Lo Spirito e la Chiesa: /3 l’inatteso

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pentecoste

Una delle dinamiche che hanno sempre travagliato il vissuto delle comunità ecclesiali è il rapporto tra la fedeltà alla tradizione della fede, che ha nella Scrittura il suo riferimento normativo, e la necessità di promuovere nuove letture dell’esperienza cristiana, più sintoniche con la cultura e le esigenze del pensiero.

Tra fedeltà e novità

Non di rado, tale tensione viene monopolizzata da due gruppi antitetici, che vorrebbero l’uno che la fede fosse espressa e vissuta negli stessi termini in cui la si è appresa e praticata nella propria infanzia, e l’altro che la si potesse rimettere continuamente in discussione senza troppi vincoli.

In realtà, nella teologia cristiana il principio della fedeltà alla tradizione e quello della novità coincidono, dal momento che ambedue si identificano con lo Spirito Santo.

Così scrive al riguardo il padre Congar: «Lo Spirito Santo attualizza la Pasqua del Cristo in vista dell’escatologia della creazione. Egli attualizza anche la Rivelazione del Cristo. Egli spinge in avanti il Vangelo nel non ancora accaduto della storia. Perché, se il Cristo è nato una volta sola, ha parlato, è morto ed è risorto una volta sola, questa una volta sola deve trovare accoglienza, mettere radici e portare frutto in una umanità che si moltiplica e si diversifica indefinitamente attraverso le culture, gli spazi umani e lo scorrere del tempo. Tra il dato e l’inatteso, tra l’acquisito una volta per sempre e il perpetuamente inedito e nuovo, deve avvenire un’unione. È lo Spirito Santo, Spirito di Gesù, Gesù come Spirito, che realizza tutto questo e si capisce facilmente come egli sia, nello stesso tempo, “Spirito di verità” e Libertà» (Y. Congar. Credo nello Spirito Santo. 2. Lo Spirito come vita, Queriniana, Brescia 1982, 45).

Secondo il teologo domenicano, la necessità della novità all’interno dell’esperienza cristiana non deriva dal bisogno di assecondare le istanze culturali del momento e di rimuovere gli aspetti difficili della dottrina e dell’etica cristiana, ma da una ragione interna al cristianesimo stesso.

Si tratta del fatto che il Figlio di Dio si è incarnato, è vissuto, è morto ed è risorto una volta sola, in un preciso luogo e tempo. Tra questo evento e il suo ritorno finale c’è di mezzo una storia caratterizzata dalla diversità dei luoghi, dei tempi e delle culture.

Affinché l’unico evento cristologico sia accolto e vissuto in tali contesti così differenti, è necessario un collegamento, una mediazione, che è data dallo Spirito Santo. Egli è lo Spirito della Verità, cioè del Cristo, in quanto non ha altro da comunicare che il Signore stesso.

Nello stesso tempo, è lo Spirito della libertà, perché qualunque comprensione ed esperienza della persona di Gesù che la comunità ecclesiale può vivere in un determinato luogo e momento resterà sempre limitata e parziale. Lo Spirito la guida quindi ad andare oltre, ad aprirsi ad un modo sempre più ricco di intendere l’esperienza cristiana, che talora può assumere tratti inediti.

Ovviamente tale novità dev’essere in continuità con le origini, cioè con la tradizione della fede in Cristo quale è attestata nella Scrittura, ma non consiste neppure all’aggiustamento di alcuni dettagli. Lo Spirito guida realmente la Chiesa verso nuovi orizzonti che, a prima vista, potrebbero sembrare inaccettabili, e che solo col tempo – e con la docilità all’azione divina – emergono come modi più autentici di vivere l’esperienza cristiana.

Il ruolo dei vescovi

Se la Chiesa sta vivendo un momento di particolare difficoltà per i cambiamenti a cui deve far fronte, la colpa non è di quei pastori che, come papa Francesco, le ricordano che lo Spirito la guida verso l’inedito. È la stessa esperienza cristiana che è fatta così.

Se è vero che, con il passare dell’età, si ha bisogno di minimizzare i cambiamenti, perché si percepisce che potrebbero sconvolgere la propria visione delle cose e la propria capacità di affrontare la vita, per essere cristiani bisogna custodire una certa giovinezza interiore, cioè una capacità di andare oltre ciò che si è sperimentato per aprirsi all’inedito.

Nello stesso tempo, però, Congar ricorda la novità che viene realmente dallo Spirito è sempre un’esplicitazione dell’unica verità che è Gesù Cristo. Ecco perché i pastori debbono svolgere il loro ruolo di supervisione del cammino ecclesiale, che non può essere delegato ad altri in nome di una mal compresa sinodalità.

Con l’ordinazione essi hanno ricevuto il carisma di custodire l’autentica identità evangelica delle loro comunità cristiane, e devono esercitarlo in modo umile ma fermo.

Tale carisma non li guiderà sempre a mantenere le cose come sono, cioè a fare tutto nello stesso modo, ma piuttosto a verificare con grande accuratezza che l’inedito che si affaccia nel vissuto ecclesiale sia realmente frutto dello Spirito, e quindi è congruente con la tradizione della fede, e che non derivi invece dalle mode effimere del momento o dalle pretese di protagonismo di qualcuno.

Insomma, il ministero dei pastori, se ben compreso, non è funzionale ad una conservazione museale della Chiesa, ma piuttosto alla sua vera libertà.

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3 Commenti

  1. Salvo Coco 13 dicembre 2023
  2. Tobia 12 dicembre 2023
  3. Fabio Cittadini 12 dicembre 2023

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