Donne nella Chiesa: questione di dignità

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Daydreams.

Tra i temi affrontati dal recente Sinodo, connessi a quello centrale della sinodalità, spicca per importanza e conseguenze la discussione che verte sulla posizione delle donne nella Chiesa.[1]

Quando si parla di Chiesa è difficile, sia in sede di analisi, che di proposta, formulare un pensiero che possa tenere conto della vastità del soggetto ecclesiale, presente con notevoli differenze in tutti i continenti. Perciò avrà senso che quanto qui scritto si riferisca in prima istanza alla Chiesa italiana, come soggetto conosciuto e su cui pertanto ha senso esprimersi.

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Vista dall’esterno, la Chiesa italiana appare come una singolarità sociale.

Da una parte, le istituzioni pubbliche e la società civile tentano, con fatica e non senza contraddizioni, di realizzare il principio costituzionale della parità di diritti tra i generi,[2] di indirizzare le strutture istituzionali ad un’equità di rappresentanza, di attuare politiche che promuovano pari opportunità e di prevenire l’ancora troppo diffusa prevaricazione e violenza dell’uomo sulla donna. In tutti questi tentativi la Chiesa è presente in modo propositivo e attivo.

Dall’altra parte, al suo interno, la stessa Chiesa si struttura in modo rigidamente maschile, teorizzando e realizzando il principio per cui alla donna non è riservato un ruolo direzionale, ma solo consultivo.

Se, nelle dichiarazioni di principio del magistero, la dignità e il valore delle donne sono affermati con ogni possibile argomentazione e se ne riconosce la parità con i corrispettivi maschili,[3] quando si scende sul piano pratico, intervengono principi di presunta natura teologica, che, di fatto, sovvertono le affermazioni precedenti.

Nella Chiesa cattolica il culto, la predicazione e la presidenza della comunità – ovvero i fattori su cui si struttura l’identità ecclesiale – sono ultimamente appannaggio maschile: governo gerarchico e celebrazione dei sacramenti (salvo circostanziate eccezioni) sono riservati ai soli uomini. Analizzando le motivazioni con cui periodicamente il magistero o le commissioni teologiche istituzionali rispondono alle istanze di modifica di questo principio,[4] si nota come le uniche argomentazioni con cui si respinge ogni possibile riforma derivino esclusivamente da analisi di carattere biblico o storico.

In questi documenti si spendono molte pagine per analizzare come nel Nuovo Testamento non ci siano sufficienti dati per sostenere un cambiamento della prassi attuale; un altro consistente numero di pagine è dedicato a rintracciare nel passato elementi che autorizzino modifiche dello status quo, ma invano. Difficilmente l’analisi della situazione ecclesiale contemporanea occupa più di qualche riga.

Questo sbilanciamento nel passato è indicativo di come la Chiesa affronta questa sfida che la storia le sottopone: cammina guardando indietro. Se questa immagine è paradossale, d’altra parte induce a formulare un grave interrogativo: in che modo la Chiesa pensa di cogliere i segni che lo Spirito propone nella storia?

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L’immagine evangelica della moneta sotterrata per paura di perderla[5] non è meno impietosa di questa immagine, considerando anche il tragico finale della parabola.

Il patrimonio della fede che ha ricevuto dal Nuovo Testamento è certo ciò che di più prezioso la Chiesa custodisce; ma chiede di essere messo in relazione con la storia, non di essere sotterrato per paura di perderlo.  Rimanendo ancora sui testi evangelici, Gesù mette in guardia da chi sa valutare ogni cosa, ma non sa cogliere i segni dei tempi;[6] interessante notare che, in quell’occasione, Gesù stesse rispondendo a chi da lui chiedeva a tutti i costi un segno, che molto assomiglia a chi si ingegna a cercare nei sacri testi o nelle prassi antiche anacronistici segni che diano risposte pronte ai problemi dell’oggi.

Non è guardando indietro, per chiedere il permesso ad un’autorità sepolta nel passato, che la Chiesa adempirà al compito di annunciare il Vangelo nel presente.

Le donne hanno già dato ampiamente dimostrazione di saper occupare al pari degli uomini – e spesso anche meglio – posizioni di responsabilità e di vertice nelle istituzioni, nelle imprese, nella cultura, insomma in tutta la società e anche in altre Chiese cristiane. Per quale motivo allora nella Chiesa cattolica non è possibile che esse entrino con tutte le loro potenzialità? Perché la Chiesa si vuole privare del loro specifico apporto in ambito sacramentale e gerarchico?

Le risposte che la Chiesa dà a queste domande non offrono reali ragioni a chi, pur condividendo l’appartenenza ecclesiale, vive radicato in questo tempo presente: sono motivazioni che non tengono conto della storia e che portano ad allontanare la fede dalla ragione. Come se la storia scorresse inutilmente davanti all’immutabilità di verità custodite dai suoi pochi detentori. Verità che non possono essere comprese, ma solo accettate. [7]

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Come lo stesso Sinodo attesta, nella Chiesa italiana le donne sono molto presenti e attive.[8] Nelle parrocchie sono l’assoluta maggioranza di coloro che partecipano alla vita delle comunità e che si impegnano in esse, assumendo ruoli specifici nell’annuncio del Vangelo, nella carità e nella liturgia. Le comunità religiose femminili si autogestiscono e forniscono alla Chiesa e alla società servizi pastorali, educativi, socio-assistenziali, spirituali e di altro genere.

Nelle facoltà teologiche, negli istituti di scienze religiose e nelle facoltà universitarie molte docenti cattoliche, religiose e laiche, si distinguono per i loro studi, per la letteratura scientifica prodotta e per i ruoli accademici ricoperti. Che cosa manca alle donne per accedere alle posizioni ecclesiali riservate agli uomini? Quando questa domanda viene posta, si risponde che la Chiesa non è il luogo delle rivendicazioni e che nella Chiesa c’è posto per tutti. Ma che cos’è una rivendicazione e perché viene valutata tanto negativamente, come se fosse un atto di arrogante protagonismo?

Una rivendicazione è la dichiarazione di un diritto esistente e non riconosciuto. Questo presunto diritto non può esistere in astratto, ma deve sussistere nella realtà storica, che può essere riletta e analizzata alla luce dei segni in cui si manifesta. Quando un diritto esistente non è riconosciuto, allora viene calpestato ed è soggetto a violenza. Non solo il diritto, però: insieme con esso anche la persona cui attiene, ovvero la sua dignità.[9]

Per questo la rivendicazione di un diritto non può essere giudicata come invadente arroganza, ma, al contrario, è una doverosa azione per fermare una violenza.[10]

Le donne subiscono la violenza maschile dalla notte dei tempi e nella Chiesa non è andata diversamente; senza volgersi alla storia passata, è sufficiente porre attenzione a quanto accade oggi. A partire dalle strutture di base come le parrocchie – in cui le donne sono l’elemento decisivo, sia per numero di aderenti, che per gli impegni di cui si fanno carico –, la direzione delle azioni pastorale, liturgica, caritativa, educativa ed economica è accentrata nella figura del parroco.[11]

Anche le comunità religiose femminili, pur avendo una direzione interna femminile, alla fine dipendono da un vescovo alle cui decisioni devono sottostare.[12] In breve, le donne sono ritenute non idonee per tutto ciò che attiene alla struttura gerarchica della Chiesa e alla celebrazione dei sacramenti. È esattamente questo giudizio di non idoneità che costituisce un atto violento, ancorché motivato con presunte ragioni giuridico-teologiche.

Violento perché nega la realtà, violento perché è utilizzato per escludere, violento perché non ammette repliche. Ma soprattutto violento perché chiama in causa il volere divino, per giustificare scelte che hanno radici storiche e culturali note a tutti. “Dio lo vuole” è la ragione di chi non ha buone ragioni da esibire, per giustificare il proprio arbitrio.

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Il documento finale del Sinodo sembra recepire, almeno in parte, le riflessioni e le spinte volte a dare una nuova posizione alla donna nella Chiesa. In sede di analisi dell’attuale situazione ecclesiale, definisce “triste” la mancata partecipazione di tanti membri del Popolo di Dio al rinnovamento della Chiesa, in particolare in riferimento alla fatica nel vivere correttamente la relazionalità tra uomini e donne.[13]

Non tace le “ricorrenti espressioni di dolore e sofferenza da parte di donne di ogni regione e continente, sia laiche sia consacrate, durante il processo sinodale”,[14] per la mancanza di relazioni che rispettino l’uguale dignità e la reciprocità tra uomini e donne. Cita le disuguaglianze tra uomini e donne “tra le barriere che dividono le persone, anche nelle comunità cristiane”.[15]

Infine, constata con lucidità che, a fronte di una pari dignità all’interno del Popolo di Dio, “le donne continuano a trovare ostacoli nell’ottenere un riconoscimento più pieno dei loro carismi, della loro vocazione e del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa, a scapito del servizio alla comune missione”.[16]

A partire da queste premesse e da ulteriori riflessioni teologiche e bibliche, il documento sinodale si impegna in un’affermazione di principio tanto chiara, quanto profetica: “Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo”.[17]

In ultimo, a livello applicativo, si chiede di dare risposta all’esigenza di una più ampia partecipazione di laici e laiche ai processi decisionali e alle posizioni di responsabilità (dando realizzazione alle disposizioni già esistenti, senza però discostarsi da esse) e di una valorizzazione di consacrati e consacrate in posizioni di responsabilità ecclesiale.[18]

La debolezza di queste indicazioni operative, risiede nella loro genericità, nella mancanza di elementi davvero innovativi e nella mancata presa in considerazione di quanto affermato in linea di principio e in sede di analisi. Ciononostante, grazie al fatto che nella Nota di accompagnamento del Documento finale, papa Francesco ha precisato che questo documento “partecipa del Magistero ordinario del successore di Pietro”,[19] rappresenta uno dei più importanti punti di riferimento magisteriali sul tema in esame, perlomeno per le affermazioni di principio in esso contenute.

Nella stessa Nota si legge che le Chiese sono ora chiamate a realizzare con decisioni coerenti le indicazioni del documento finale del Sinodo, dando vita a quella che viene definita la “fase attuativa”.

***

Una grande parte della Chiesa italiana guarda con fiducia e speranza al processo di rinnovamento che con il Sinodo si è avviato e si attende che, in questa fase attuativa, la Chiesa tutta e, in particolare, la Chiesa continentale europea, dalle strutture più generali alle singole comunità, possa ricevere un chiaro indirizzo di trasformazione e di riforma, per realizzare concretamente il tema della sinodalità e tutti quei temi ad esso connessi.

Quest’attesa è ancor più giustificata dal fatto che papa Francesco ha sollecitato “le Chiese locali e i raggruppamenti di Chiese […] a dare attuazione, nei diversi contesti, alle autorevoli indicazioni contenute nel Documento” e, citando Amoris laetitia 3, ha ribadito che “in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali”.[20]

Si attende, altresì, che ci sia ancora spazio per proseguire la riflessione e il dibattito sulla posizione della donna nella Chiesa, soprattutto in relazione alla mancata consequenzialità tra le affermazioni di principio e la strutturazione ecclesiale, a livello canonico e pastorale.

Tutte queste attese rischiano di essere deluse, se il lavoro avviato dal Sinodo non proseguirà con decisioni chiare, che influiscano direttamente sia sulle articolazioni di vertice della Chiesa, che su quelle di base; il rinnovamento della Chiesa può avvenire solo se verrà dettagliato al più presto in prassi visibili a tutti i livelli delle strutture ecclesiali e se prevederà ulteriori sviluppi in tempi successivi ben definiti.[21]

La celebrazione e l’attuazione di questo Sinodo possono esse stesse costituire un segno dei tempi: un’occasione regalata alla Chiesa per convertirsi e annunciare il Regno di Dio che accade, anche al suo interno.


[1] Cf. SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO, Gruppi di studio su questioni emerse nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi da approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia romana, 14 marzo 2024, n.5. XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI – PRIMA SESSIONE, Relazione di Sintesi: Una Chiesa sinodale in missione, 28 ottobre 2023, n.9. XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, Documento Finale della Seconda Sessione: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”, 26 ottobre 2024, nn. 9, 36, 52, 54, 60, 70, 77, 94.
[2] Cf. Artt. 3 – 29 – 37 – 51, Costituzione della Repubblica Italiana, 1948.
[3] G.ROSSI, L’identità femminile, in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, Le cose nuove del XXI secolo, Fascicolo 2, Vita e Pensiero (2023).
[4] Cf. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Inter Insigniores. Dichiarazione circa l’ammissione delle donne al sacerdozio, 1976; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Sull’ordinazione delle donne, 1976; GIOVANNI PAOLO II, Ordinatio Sacerdotalis. Lettera apostolica ai vescovi della Chiesa Cattolica sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, 1994; COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Il diaconato evoluzione e prospettive, 2003.
[5] Matteo 25,14-30.
[6] Matteo 16,3.
[7] Un esempio fra i tanti, circa la necessità di accettare una verità immutabile, indipendentemente da fattori storici: «Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Ordinatio Sacerdotalis, 4, op. cit.). D’altra parte il concetto teologico di tradizione non è sinonimo di conservazione, ma indica qualcosa di vivente, in continua evoluzione, orientato alla trasmissione (traditio) dell’Evangelo (depositum fidei) nella storia. Se la tradizione viene staccata dalla storia perde la sua vitalità e non è più in grado di adempiere al suo compito. A tale proposito, così si esprime il Concilio Vaticano II: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (CONCILIO ECEUMENICO VATIVANO II, Costituzione Dogmatica Sulla Divina Rivelazione. Dei Verbum, 8). Per questo motivo «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo» (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Gaudium et spes, 4), poiché solo in tal modo il depositum fidei può trovare l’ambito vitale in cui essere “buona notizia” per l’umanità che abita la storia.
[8] Come si legge nel Documento Finale della Seconda Sessione del Sinodo, al n. 60: «Le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime testimoni della fede nelle famiglie. Sono attive nella vita delle piccole comunità cristiane e nelle Parrocchie; gestiscono scuole, ospedali e centri di accoglienza; sono a capo di iniziative di riconciliazione e di promozione della dignità umana e della giustizia sociale. Le donne contribuiscono alla ricerca teologica e sono presenti in posizioni di responsabilità nelle istituzioni legate alla Chiesa, nelle Curie diocesane e nella Curia Romana. Ci sono donne che svolgono ruoli di autorità o sono a capo di comunità». Si veda anche M.E. GANDOLFI, Quante sono le donne nella Chiesa? Conoscere i dati per riconoscere una presenza, in Orientamenti Pastorali 10 (2020).
[9] Sulla relazione tra “dignità” e “diritti”: «Cresce la coscienza dell’eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili» (Gaudium et Spes, 26, op. cit.). «Certi diritti dell’uomo sono così fondamentali che mai possono essere ricusati senza che sia messa in pericolo la dignità stessa della persona. In quest’ottica il Patto internazionale del 1966 afferma che certi diritti non possono mai essere violati, come per esempio «il diritto alla vita» (art. 6), «la dignità inerente alla persona umana» e «l’eguaglianza fondamentale» (art. 16), «la libertà di pensiero, di coscienza e di religione» (art. 17) (COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Dignità e diritti della persona umana, 1983).
[10] «Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell’uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità» (Gaudium et Spes, 26, op. cit.).
[11] «Perché uno sia nominato parroco validamente, deve essere costituito nel sacro ordine del presbiterato» (comma 1, can. 521, Codex Juris Canonici, 1983). «Il parroco rappresenta la parrocchia, a norma del diritto, in tutti i negozi giuridici» (comma 1, can. 532, CJC, op. cit.).
[12] Per quanto attiene a tutti gli istituti di vita consacrata: «Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante l’approvazione canonica e parimenti, per quanto le compete, curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni» (can. 576, CJC, op. cit.). Per quanto attiene agli istituti religiosi: «I religiosi sono soggetti alla potestà dei Vescovi, ai quali devono seguire con rispetto devoto e riverenza, in ciò che riguarda la cura delle anime, l’esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato» (comma 1, can. 678, CJC, op. cit.). Per quanto attiene alle società di vita apostolica: «Sono soggetti inoltre al Vescovo diocesano in ciò che riguarda il culto pubblico, la cura delle anime e le altre attività apostoliche, attesi i cann. 679-683» (comma 2, can. 738, CJC, op. cit).
[13] Cf. n. 36.
[14] Cf. n. 52.
[15] Cf. n. 54.
[16] Cf. n. 60.
[17] Cf. n. 60.
[18] Cf. n. 77.
[19] FRANCESCO, Nota di accompagnamento del Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 25 novembre 2024.
[20] FRANCESCO, Nota di accompagnamento.
[21] Come si legge nel Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” del 26 ottobre 2024, al n.9: «Il processo sinodale non si conclude con il termine dell’attuale Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ma comprende la fase attuativa»; e al n.94: «Senza cambiamenti concreti a breve termine, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del Popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Spetta alle Chiese locali trovare modalità appropriate per dare attuazione a questi cambiamenti».

 

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20 Commenti

  1. Matteo De Matteis 13 agosto 2025
  2. Maria Laura Innocenti 17 luglio 2025
  3. Don Paolo Andrea Natta 15 luglio 2025
    • Matteo De Matteis 13 agosto 2025
  4. Paola 10 luglio 2025
  5. Marina Umbra 10 luglio 2025
    • Anima errante 10 luglio 2025
      • Marina Umbra 10 luglio 2025
        • Pietro 10 luglio 2025
          • Luca 15 luglio 2025
        • anima errante 10 luglio 2025
  6. Fabio Cittadini 10 luglio 2025
    • Anima errante 10 luglio 2025
  7. Liliana 9 luglio 2025
    • Adelmo li Cauzi 10 luglio 2025
  8. Giovanni Polidori 8 luglio 2025
    • Marina Umbra 11 luglio 2025
  9. Una donna 8 luglio 2025
    • Pietro 8 luglio 2025
  10. Pietro 8 luglio 2025

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