elegante foggia femminile, sia di sprofondare nel folkloristico, con i preti che presidiano gli spazi vietati alle donne come monaci arroccati sull’Athos.
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(3) La questione «donne» rappresenta, oggi, per la Chiesa, una sfida decisiva. In che modo la Chiesa pensa di cogliere i segni che lo Spirito propone nella storia? – domanda Mozzi. Annunziare il Vangelo nel presente non significa camminare guardando a ritroso, per chiedere il permesso ad un’autorità sepolta nel passato, ma lasciarsi interrogare dall’oggi delle nostre comunità per aprirsi ad un vitale slancio profetico.
Credo sia indispensabile, a questo proposito, assumere la consapevolezza storica che permette di distinguere fra le tradizioni e la Tradizione.
Le tradizioni. Prendiamo l’esempio del canto liturgico. Una tradizione secolare ha proibito alle donne – che non fossero monache nei loro conventi – di cantare durante le celebrazioni liturgiche; proprio questo interdetto è stato all’origine della tristissima pagina degli evirati cantori della Cappella Pontificia. Ancora all’inizio del Novecento Pio X, nel capitolo V del suo Motu Proprio Tra le sollecitudini – Sulla musica sacra, dopo aver sottolineato come in chiesa i cantori adempiano ad un vero officio liturgico, scriveva:
«Le donne, essendo incapaci di tale officio, non possono essere ammesse a far parte del Coro o della cappella musicale. Se dunque si vogliono adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno essere sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa».
In questo documento papale risalente a centoventi anni fa si parlava, dunque, senza giri di parole e senza sentire il bisogno di dare altre giustificazioni, di incapacità delle donne rispetto ad un officio liturgico. Questa incapacità era considerata non un dato di fatto, ma un a priori incontestabile. Cosa direbbe oggi il santo papa Sarto se, trovandosi a fare un giro nelle nostre comunità parrocchiali la domenica mattina, vedesse che le nostre liturgie sono animate da corali a voci miste (più voci femminili che voci maschili…), guidate, ormai sempre più spesso, da direttrici piuttosto che da direttori? Cosa direbbe del fatto che l’antichissima tradizione che proibiva alle donne di elevare la voce nel canto è svaporata senza drammi di fronte alla realtà? Chissà se, concordando con papa Francesco, si troverebbe anche lui a dover ammettere che la realtà è sempre più grande delle idee…
La Tradizione. Il patrimonio della fede ricevuto dal Nuovo Testamento è ciò che di più prezioso la Chiesa custodisce, scrive Mozzi, ma chiede di essere messo in relazione con la storia, non di essere sotterrato per paura di perderlo. Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che diventiamo capaci di comprenderlo meglio, grazie a questo continuo esercizio di lettura alla luce della storia e della realtà.
Gesù non ha fatto distinzioni tra discepolato maschile e femminile, anzi, proprio ad una donna ha affidato il primo annuncio – l’annuncio primo – della Resurrezione. Eppure lo sguardo che la Chiesa ha per secoli rivolto a Maria di Magdala è stato uno sguardo offuscato dai condizionamenti della mentalità sessista e patriarcale. Uno sguardo incapace di cogliere il portato dirompente del suo apostolato o, forse meglio, uno sguardo viziato dalla volontà di recidere al più presto i fili, radicati nelle pagine evangeliche, di una Tradizione di apostolato femminile che avrebbe in sé legittimato per ogni donna la possibilità di essere apostola.
Il tempo che oggi viviamo è, in questa prospettiva, uno straordinario kairos: consegnandoci, come potenzialità e come ricchezza, la novità dirompente della presenza delle donne in posizioni di responsabilità e di vertice a tutti i livelli, questo nostro presente può aiutarci a liberarci dalle secolari precomprensioni riduttive della figura di Maria di Magdala, per restituirci in pienezza di significatività la potente immagine evangelica dell’Apostola degli apostoli.
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(4) Che cosa manca alle donne per accedere alle posizioni ecclesiali riservate agli uomini?
È la domanda cruciale dell’articolo. Già, che cosa manca alle donne? Manca forse l’intelligenza? La libertà di spirito e di volontà? La sensibilità? La forza? La resistenza? La costanza? La capacità di pensare? La capacità di amare e di sperare? La capacità di servire?
Nessun teologo (penso…) si metterebbe oggi più a discettare, come per secoli si è fatto, dell’imbecillitas mentis e dell’infirmitas sexus femminile, nessuno si permetterebbe più di parlare di incapacità.
Sappiamo tutte e tutti che i motivi tradizionali addotti in passato per giustificare l’esclusione delle donne dal ministero ordinato oggi non sono più validi. La stessa Pontificia Commissione Biblica ha dichiarato che la riserva maschile dell’ordinazione non può essere fondata biblicamente.
E dunque, perché le donne sono a priori considerate non idonee a ricevere uno dei sette sacramenti? Che cosa manca loro?
La risposta è semplice: niente.
A meno che non si opti per una affermazione che rischia di suonare volgare.
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(5) Alla domanda del punto 4, posta da Mozzi in modo chiaro e diretto, l’autore fa seguire questa osservazione: Quando questa domanda viene posta, si risponde che la Chiesa non è il luogo delle rivendicazioni e che nella Chiesa c’è posto per tutti. Mozzi propone quindi alcune osservazioni decisive in merito alla parola rivendicazione, collegandola al fermento evangelico che fa sgorgare nel cuore degli uomini e delle donne un’irrefrenabile esigenza di dignità.
La parola rivendicazione è e continua a essere, nella Chiesa, una parola che disturba e infastidisce, soprattutto quando rivendicare è un’azione che mette a rischio lo status quo, proponendo di scompaginare le carte del si è sempre fatto così.
Eppure rivendicazione è una parola di nobilissima radice. Ci riporta al tempo in cui, nel mondo romano, esisteva a livello giuridico la figura del vindex, ossia del garante e difensore di un accusato. Cicerone parla dei vindices libertatis, campioni della libertà; Seneca dei vindices veritatis, difensori della verità. Il vindice si alza in piedi, tiene alta la fronte e alza la voce per affermare e riaffermare principi; cerca riscatto; si batte per i diritti negati; si espone e si prodiga non per sé e per il proprio tornaconto personale, ma per una causa comune e per il bene di tutti (e di tutte).
Vindicare è un’azione che trova radice nella legge; significa reclamare per vie giuridiche, attraverso la forza del diritto. Rei vindicare, da cui il nostro rivendicare, indica l’azione legale che permette di ottenere qualcosa che è dovuto, l’azione che mette in condizione di riavere qualcosa che ci appartiene e che per vari motivi è stato perduto.
Dentro la parola rivendicazione c’è tutta la nobiltà di un gesto non autoreferenziale, ma compiuto per tutti (e per tutte), in vista di tutti (e di tutte), secondo giustizia. Il gesto coraggioso di chi osa alzare la voce contro la violenza e i soprusi subiti. Perciò, come sottolinea Mozzi, la rivendicazione di un diritto non può essere giudicata come invadente arroganza, ma, al contrario, è una doverosa azione per fermare una violenza.
Sogno una Chiesa che si faccia vindice e garante della dignità di tutte e di tutti, una Chiesa che non si perda nelle trappole di pensieri retrogradi, ma sappia mettersi al passo di Cristo per liberare la verità che abita in ciascuna e ciascuno. Una Chiesa che sappia riconoscere questo tempo presente come tempo di grazia, lasciandosi sovvertire e convertire dal tempo nuovo che già c’è, senza paura.






Anita Prati, grazie per la tua riflessione serena e profonda. Non so se sai che da qualche mese è uscito il libro “Donne sacerdote. Quando? Una questione aperta”, pubblicato da Il Pozzo di Giacobbe e scritto da me e da un’altra teologa spagnola. Ti consiglio di leggerlo. Qualsiasi suggerimento per eventuali presentazioni sarà gradito.
Auspico voci femminili non solo laiche per valorizzare queste lodevoli riflessioni e rivendicazioni.
Penso a donne – un tempo fondatrici di ordini religiosi e coraggiose interlocutrici con il mondo ecclesiale cattolico (da sempre maschile).
E oggi dove sono? Perché non parlano?
Nel giorno in cui la liturgia ambrosiana ( con la chiesa ortodossa) fa memoria di santa Maria Maddalena, l’apostola degli apostoli, un affettuoso e caldo invito
Antonella, eccome parliamo, ma purtroppo non ci ascoltano o fanno finta che non esistiamo. Ah, no, è vero, ci dicono che il nostro “genio femminile” è indispensabile…
Già il fatto che l’articolista usi costantemente la parola “maschio/maschi” per indicare gli uomini mi dice tutto su quanto devo ascoltare le sue ragioni, e cioè per niente, finché non abbandonerà lo stupido antagonismo misandrico che caratterizza tanto del femminismo contemporaneo. E lo dico da donna per cui le battaglie del femminismo (quelli vero, quello che riguarda i diritti sociali e politici) sono sacrosante.
Fino al 1990 nonostante anni di presenza nella chiesa cattolica anche io ero all’oscuro delle ragioni inspiegabili di questo ostracismo delle donne. Poi quell’anno ricevetti una offerta di lavoro da parte del fondatore di una organizzazione cattolica belga per aprire una sede a Roma che sarebbe stata inaugurata da Giovanni Paolo II. Il fondatore era un omosessuale dichiarato e notorio, e mi resi conto che tutta la sua organizzazione era permeata di pratiche omosessuali, tanto che quando gli manifestai l’intenzione di declinare l’incarico per questo motivo mi guardò sinceramente sorpreso e mi disse: “Mais vous ne connaissaiez pas l’eglise!” Lei non conosce la chiesa. Quando Francesco parlò di lobby omosessuale che controlla la chiesa mi convinsi definitivamente.
Nella chiesa come nel resto del mondo, occorre lottare per trovare il proprio spazio anche a costo di spintonare chi sonnecchia per pigrizia o per astuzia. Le regole degli uomini spesso non sono quelle di Dio. Rendere Dio sciocco come gli uomini credo sia un peccato piuttosto grave.
Sottoscrivo, parola per parola.
La Chiesa, intesa come organizzazione che discrimina le persone in base al sesso, anche solo per questo motivo banalissimo è oggi socialmente impresentabile ed è giustamente ritenuta tale dalla stragrande maggioranza dei giovani e, soprattutto, delle giovani donne, che proprio non sopportano (come dar loro torto?) di non essere riconosciute con almeno pari dignità rispetto ai loro coetanei maschi.
Il tutto, oltretutto, senza alcun fondato motivo che non quello di non sfidare la tradizione, di non rischiare una rilevante novità, che in gran parte del mondo civile è solo una ovvietà da decenni.
Ma la cosa peggiore è che su questo fronte non mi attendo cambiamenti per chissà quanti altri decenni!
Pensare che la chiesa abbia condiviso sempre l’idea dell’inferiorità della donna e che per questo si sia resa complice di soprusi e di violenze, scandalizza alla luce di quel siamo fatti “a immagine e somiglianza di Dio” , che non dubito include, nel riconoscere dignità, anche la donna.
La strada della mancanza di parità è lastricata di dolore.
Grazie per queste parole franche.
Peccato che le “presunte ragioni giuridico-teologiche” siano in realtà Tradizione apostolica e magistero infallibile (per quanto riguarda Ordinatio sacerdotalis). Lo studio all’ISSR mi ha aiutata a capire che certe cose stanno così anche se a me non piacciono, o a una certa cultura risultano inaccettabili. Interpretare si deve: da cattoliche e cattolici, però. Non da protestanti
Beh la chiesa su sta roba si gioca la reputazione.
Vero: dunque, meglio restare fedeli alla verità di fede che cedere a pretese da pretesse
Pretese e pretesse: come una semplice lettera, guardacaso la ‘s’ di sacerdote, può spostare dal cattolicesimo al protestantesimo.
Che banalità.
Lei usa la parola verità co troppa facilità. Che le piaccio o no la verità è un processo condiviso quindi sinodale.
Non quando espressa ex cathedra. Guardiamoci bene in faccia: siamo davvero cristiani o pensiamo solo di esserlo? Perché se lo siamo, allora dovremmo credere che lo Spirito parla attraverso la Tradizione Apostolica incarnata dai nostri pastori. Altrimenti ammettiamo di considerare la Chiesa solo un’organizzazione umana in cui lo Spirito non trova mai posto e diventiamo Protestanti. Ma non possiamo sempre tenere il piede in due scarpe.
Pur condivendo quanto scritto, sono perplesso. Siamo davvero così sicuri che la questione femminile nel passaggio da Francesco a Leone sia ancora una questione importante o non sia passata/passerà in secondo piano? Papa Leone ha speso parole formali sul Sinodo. I diversi gruppi che avrebbero dovuto lavorare ai vari temi e a giugno avrebbero dovuto produrre dei testi esistono ancora, stanno lavorando? L’impressione è che con Papà Leone il Sinodo sia scivolando verso una zona d’ombra. D’altronde la sua elezione è il segno di voler normalizzare Papa Francesco per cui certe questioni rimaranno tra parentesi.
Chiara, netta, condivisibile. Grazie. Avevo voglia di sentire affermazioni come queste. Spero aiutino ad aprire gli occhi non solo al clero ma anche a troppi laici e laiche. Purtroppo chi resta tende a rivendicare non il presente in vista del futuro ma il passato.
Al di là dei richiami a una fede in cui io non credo, giudico comunque questo articolo ottimo perché illustra perfettamente l’ingiusta situazione delle donne nella chiesa cattolica. Purtroppo credo che questa situazione non cambierà perché in questa maschilista e retrograda chiesa non c’è la volontà di cambiare e di riconoscere la piena parità uomo-donna. Io sono felice di non far parte della chiesa cattolica: non voglio stare dove sono discriminata e non riconosciuta pari agli uomini per diritti e opportunità.