Quale devozione? Sulla canonizzazione di Carlo Acutis

di:

acutis

Anzitutto i fatti. Qualche mese fa sono iniziati a circolare in maniera sparsa commenti che esprimevano dubbi sulla canonizzazione di Carlo Acutis. Perché un processo così veloce? La veloce canonizzazione non si spiega più in termini di politica ecclesiastica che di invito della santità? Che cosa c’è in questa figura di così significativo da proporre per i ragazzi di oggi? Siamo sicuri che le icone che lo mostrano reggere un ostensorio davanti allo schermo di un laptop siano di buon gusto? Promuovere a «genio dell’informatica» chi ha fatto un sito internet non è una goffa agiografia? Perché una continua presenza della famiglia, quando alla madre di Maria Goretti (rarissimo caso paragonabile) venne proibito ogni intervento pubblico?

Queste osservazioni provenivano da ambienti cattolici grosso modo conservatori. Qualche giorno fa si è aperto un diverso fronte, ora più noto: Andrea Grillo ha pubblicato una decina di post nella sua pagina Facebook e due articoli nel suo blog (il 17 giugno e il 20 giugno) in cui esprime forti perplessità. Le sue argomentazioni possono essere facilmente lette, ma ne tento ugualmente un brevissimo sunto.

Il modo in cui Carlo Acutis viene presentato e la pubblicità agiografica che si è sviluppata attorno a lui risente di una sensibilità religiosa assai arretrata (come se nulla fosse accaduto negli ultimi 70 anni, in particolare nella comprensione dell’eucaristia) e a tratti fuorviante (soprattutto per la debordante attrazione verso il miracoloso).

Certamente alla base s’intuisce una passione, ma se la presentazione che di lui viene fatta è corretta, bisogna purtroppo dire che si è trattato di una passione che non è stata bene indirizzata. (In questa presentazione ho smussato intenzionalmente alcune punte: mi paiono, per esempio, esagerate le critiche formulate da Andrea Grillo nei confronti dei due ormai celebri motti «Non io ma Dio» e «Tutti nascono originali ma molti muoiono fotocopie»; mi pare altresì poco equo citare di una presentazione solo i passaggi discutibili e omettere quelli, più numerosi, facilmente condivisibili; ma dall’altra parte devo riconoscere che se egli avesse visto per intero il sito dedicato a Carlo Acutis e il materiale ivi scaricabile avrebbe trovato ulteriori motivi per rimanere assai perplesso).

***

Ovunque si parli, in fin dei conti, di una persona, ogni discorso è rischioso. Tanto più lo è quando il punto di riferimento ultimo è un ragazzo morto giovanissimo che, secondo le concordi testimonianze, ha umanamente mostrato grande entusiasmo, generosità e coraggio e che la Chiesa cattolica ha deciso, con procedure sicuramente più semplici di un tempo ma non per questo superficiali, di proporre come possibile modello per tutti e soprattutto per i giovani.

In questo caso il rischio è moltiplicato dal fatto che si incrociano diversi livelli di discorso. Ad esempio, c’è il problema del senso della canonizzazione. Senz’andare ecumenicamente troppo lontani, che cosa fare per esempio del buon vecchio consiglio di Giovanni della Croce? «Nelle tue azioni non prendere mai a modello l’uomo per santo che sia, perché il demonio ti porrà dinanzi le sue imperfezioni; imita invece Cristo, il quale è sommamente perfetto e santo, e non sbaglierai mai» (Spunti di amore, 78).

C’è il problema delle nuove norme di Giovanni Paolo II sulla canonizzazione, che hanno permesso di vedere santi contemporanei, ma all’inevitabile prezzo della perdita di una prospettiva storica e dell’impossibilità di valutare la permanenza di una memoria e di un’ispirazione.

C’è il problema di una certa tendenza recente a considerare tutti i canonizzati pure dottori della Chiesa, dando ai loro scritti un valore esorbitante.

C’è il problema del senso della canonizzazione di bambini o adolescenti in particolare (è noto che tradizionalmente ciò avveniva solo per i martiri, fino al caso limite degli Innocenti, santi non solo a loro insaputa ma senza neppure averlo potuto volere: eppure ricordati con grande solennità).

C’è il problema della qualifica teologica della canonizzazione, o anche del culto pubblico (che cosa fare dei casi in cui il culto è stato poi cancellato in quanto il venerato era sì santo ma mancava della non irrilevante qualità di essere esistito?).

Ci sono, ovviamente, i problemi dottrinali specifici messi in luce da Andrea Grillo: di comprensione dell’eucaristia, soprattutto, ma anche del destino eterno (è sanamente evangelico desiderare di saltare il purgatorio grazie alle sofferenze ospedaliere?).

***

E però, qui non vogliamo entrare in tali importanti problemi, ma piuttosto mettere a fuoco una questione che ci pare raramente esplicitata, e che invece questa vicenda aiuta a formulare. Non credo che i problemi (reali o presunti) qui individuati siano di carattere «teologico»: penso, infatti, che ci siano ottimi motivi per limitare la parola «teologia» a un discorso strutturato, argomentato, documentato, che chiarisce i contenuti essenziali della fede o si avventura nei campi che non sono essenziali: e tutto questo ovviamente non può esserci in un adolescente.

Certo, è fin troppo facile citare l’articolo in cui Tommaso discute i miracoli eucaristici e ne limita il significato (Summa Theologiae, 3, 76, 8), e metterla a confronto con quella che può apparire una fissazione adolescenziale. Ma il fatto è appunto questo: che così confronteremmo un discorso teologico con qualcosa che non è discorso teologico: non può esserlo e non vuole esserlo.

Come chiamare questo qualcosa? Un termine che può essere usato senza troppi equivoci è «devozione».

Certo, esso oggi suona desueto, ma perlomeno ha un nobile uso noto a tutti coloro che si occupano di storia del cristianesimo: è con esso che si definisce la devotio moderna, quel grande movimento di riforma religiosa iniziato nel XIV secolo nei Paesi Bassi che metteva al centro la semplicità di vita, l’interiorità, la vita comune. Era un movimento molto più laicale che clericale, che non aveva di per sé una sua teologia né tanto meno consisteva in una teologia, ma piuttosto traduceva (o tentava di tradurre) la fede cristiana in una sensibilità, in pratiche, in maniera di vita. Di questa vicenda storica (che come è noto già nel XV secolo iniziò a svanire) tratteniamo solo il nome generico «devozione».

Un santo adolescente certamente non ha nessuna teologia, ma certamente ha una devozione. Mi pare che, mettendo tra parentesi le critiche che sono palesemente rivolte ai promotori della causa di Carlo Acutis (inclusi, per esempio, coloro che hanno attivato su Youtube una curiosa diretta del suo sepolcro 24 ore su 24, 7 giorni su 7), le perplessità sostanziali riguardino invece la sua devozione: quella che gli venne indicata, ovviamente, quella che egli ha trovato nel suo ambiente e nella quale, con generosità tutta giovanile, si è gettato.

«Come è possibile che tutto il cammino che la Chiesa ha fatto negli ultimi 70 anni, sul piano della comprensione del valore ecclesiale dell’eucaristia e della sua celebrazione, sia stato comunicato in modo così distorto al giovane ardente comunicatore, tanto da suggerirgli una comprensione tanto lacunosa, tanto difettosa, tanto unilaterale?», scrive Andrea Grillo. Salvo, crediamo di dover aggiungere, che la questione non sta tanto sul piano della «comprensione» (in mancanza di prova contraria si può supporre che la dottrina sull’eucaristia conosciuta da Carlo Acutis fosse corretta), quanto su quello dell’espressione: cioè, se vogliamo usare la terminologia prima proposta, della devozione che corrispondeva a una certa comprensione.

***

È lecito distinguere le due cose? A chi conosce anche vagamente qualcosa del Movimento liturgico non c’è neppure bisogno di dire che una delle grandi preoccupazioni di esso consisteva proprio nel superamento dello scollamento tra liturgia e devozione, e che questa preoccupazione è stata poi sancita come principio di riforma nel Concilio Vaticano II: sarebbe dunque sensato obiettare che proprio la «devozione» come grandezza autonoma è stata ridimensionata dal Concilio. Ma anche così il problema resta, così formulato: come è possibile che una comprensione non sia diventata anche devozione, e cioè sensibilità, accentuazione di priorità, forma di linguaggio? La domanda diventa enorme. Già, come è possibile? dopo decenni di documenti, di teologi, di librerie strabordanti di pubblicazioni, di liturgia riformata, di preti e vescovi formati interamente in questa nuova stagione?

Certo, non tutte le regioni della vasta geografia del mondo cattolico hanno accolto con pari convinzione l’evoluzione che il Concilio in parte sanciva, in parte incoraggiava. E tuttavia Carlo Acutis non è vissuto a Écône, ma a Milano: la diocesi che era stata di Giovanni Battista Montini e Giovanni Colombo, e che, negli anni di Carlo Acutis, fu di Carlo Maria Martini (in quegli anni l’autore cattolico più noto) e in piccola parte di Dionigi Tettamanzi. In quegli anni Milano era anche la terra della scuola teologica più celebre d’Italia: per esempio Giuseppe Angelini, PierAngelo Sequeri, Giuseppe Colombo.

Non vogliamo coinvolgere la teologia? E allora diciamo che da Milano (se diamo credito alle voci dell’epoca) proveniva nel 1979 Non di solo pane, forse il più intelligente ed equilibrato catechismo del postconcilio europeo. E se (come purtroppo ben probabile) Carlo Acutis non lo incrociò, gli sarà stato sicuramente messo tra le mani Io ho scelto voi del 1993, un testo più semplice (niente citazioni di Ratzinger o Bonhoeffer) ma pur sempre ottimo e moderno. Come è possibile che nulla si sia trasmesso neppure per osmosi, per consuetudine di parola, per contagio di atteggiamento?

Se poi la prospettiva si sposta dalla vita di Carlo Acutis alla diffusione del suo culto e al suo processo di beatificazione e poi di canonizzazione, almeno una cosa è da notare: che si tratta dell’unico caso (per evidenti motivi di rapidità temporale) che si colloca interamente dentro all’arco del papato di Francesco, giustamente salutato come il primo papa «figlio del Concilio».

Non è anzi difficile trovare commenti che indicarono la figura di Carlo Acutis come l’esempio per eccellenza di quella «santità della porta accanto» di cui parla l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 2018. L’esortazione post-sinodale Christus vivit del 2019, inoltre, non solo lo nomina esplicitamente pur essendo lui allora solo un «venerabile», ma gli dedica ben tre numeri – anzi quattro, perché, dopo averne citato il motto sugli originali e sulle fotocopie, lo riutilizza ancora una volta (nn. 104-107). Come è possibile, anche da questo punto di vista, che nulla di «conciliare» sia stato trasmesso?

***

Non credo però che una caccia al colpevole sia neppure minimamente sensata. Il maggior problema non riguarda affatto gli educatori di Carlo Acutis (ammesso che un problema vi fu). Perché? Basta leggere una qualsiasi inchiesta sulla religiosità giovanile in Italia per vedere oggi risultati in cui ovviamente la passione eucaristica è statisticamente inesistente, però sostituita non dal «valore ecclesiale dell’eucaristia e della sua celebrazione», bensì dal nulla assoluto, o, quando va bene, da qualche vago valore umanitario o ecologico.

È giusto insomma chiedersi perché un adolescente italiano abbia ricevuto in eredità una devozione opinabile; ma è giusto contemporaneamente anche chiedersi perché due milioni e mezzo (tanti sono oggi gli adolescenti in Italia) non ne ricevano in eredità nessuna. La battuta secondo cui un Concilio per essere messo in pratica ha bisogno di cent’anni è, con rispetto parlando, appunto una battuta: e comunque anche questo tempo, che forse aveva un senso all’epoca dei messaggeri a dorso di cammello, sta ormai agli sgoccioli, se contiamo anche i decenni immediatamente preparatori.

Insomma: esaminando la situazione con un certo distacco storico ormai possibile, uno dei drammi del Concilio Vaticano II è esattamente questo: certamente è stato un decisivo capitolo della storia della Chiesa, è stato (indirettamente) un decisivo capitolo della storia della teologia, ma proprio per quel mondo occidentale dal quale traeva la maggior parte degli stimoli sociali e culturali non è stato un capitolo della storia della «devozione».

Potremmo immaginarci, come se fossimo dei soggettisti per un film, una devotio conciliaris, magari per una storia di santità giovanile? Certamente.

Potremmo immaginare, per esempio: una ragazza vive chiusa in un contesto di malavita, un giorno trova nella biblioteca scolastica per sbaglio Gesù, la storia di un vivente di Edward Schillebeeckx, per noia e pur di non ascoltare l’antipatico professore di matematica legge qualche pagina e improvvisamente si chiede che cosa sia la sua vita, da qui comincia a immaginare un mondo diverso che non sia fatto solo di armi e droga, riesce a trascinare dietro a sé amici e amiche liberandoli da questa prigione, la figura di quel vivente li conquista sempre più e lo sentono uno di loro, un po’ per gioco cominciano a vedersi insieme all’alba in un garage a leggere il vangelo, e poi leggono i salmi, e il salmo 23 li fa sentire finalmente sereni e il salmo 12 li fa sentire ancora più assetati di giustizia, e ognuno che coraggiosamente in quel buio e meraviglioso garage si unisce a loro è una persona in meno coinvolta nella malavita, e poi…

Penso che molti preferirebbero questa storia a una mostra su 136 miracoli eucaristici o su 132 apparizioni di angeli e demoni. Il problema è che questa storia è irreale, e non è un caso se, per costruirla con la fantasia, ci si sente costretti a immaginare eventi casuali e momenti di serendipity.

***

Una devotio conciliaris non è sostanzialmente nata in Occidente, e ciò fa tanto più pensare quanto più si vede che questo era indubbiamente uno degli scopi del Concilio. La maggior parte di ciò che viene detto in Sacrosanctum concilium ha avuto certo una sua realizzazione oggettiva (che a volte, come è noto, è andata oltre le timide formulazioni approvate); ma molto meno ha avuto un esito dal punto di vista della sensibilità in un Occidente allagato da una multiforme secolarizzazione, che si è rivelata assai diversa da come era stata prevista e a volte anche teologicamente fantasticata. Il minimo che si possa dire è che l’enfasi sulla partecipazione liturgica è stata alquanto vanificata dall’esodo massiccio e silenzioso dei partecipanti.

Forse il problema è, però, più profondo e c’è un segno che simbolicamente lo suggerisce. Il n. 100 della Sacrosanctum concilium stabilisce: «Procurino i pastori d’anime che, nelle domeniche e feste più solenni, le ore principali, specialmente i vespri, siano celebrate in chiesa con partecipazione comune. Si raccomanda che anche i laici recitino l’ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra loro, e anche da soli»: ma questo è esattamente il buio e meraviglioso garage! Che tuttavia non esiste, e del quale (questo ci pare ancora più sintomatico) non esiste neppure la versione ecclesiale: quante sono (almeno in Italia) le parrocchie che rispettano questa indicazione? Credo che il numero sia prossimo allo zero.

È come se, malgrado il fervore di iniziative e novità negli anni Sessanta e Settanta (che dava la contrapposta impressione di novità esaltante e di scomposta distruzione), alla fine tanto rinnovamento non sia riuscito, se non marginalmente, a sedimentarsi in forme di vita normali, quotidiane, condivise, rituali. Pure le grandi novità di vita «laicale», che potevano sulla carta adempiere a questo compito almeno sotto la forma dell’avanguardia, sono nella maggior parte dei casi o durate poco, o scivolate di nuovo in forme religiose, o super-religiose e autoritarie.

Alla fine, non meraviglia troppo che un adolescente normale, con una dedizione straordinaria, soggettivamente esemplare, non possa aver usato che l’unica merce presente chiaramente sul mercato: una devotio anteconciliaris.

***

Tutto ciò significa che la devozione è uscita dall’agenda della Chiesa cattolica? Certamente no. Durante il papato di Francesco (quindi dopo la vicenda terrena di Carlo Acutis), vi sono stati almeno tre momenti in cui la devotio (nel suo senso immediato, popolare, universale) ha costituito elemento centrale di attenzione, in tutti e tre i casi con un invito avvenuto alla fine della preghiera dell’Angelus, praticamente in mondovisione.

Il primo momento è stato il 17 novembre 2013, quando papa Francesco annunciò «una medicina speciale per concretizzare i frutti dell’anno della Fede»: si tratta della «Misericordina», una scatolina contenente l’immagine di Gesù misericordioso, un rosario usabile anche per pregare la coroncina della misericordia, e un dettagliato bugiardino contenente le istruzioni per l’uso. Confezioni di Misericordina furono donate a tutti i presenti in Piazza San Pietro, ma il farmaco è ancora oggi in vendita a circa 5 euro, descritto come una «medicina spirituale che fa arrivare la Misericordia nell’anima. Si manifesta attraverso la pace del cuore, la gioia interiore e il desiderio di fare del bene. La sua efficacia è garantita dalle parole di Gesù». Il gesto di papa Francesco ebbe grande eco.

Un secondo momento è stato il 6 aprile 2014, quando papa Francesco fa distribuire a tutti i presenti una copia del Vangelo: «Nelle scorse domeniche ho suggerito a tutti voi di procurarsi un piccolo Vangelo, da portare con sé durante la giornata, per poterlo leggere spesso. Poi ho ripensato all’antica tradizione della Chiesa, durante la Quaresima, di consegnare il Vangelo ai catecumeni, a coloro che si preparano al battesimo. Allora oggi voglio offrire a voi che siete in Piazza – ma come segno per tutti – un Vangelo tascabile». In cambio del regalo, raccomanda a tutti di restituire la parole del Vangelo, o fare un gesto di amore gratuito e, infine, ricorda che esistono anche tanti strumenti tecnologici per avere sempre con sé la parola di Dio.

Il terzo momento è stato il 20 gennaio 2019 in concomitanza con la Giornata Mondiale delle Comunicazioni. La rete è una grande risorsa, sottolinea papa Francesco. Per questo è stata creata la piattaforma ufficiale della Rete Mondiale di Preghiera per il Papa (già Apostolato della Preghiera), utilizzabile tramite un’apposita app Click To Pray che Francesco invita ad istallare. L’app consente di pregare il «rosario per la pace nel mondo», intervallato da pensieri del papa. È possibile anche scegliere il sottofondo sonoro per facilitare la meditazione (suoni della natura o melodie New Age), e selezionare gli orari, in modo che il telefono avvisi al momento giusto. Il rosario è presente in diversi livelli, dall’uno all’altro si passa quando si è completato il livello precedente.

L’aspetto però più innovativo viene annunciato più tardi, il 15 ottobre 2019, con una conferenza nella sala stampa della Santa Sede: si tratta dell’eRosary, un «dispositivo intelligente e interattivo per invitare e accompagnare i giovani a pregare il Rosario»: sostanzialmente, un braccialetto contenente un accelerometro, che riconosce quando la mano fa il segno della croce e in quel momento fa partire automaticamente l’app del rosario: un’idea indubbiamente brillante (benché evidentemente possa interferire con Deus in adiutorium meum intende).

«Non è vero che i giovani non sono aperti alla preghiera», viene sottolineato. Il sito della rete di Preghiera del Papa spiega più dettagliatamente: «Pensato per raggiungere le frontiere periferiche del mondo digitale dove i giovani si incontrano, Click To Pray eRosary lavora come pedagogia tecnologica per insegnare ai giovani a pregare il rosario, a pregare per la pace e a contemplare il Vangelo. Pertanto, questo progetto riunisce il meglio della tradizione spirituale della Chiesa e gli ultimi progressi del mondo tecnologico».

Non viene invece detto il prezzo del braccialetto con l’accelerometro, oggi purtroppo esaurito, che è di 130 dollari. Per completezza di cronaca, il 19 ottobre 2021 è annunciata la versione 2.0 dell’app, assai diversa rispetto alla prima e apparentemente purtroppo orfana del braccialetto con accelerometro. In compenso, viene sottolineata la sua importanza per la sinodalità.

***

Chiedo scusa della prolissità, ma un po’ di documentazione è utile per rendere la riflessione più equilibrata.

Certamente tra i tre episodi vi sono differenze e forse perfino una qualche gerarchia (lascio al lettore indovinare quale sia la mia irrilevante opinione in merito). Ma quella che si disegna non è globalmente una devotio conciliaris: forse potremmo chiamarla una devotio postconciliaris. È questa una riforma irreversibile della sensibilità cattolica (eccezion fatta per l’eRosary che come detto pare discontinued)? E, se sì, che cosa accadrà quando, tra qualche decennio, si aprirà il processo di beatificazione per un ragazzo che è stato educato in questa devotio postconciliaris? Quali perplessità verranno avanzate? Da chi e in nome di che cosa?

Queste domande puramente speculative possono essere tranquillamente ignorate. Più serio invece è chiedersi che cosa non abbia funzionato in Occidente, quell’Occidente in cui l’assenza di devozione è anche semplicemente il regresso apparentemente inarrestabile del cristianesimo. Si può anche ritenere che questo «non funzionare» sia una perdita per l’intera civiltà occidentale, e allora la simmetrica domanda su che cosa possa essere fatto oggi può essere largamente condivisa. Forse l’idea di una devotio conciliaris è fuori tempo massimo e la sola ipotesi può far ridere. Ma ciò di cui si ride talvolta avviene (Gen 18,9-15): quante volte le cose più preziose sono quelle tardive, giunte quando ormai c’è rassegnazione?

Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se almeno il sapere cristiano non possa essere un ingrediente, benché non il più importante. Contrariamente a quanto potrebbe essere apparso, non c’era nessun intento ironico nella storia immaginaria della ragazza che legge Schillebeeckx (se l’autore appare sospetto, lo si sostituisca con Balthasar o Guardini): una ragazza può leggere una grande teologia e rimanerne conquistata. Sottovalutare l’intelligenza e l’interesse delle persone è errore di gran lunga peggiore di quello contrario.

Certo, si può replicare che a una bambina di sette anni non va spiegato il De Trinitate di Agostino. E però si sbaglierebbe anche in questo caso, perché poi si scoprirebbe che Nennolina all’età di sette anni era capace di scrivere la sua letterina alla «Cara SS. Trinità» in cui allo Spirito Santo, chiamato con agostiniana perfezione «l’amore del Padre e del Figlio», veniva detto: «Caro Spirito Santo io ti voglio tanto bene, quando io farò la Cresima Tu dammi tutti i tuoi sette doni»: il che evidentemente si basa su ciò che le era stato insegnato da qualcuno.

La conoscenza non genera spontaneamente alcuna devozione: ma non è forse vero che almeno aiuta ad evitare deviazioni, o un eterno girare in tondo di una passione che non sa dove poggiarsi? Certamente (lo ripeto) questo non è tutto e neppure la cosa più importante, ma forse merita di essere ricordato. Che una delle epoche che ha più generato ricerca teologica, il Novecento, sia anche quella che ha prodotto più pedagogica disistima del sapere e della sua trasmissione va annoverato tra i drammi, e non il minore, del postconcilio.

Aperta questa enorme questione, non si può però evitare di ammettere la cosa che forse è decisiva: che nella vita di un ragazzo o di un bambino riconosciuto come «santo» è possibile talvolta intravedere qualcosa della propria infanzia o della propria adolescenza, di quella semplicità nel guardare le cose assolute per le quali nulla è troppo, la quale, forse in qualche minuscolo attimo, ha perfino consentito di vedere attraverso una parola («Dio», per esempio) l’unica cosa che conta.

Se il salmo 25 chiede a Dio di non ricordare i peccati della giovinezza, forse qualcuno vorrebbe chiedere a Dio di ricordarsi solo della sua giovinezza. Il che non c’entra proprio nulla con la rinuncia al sapere e al capire, se pure un filosofo come Kierkegaard poteva scrivere: «Ecco a che cosa si riduce la vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto ineguagliabile che tutto il resto sia nulla al suo confronto, e che anche se si dimentica tutto, quella non la si dimentica mai» (Diario, II A 58).

Print Friendly, PDF & Email

30 Commenti

  1. Michele 14 agosto 2025
  2. Matteo De Matteis 13 agosto 2025
    • Angela 13 agosto 2025
  3. Antonello 4 luglio 2025
  4. Giuseppe Giuseppe Potter 1 luglio 2025
  5. Giuseppe 29 giugno 2025
  6. Carmine Miccoli 27 giugno 2025
  7. Christian 27 giugno 2025
    • Angela 28 giugno 2025
    • Pietro 30 giugno 2025
  8. Adelmo Li Cauzi 27 giugno 2025
  9. Fabio Cittadini 27 giugno 2025
  10. Marco M. 26 giugno 2025
    • cesare 2 luglio 2025
  11. Gian Piero 26 giugno 2025
    • Gian Piero 26 giugno 2025
      • Cacciatrice di stelle 2 luglio 2025
    • Anima errante 27 giugno 2025
  12. Antonio Franceschi 26 giugno 2025
  13. Dario Busolini 26 giugno 2025
    • Angela 26 giugno 2025
    • Cacciatrice di stelle 2 luglio 2025
  14. Giovanni Lupino 26 giugno 2025
  15. Pietro 26 giugno 2025
  16. Emanuela Buccioni 26 giugno 2025
  17. 68ina felice 26 giugno 2025
  18. Bosisio Ferdinando 26 giugno 2025
  19. Angela 26 giugno 2025
    • Cri 26 giugno 2025
      • Angela 26 giugno 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto