
È stata pubblicata la nota “Una caro” sulla monogamia da parte del Dicastero per la dottrina della fede. Ho letto con attenzione e interesse il testo, per aver trattato, per oltre un decennio, il tema delle nullità matrimoniali nel Tribunale regionale delle Marche.
Nella presentazione del documento, il prefetto, card. Fernandez, ha accennato alla richiesta di Chiese africane che stentano a proporre il matrimonio monogamico.
Per dare un sostegno alla dottrina cristiana, la proprietà dell’unità è stato declinata a partire dalla Scrittura per passare alla teologia, agli interventi magisteriali di Leone XIII, del Concilio Vaticano II, di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI, di Francesco, di Leone XIV, con cenni alla filosofia e alla poesia.
Suggerisco alcune riflessioni sorte dalla lettura.
L’unità nel matrimonio
Nel documento non si fa cenno alla caratteristica del matrimonio cristiano che è esso stesso sacramento. Il Codice di diritto canonico recita: «Pertanto, tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento» (can. 1055 §2).
Nel documento del Dipartimento si appella, anche senza riferimenti espliciti, all’antropologia teologica che narra le vicende umane nella prospettiva cristiana. Una condizione che non esiste più: nelle culture arcaiche con il rischio della poligamia, nelle società dei paesi sviluppati con le scappatoie delle separazioni e dei divorzi.
Purtroppo, sono di pubblica condotta le convivenze, i matrimoni ritardati (se saranno celebrati), le relazioni coniugali fragili.
L’unità del matrimonio si realizzata per motivi umani: è dovuta a condizioni fisiche, psicologiche, relazionali, economiche e sociali. Quando e se la convivenza porta a unità di intenti e di progetti, essa è un gran valore per i coniugi e per i figli. Garantirla con razionalità non è più possibile.
Insistere su una dottrina “cristiana” per illustrare la condizione umana, nelle sue varie articolazioni, compresa la famiglia, rischia di essere sepolta nei manuali che non studiano nemmeno i chierici.
La dimensione del sacramento solo in rari casi è alimentata e vissuta con responsabilità, non diversamente da vocazioni di vita religiosa o di chierici.
La dottrina della Chiesa ha caricato il sacramento del matrimonio di prospettive ampie e spirituali: si pensi all’analogia di Cristo sposo-Chiesa sposa. Una dimensione difficilmente comprensibile nelle culture i cui cardini sono la propria soggettività con la conseguente libertà.
I matrimoni celebrati con l’accettazione del sacramento sono veramente rari: ancora prevalgono motivi molto umani.
Prepararsi al matrimonio
Il Dicastero ha scelto di intervenire a partire dalle proprietà essenziali del matrimonio, tra cui l’unità. Uno schema diverso, quello delle finalità, avrebbe potuto portare a conclusioni propositive, con il vantaggio di insistere sul bene dei coniugi e sulla procreazione.
Nel primo capitolo rientrava sicuramente l’unità, caratteristica indispensabile per un matrimonio stabile. Aveva il vantaggio di seguire la dinamica del sorgere e del vivere il matrimonio.
Diverse, infatti, sono le fasi per giungere al sacramento: dall’innamoramento, alla frequentazione previa (fidanzamento), ai progetti del futuro.
Non sempre le nozze giungono con motivazioni serie e condivise. Non è raro il caso di celebrazioni dopo troppi anni di frequentazione, o quasi doverose.
Le relazioni umane vanno soggette a variazioni dipendenti dai singoli, dalle circostanze, dalle condizioni. Insistere sulla “preparazione” al matrimonio offre l’occasione di decidere saggiamente. Purtroppo i cosiddetti “corsi” di preparazione sono tenuti con la data fissata delle nozze. A quel punto nulla ferma la “macchina preparatoria”: invitati, menù, regali, vestizioni ecc…
Tra patto e libertà
Un ulteriore elemento influente l’unità è lo schema prevalente scelto dalla dottrina ecclesiastica, legata al concetto di “patto, contratto”… per tutta la vita. L’attenzione al consenso è concentrata sull’intelligenza e sulla volontà. La dottrina prevalente afferma addirittura che “l’amore” non ha rilevanza giuridica.
Nell’istruttoria prematrimoniale, alla domanda “accetti che il matrimonio duri tutta la vita?”, non è improbabile la risposta “speriamo”.
Un vecchio professore canonista affermava che molti dei nostri matrimoni celebrati in chiesa sono nulli, senza bisogno di processi: per mancanza di maturazione umana o di fede religiosa.
Difficile combattere contro la concezione della libertà individuale inviolabile.
Nel matrimonio questa cultura è prevalente, vissuta anche in buona fede. Sembra essere tornati allo schema classico della civiltà romana che prevedeva il “consenso continuo”: esisteva finché era dichiarato, per scomparire quando fosse escluso.
Il matrimonio cristiano è celebrato di fronte a Dio e alle persone. L’unità è uno dei valori cristiani indispensabili.
Un intreccio di relazioni
Non si fa cenno alla figliolanza. Una condizione non marginale: se averli, in che numero, chi li accudisce, i valori da trasmettere. La famiglia costituita non è una monade, ma una comunità che ha relazioni e conseguenze sulla stessa tenuta con la presenza o l’assenza di figli.
Se prevale la propria carriera, l’unità ne risente, disgregando la coppia. Un figlio disabile influisce sulle relazioni della coppia, a volte lasciando sola una parte, in genere la madre. Così la sicurezza economica, sia negativa per mancanza di lavoro o troppo abbondante per benessere o per impegni di lavoro ha conseguenze sulla stabilità. La malattia di un coniuge può produrre l’allontanamento del membro sano. In tempi recenti la cronaca ha proposto addirittura l’uccisione del coniuge malato: il dramma assoluto si verifica con il suicidio-omicidio se la solitudine è troppo alta.
Suggerire percorsi concreti
La nota ha avuto il merito di aver insistito sull’unità. I limiti sono stati quelli di aver affrontato la problematica del matrimonio “in facto esse” e non “in fieri” (famiglia costituita e nozze da celebrare). Un quadro “dottrinario” che ipotizza personaggi e condizioni astratte.
Sarebbe stato utile indicare i percorsi concreti per giungere alla dimensione spirituale della vocazione alla famiglia. Sicuramente le indicazioni suggerite esclusivamente da uomini, per lo più celibatari, non ha aiutato.






Interessante: “ma a noi che ce ne importa” “dove sta scritto…”, bisogna finirla con la dittattura o terrorismo clericale
“Sicuramente le indicazioni suggerite esclusivamente da uomini, per lo più celibatari, non ha aiutato”: è la chiusa oculata dell’articolo di don Vinicio Albanesi, ma ne poteva costituire l’inizio. Un ottimo inizio. Com’è possibile che nella Chiesa di oggi, su questi temi, non sia ancora data la parola a persone sposate e competenti?
Com’è possibile che persone celibatarie per scelta o vocazione, nella Chiesa attuale, scrivano ancora o firmino esse sole un documento peraltro modesto (lo rileva d. Albanesi)? Per scelta e condizione un presbitero e un vescovo (egualmente un cardinale o un papa) ammettono di non avere né la vocazione al matrimonio né il sacramento. Possibile che a parlare, nella Chiesa, sia sempre chi fa parte del clero? Anche in queste cose?
La società è immensamente cambiata, negli ultimi sessant’anni, e ha scoperto suo malgrado quante contraddizioni la Chiesa abbia sostenuto nel corso dei secoli e quante contraddizioni strutturali essa ancora mantenga.
Oggi persone sposate hanno competenze e conoscenze invidiabili su questi temi. E non solo su questi, ma su ogni aspetto della vita della Chiesa. Ma dov’è lo spazio per i laici? Dov’è la possibilità, nella Chiesa, di lasciare a loro la produzione di questi documenti? Disturba che i laici producano un documento ecclesiale? Sono battezzati di secondo rango? In tutta sincerità, dopo una storia segnata da pronunciamenti ecclesiastici di ben altro senso, un documento addirittura di elogio da parte della CdDF non me lo aspettavo. Nemmeno lo desideravo. Auspicherei, al contrario, che i membri della istituzione ecclesiastica – seguendo una linea che mi sembra opportunamente suggerita da papa Francesco – riconoscano, a nome della stessa istituzione ecclesiastica, tutta una serie di errori del passato e dunque chiedano scusa: scusa per le pretese secolari di normare e aridamente classificare ogni aspetto del matrimonio, mortificandolo e mortificandone la scelta in molti modi. Senza risalire troppo indietro nel tempo, ecco come il Catechismo della Chiesa cattolica ‘incoraggia’ a questo sacramento:
Il matrimonio sotto il regime del peccato
1606 Ogni uomo fa l’esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna. Da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all’odio e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.
1607 Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva dalla natura dell’uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma dal peccato. Rottura con Dio, il primo peccato ha come prima conseguenza la rottura della comunione originale dell’uomo e della donna. Le loro relazioni sono distorte da accuse reciproche; 243 la loro mutua attrattiva, dono proprio del Creatore, 244 si cambia in rapporti di dominio e di bramosia; 245 la splendida vocazione dell’uomo e della donna ad essere fecondi, a moltiplicarsi e a soggiogare la terra 246 è gravata dai dolori del parto e dalle fatiche del lavoro. 247
1608 Tuttavia, anche se gravemente sconvolto, l’ordine della creazione permane. Per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. 248 Senza questo aiuto l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati « da principio ».
Preferisco non continuare, tanta è l’amarezza e con essa la percezione della freddezza, l’ennesima, con cui il documento sarà quindi recepito.
IL MALE DI FERNANDEZ.
Per sommi capi, “Il Tempo è superiore allo Spazio” che tanto ci ricordava FRANCESCO, se declinato in un parallelo tra ROMA e MOSCA, significa come Mosca abbia molto più spazio territoriale, ma, con minore tempo vissuto, se risultano organismi civili notevolmente successivi alla Romanità.
Perciò la superiorità di Roma consiste nell’essere Roma per millenni e millenni di tempo.
Lo stesso per i Romani. La Religione Cristiana è una Religione Mediterranea, sorta per evoluzione in un determinato tempo sociale in ambiti umani particolarmente civili. Civili per più acquisita capacità di ragione, (talché era ampiamente incidente la prostituzione) TRAMITE, IL TEMPO,
tanto come anche la odierna società argentina è una replica della mediterranea.
Perciò; ed anche il Concilio Tridentino ce lo ricorda se in gran parte della Cristianità, il Matrimonio, e non quindi per caso, non è un Sacramento; le indicazioni del Card. Fernandez non possono avere effetto ecumenico per differenza di tempo che agisce nello stesso spazio, perché poi, nel matrimonio ciò che è realmente importante non è il metodo ma il prodotto che deve proseguire la specie nella giusta direzione giustamente indicata dalla civiltà di Cristo.
Anzi sembra (a me) che questa nota sia stata cairologicamente emessa, in questo frangente, per compiacere (gratuitamente) solo una certa parte di Cristianità che in una certa latitudine confina con concezioni opposte su questo argomento con un altra parte. Altrimenti di fronte al procedere imperterrito della volontà della natura: Chi saremmo noi per giudicare con quanti diversi uomini, sente di partorirsi l’istinto di una femmina?
La stessa aporia del Dicastero si riscontra sulla omosessualità. Omosessualità che non torna alla Religione secondo le scrittura. Perché se la “carne omosessuale” esiste davvero per volere di Dio, allora quello stesso volere ha creato prima la femmina e dopo il maschio.
Mentre, (e con quale percentuale) la omosessualità si può facilmente simulare per le più varie strategie potendo facilmente accadere unioni omosessuali tra due individui completamente ed esclusivamente eterosessuali, ed allora, con lapsazione di dottrine, ciò che scrivono anche nei catechismi non è altro che maligna opera ingannatoria del grande persuasore….
Non ho capito una cippa…
Delirante
La fotografia scelta mi sembra pregiudizievole, perché il nuovo documento solleva anche un ragionamento che riguarda i divorziati risposati nostrani. Infatti, se il matrimonio è una unione unica tra un uomo e una donna, i divorziati risposati sono di fatto… bigami! Delle due l’una: o il divorzio distrugge il matrimonio (ma non è così), o le mogli del risposato sono simultaneamente due. Quella del matrimonio unico e indissolubile; quella della nuova unione! Ma allora aveva ragione Giovanni Paolo II…
Il vero punto debole della Nota, che fa cadere tutto il contenuto come un castello di carte, è la mancanza di una prospettiva psicologica all’interno del tema delle relazioni tra persone. La monogamia (ma a noi che ce ne importa se ci sono realtà di poligamia? Se la tenessero… a patto che ci sia un quadro giuridico di tutela), il matrimonio, è sempre un rapporto tra persone, dove entrano desideri, aspirazioni, paure, ferite, aspettative, tutto un insieme di relazioni e di incontri e scontri tra psicologie diverse. La Nota semplicemente ignora questo aspetto fondamentale. Dunque non serve a niente, come appunto bene sa chi si occupa di matrimoni e Rota, dove ogni giorno si vedono le problematiche sottintese ai rapporti e le conseguenze delle debolezze psicologiche. Ma la Chiesa ignora pervicacemente la psicologia, perché altrimenti dovrebbe applicarla a se stessa e ai propri esponenti, ponendo e ponendosi troppe domande scomode. Poi la poligamia. Ma a noi che ce ne importa? Dove sta scritto che il matrimonio è tra un solo essere umano di sesso maschile e un solo essere umano di sesso femminile? Perchè a Cana (forse) è stato così? Ma in Israele c’era la poligamia (vedi Deuterononio 17), di cui appunto nella Nota non si parla… Il documento tace troppi aspetti essenziali. Era meglio lasciarlo nel cassetto. Una vera ‘riforma’ del matrimonio cattolico sarebbe di cancellare finalmente gli effetti civili, toglierlo dai ‘sacramenti’, dare una benedizione ai coniugi e assisterli per davvero nel loro cammino di vita in comune. Invece dobbiamo costringere tutto e tutti dentro le maglie strette di dottrine del passato, dove le scienze umane facciamo finta che non ci siano. Salvo poi lamentarsi della diminuzione dei matrimoni in chiesa e dell’aumento delle convivenze. In questo contesto, mi sembra ovvio e normale.