
Anzitutto i fatti. Qualche mese fa sono iniziati a circolare in maniera sparsa commenti che esprimevano dubbi sulla canonizzazione di Carlo Acutis. Perché un processo così veloce? La veloce canonizzazione non si spiega più in termini di politica ecclesiastica che di invito della santità? Che cosa c’è in questa figura di così significativo da proporre per i ragazzi di oggi? Siamo sicuri che le icone che lo mostrano reggere un ostensorio davanti allo schermo di un laptop siano di buon gusto? Promuovere a «genio dell’informatica» chi ha fatto un sito internet non è una goffa agiografia? Perché una continua presenza della famiglia, quando alla madre di Maria Goretti (rarissimo caso paragonabile) venne proibito ogni intervento pubblico?
Queste osservazioni provenivano da ambienti cattolici grosso modo conservatori. Qualche giorno fa si è aperto un diverso fronte, ora più noto: Andrea Grillo ha pubblicato una decina di post nella sua pagina Facebook e due articoli nel suo blog (il 17 giugno e il 20 giugno) in cui esprime forti perplessità. Le sue argomentazioni possono essere facilmente lette, ma ne tento ugualmente un brevissimo sunto.
Il modo in cui Carlo Acutis viene presentato e la pubblicità agiografica che si è sviluppata attorno a lui risente di una sensibilità religiosa assai arretrata (come se nulla fosse accaduto negli ultimi 70 anni, in particolare nella comprensione dell’eucaristia) e a tratti fuorviante (soprattutto per la debordante attrazione verso il miracoloso).
Certamente alla base s’intuisce una passione, ma se la presentazione che di lui viene fatta è corretta, bisogna purtroppo dire che si è trattato di una passione che non è stata bene indirizzata. (In questa presentazione ho smussato intenzionalmente alcune punte: mi paiono, per esempio, esagerate le critiche formulate da Andrea Grillo nei confronti dei due ormai celebri motti «Non io ma Dio» e «Tutti nascono originali ma molti muoiono fotocopie»; mi pare altresì poco equo citare di una presentazione solo i passaggi discutibili e omettere quelli, più numerosi, facilmente condivisibili; ma dall’altra parte devo riconoscere che se egli avesse visto per intero il sito dedicato a Carlo Acutis e il materiale ivi scaricabile avrebbe trovato ulteriori motivi per rimanere assai perplesso).
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Ovunque si parli, in fin dei conti, di una persona, ogni discorso è rischioso. Tanto più lo è quando il punto di riferimento ultimo è un ragazzo morto giovanissimo che, secondo le concordi testimonianze, ha umanamente mostrato grande entusiasmo, generosità e coraggio e che la Chiesa cattolica ha deciso, con procedure sicuramente più semplici di un tempo ma non per questo superficiali, di proporre come possibile modello per tutti e soprattutto per i giovani.
In questo caso il rischio è moltiplicato dal fatto che si incrociano diversi livelli di discorso. Ad esempio, c’è il problema del senso della canonizzazione. Senz’andare ecumenicamente troppo lontani, che cosa fare per esempio del buon vecchio consiglio di Giovanni della Croce? «Nelle tue azioni non prendere mai a modello l’uomo per santo che sia, perché il demonio ti porrà dinanzi le sue imperfezioni; imita invece Cristo, il quale è sommamente perfetto e santo, e non sbaglierai mai» (Spunti di amore, 78).
C’è il problema delle nuove norme di Giovanni Paolo II sulla canonizzazione, che hanno permesso di vedere santi contemporanei, ma all’inevitabile prezzo della perdita di una prospettiva storica e dell’impossibilità di valutare la permanenza di una memoria e di un’ispirazione.
C’è il problema di una certa tendenza recente a considerare tutti i canonizzati pure dottori della Chiesa, dando ai loro scritti un valore esorbitante.
C’è il problema del senso della canonizzazione di bambini o adolescenti in particolare (è noto che tradizionalmente ciò avveniva solo per i martiri, fino al caso limite degli Innocenti, santi non solo a loro insaputa ma senza neppure averlo potuto volere: eppure ricordati con grande solennità).
C’è il problema della qualifica teologica della canonizzazione, o anche del culto pubblico (che cosa fare dei casi in cui il culto è stato poi cancellato in quanto il venerato era sì santo ma mancava della non irrilevante qualità di essere esistito?).
Ci sono, ovviamente, i problemi dottrinali specifici messi in luce da Andrea Grillo: di comprensione dell’eucaristia, soprattutto, ma anche del destino eterno (è sanamente evangelico desiderare di saltare il purgatorio grazie alle sofferenze ospedaliere?).
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E però, qui non vogliamo entrare in tali importanti problemi, ma piuttosto mettere a fuoco una questione che ci pare raramente esplicitata, e che invece questa vicenda aiuta a formulare. Non credo che i problemi (reali o presunti) qui individuati siano di carattere «teologico»: penso, infatti, che ci siano ottimi motivi per limitare la parola «teologia» a un discorso strutturato, argomentato, documentato, che chiarisce i contenuti essenziali della fede o si avventura nei campi che non sono essenziali: e tutto questo ovviamente non può esserci in un adolescente.
Certo, è fin troppo facile citare l’articolo in cui Tommaso discute i miracoli eucaristici e ne limita il significato (Summa Theologiae, 3, 76, 8), e metterla a confronto con quella che può apparire una fissazione adolescenziale. Ma il fatto è appunto questo: che così confronteremmo un discorso teologico con qualcosa che non è discorso teologico: non può esserlo e non vuole esserlo.
Come chiamare questo qualcosa? Un termine che può essere usato senza troppi equivoci è «devozione».
Certo, esso oggi suona desueto, ma perlomeno ha un nobile uso noto a tutti coloro che si occupano di storia del cristianesimo: è con esso che si definisce la devotio moderna, quel grande movimento di riforma religiosa iniziato nel XIV secolo nei Paesi Bassi che metteva al centro la semplicità di vita, l’interiorità, la vita comune. Era un movimento molto più laicale che clericale, che non aveva di per sé una sua teologia né tanto meno consisteva in una teologia, ma piuttosto traduceva (o tentava di tradurre) la fede cristiana in una sensibilità, in pratiche, in maniera di vita. Di questa vicenda storica (che come è noto già nel XV secolo iniziò a svanire) tratteniamo solo il nome generico «devozione».
Un santo adolescente certamente non ha nessuna teologia, ma certamente ha una devozione. Mi pare che, mettendo tra parentesi le critiche che sono palesemente rivolte ai promotori della causa di Carlo Acutis (inclusi, per esempio, coloro che hanno attivato su Youtube una curiosa diretta del suo sepolcro 24 ore su 24, 7 giorni su 7), le perplessità sostanziali riguardino invece la sua devozione: quella che gli venne indicata, ovviamente, quella che egli ha trovato nel suo ambiente e nella quale, con generosità tutta giovanile, si è gettato.
«Come è possibile che tutto il cammino che la Chiesa ha fatto negli ultimi 70 anni, sul piano della comprensione del valore ecclesiale dell’eucaristia e della sua celebrazione, sia stato comunicato in modo così distorto al giovane ardente comunicatore, tanto da suggerirgli una comprensione tanto lacunosa, tanto difettosa, tanto unilaterale?», scrive Andrea Grillo. Salvo, crediamo di dover aggiungere, che la questione non sta tanto sul piano della «comprensione» (in mancanza di prova contraria si può supporre che la dottrina sull’eucaristia conosciuta da Carlo Acutis fosse corretta), quanto su quello dell’espressione: cioè, se vogliamo usare la terminologia prima proposta, della devozione che corrispondeva a una certa comprensione.
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È lecito distinguere le due cose? A chi conosce anche vagamente qualcosa del Movimento liturgico non c’è neppure bisogno di dire che una delle grandi preoccupazioni di esso consisteva proprio nel superamento dello scollamento tra liturgia e devozione, e che questa preoccupazione è stata poi sancita come principio di riforma nel Concilio Vaticano II: sarebbe dunque sensato obiettare che proprio la «devozione» come grandezza autonoma è stata ridimensionata dal Concilio. Ma anche così il problema resta, così formulato: come è possibile che una comprensione non sia diventata anche devozione, e cioè sensibilità, accentuazione di priorità, forma di linguaggio? La domanda diventa enorme. Già, come è possibile? dopo decenni di documenti, di teologi, di librerie strabordanti di pubblicazioni, di liturgia riformata, di preti e vescovi formati interamente in questa nuova stagione?
Certo, non tutte le regioni della vasta geografia del mondo cattolico hanno accolto con pari convinzione l’evoluzione che il Concilio in parte sanciva, in parte incoraggiava. E tuttavia Carlo Acutis non è vissuto a Écône, ma a Milano: la diocesi che era stata di Giovanni Battista Montini e Giovanni Colombo, e che, negli anni di Carlo Acutis, fu di Carlo Maria Martini (in quegli anni l’autore cattolico più noto) e in piccola parte di Dionigi Tettamanzi. In quegli anni Milano era anche la terra della scuola teologica più celebre d’Italia: per esempio Giuseppe Angelini, PierAngelo Sequeri, Giuseppe Colombo.
Non vogliamo coinvolgere la teologia? E allora diciamo che da Milano (se diamo credito alle voci dell’epoca) proveniva nel 1979 Non di solo pane, forse il più intelligente ed equilibrato catechismo del postconcilio europeo. E se (come purtroppo ben probabile) Carlo Acutis non lo incrociò, gli sarà stato sicuramente messo tra le mani Io ho scelto voi del 1993, un testo più semplice (niente citazioni di Ratzinger o Bonhoeffer) ma pur sempre ottimo e moderno. Come è possibile che nulla si sia trasmesso neppure per osmosi, per consuetudine di parola, per contagio di atteggiamento?
Se poi la prospettiva si sposta dalla vita di Carlo Acutis alla diffusione del suo culto e al suo processo di beatificazione e poi di canonizzazione, almeno una cosa è da notare: che si tratta dell’unico caso (per evidenti motivi di rapidità temporale) che si colloca interamente dentro all’arco del papato di Francesco, giustamente salutato come il primo papa «figlio del Concilio».
Non è anzi difficile trovare commenti che indicarono la figura di Carlo Acutis come l’esempio per eccellenza di quella «santità della porta accanto» di cui parla l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 2018. L’esortazione post-sinodale Christus vivit del 2019, inoltre, non solo lo nomina esplicitamente pur essendo lui allora solo un «venerabile», ma gli dedica ben tre numeri – anzi quattro, perché, dopo averne citato il motto sugli originali e sulle fotocopie, lo riutilizza ancora una volta (nn. 104-107). Come è possibile, anche da questo punto di vista, che nulla di «conciliare» sia stato trasmesso?
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Non credo però che una caccia al colpevole sia neppure minimamente sensata. Il maggior problema non riguarda affatto gli educatori di Carlo Acutis (ammesso che un problema vi fu). Perché? Basta leggere una qualsiasi inchiesta sulla religiosità giovanile in Italia per vedere oggi risultati in cui ovviamente la passione eucaristica è statisticamente inesistente, però sostituita non dal «valore ecclesiale dell’eucaristia e della sua celebrazione», bensì dal nulla assoluto, o, quando va bene, da qualche vago valore umanitario o ecologico.
È giusto insomma chiedersi perché un adolescente italiano abbia ricevuto in eredità una devozione opinabile; ma è giusto contemporaneamente anche chiedersi perché due milioni e mezzo (tanti sono oggi gli adolescenti in Italia) non ne ricevano in eredità nessuna. La battuta secondo cui un Concilio per essere messo in pratica ha bisogno di cent’anni è, con rispetto parlando, appunto una battuta: e comunque anche questo tempo, che forse aveva un senso all’epoca dei messaggeri a dorso di cammello, sta ormai agli sgoccioli, se contiamo anche i decenni immediatamente preparatori.
Insomma: esaminando la situazione con un certo distacco storico ormai possibile, uno dei drammi del Concilio Vaticano II è esattamente questo: certamente è stato un decisivo capitolo della storia della Chiesa, è stato (indirettamente) un decisivo capitolo della storia della teologia, ma proprio per quel mondo occidentale dal quale traeva la maggior parte degli stimoli sociali e culturali non è stato un capitolo della storia della «devozione».
Potremmo immaginarci, come se fossimo dei soggettisti per un film, una devotio conciliaris, magari per una storia di santità giovanile? Certamente.
Potremmo immaginare, per esempio: una ragazza vive chiusa in un contesto di malavita, un giorno trova nella biblioteca scolastica per sbaglio Gesù, la storia di un vivente di Edward Schillebeeckx, per noia e pur di non ascoltare l’antipatico professore di matematica legge qualche pagina e improvvisamente si chiede che cosa sia la sua vita, da qui comincia a immaginare un mondo diverso che non sia fatto solo di armi e droga, riesce a trascinare dietro a sé amici e amiche liberandoli da questa prigione, la figura di quel vivente li conquista sempre più e lo sentono uno di loro, un po’ per gioco cominciano a vedersi insieme all’alba in un garage a leggere il vangelo, e poi leggono i salmi, e il salmo 23 li fa sentire finalmente sereni e il salmo 12 li fa sentire ancora più assetati di giustizia, e ognuno che coraggiosamente in quel buio e meraviglioso garage si unisce a loro è una persona in meno coinvolta nella malavita, e poi…
Penso che molti preferirebbero questa storia a una mostra su 136 miracoli eucaristici o su 132 apparizioni di angeli e demoni. Il problema è che questa storia è irreale, e non è un caso se, per costruirla con la fantasia, ci si sente costretti a immaginare eventi casuali e momenti di serendipity.
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Una devotio conciliaris non è sostanzialmente nata in Occidente, e ciò fa tanto più pensare quanto più si vede che questo era indubbiamente uno degli scopi del Concilio. La maggior parte di ciò che viene detto in Sacrosanctum concilium ha avuto certo una sua realizzazione oggettiva (che a volte, come è noto, è andata oltre le timide formulazioni approvate); ma molto meno ha avuto un esito dal punto di vista della sensibilità in un Occidente allagato da una multiforme secolarizzazione, che si è rivelata assai diversa da come era stata prevista e a volte anche teologicamente fantasticata. Il minimo che si possa dire è che l’enfasi sulla partecipazione liturgica è stata alquanto vanificata dall’esodo massiccio e silenzioso dei partecipanti.
Forse il problema è, però, più profondo e c’è un segno che simbolicamente lo suggerisce. Il n. 100 della Sacrosanctum concilium stabilisce: «Procurino i pastori d’anime che, nelle domeniche e feste più solenni, le ore principali, specialmente i vespri, siano celebrate in chiesa con partecipazione comune. Si raccomanda che anche i laici recitino l’ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra loro, e anche da soli»: ma questo è esattamente il buio e meraviglioso garage! Che tuttavia non esiste, e del quale (questo ci pare ancora più sintomatico) non esiste neppure la versione ecclesiale: quante sono (almeno in Italia) le parrocchie che rispettano questa indicazione? Credo che il numero sia prossimo allo zero.
È come se, malgrado il fervore di iniziative e novità negli anni Sessanta e Settanta (che dava la contrapposta impressione di novità esaltante e di scomposta distruzione), alla fine tanto rinnovamento non sia riuscito, se non marginalmente, a sedimentarsi in forme di vita normali, quotidiane, condivise, rituali. Pure le grandi novità di vita «laicale», che potevano sulla carta adempiere a questo compito almeno sotto la forma dell’avanguardia, sono nella maggior parte dei casi o durate poco, o scivolate di nuovo in forme religiose, o super-religiose e autoritarie.
Alla fine, non meraviglia troppo che un adolescente normale, con una dedizione straordinaria, soggettivamente esemplare, non possa aver usato che l’unica merce presente chiaramente sul mercato: una devotio anteconciliaris.
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Tutto ciò significa che la devozione è uscita dall’agenda della Chiesa cattolica? Certamente no. Durante il papato di Francesco (quindi dopo la vicenda terrena di Carlo Acutis), vi sono stati almeno tre momenti in cui la devotio (nel suo senso immediato, popolare, universale) ha costituito elemento centrale di attenzione, in tutti e tre i casi con un invito avvenuto alla fine della preghiera dell’Angelus, praticamente in mondovisione.
Il primo momento è stato il 17 novembre 2013, quando papa Francesco annunciò «una medicina speciale per concretizzare i frutti dell’anno della Fede»: si tratta della «Misericordina», una scatolina contenente l’immagine di Gesù misericordioso, un rosario usabile anche per pregare la coroncina della misericordia, e un dettagliato bugiardino contenente le istruzioni per l’uso. Confezioni di Misericordina furono donate a tutti i presenti in Piazza San Pietro, ma il farmaco è ancora oggi in vendita a circa 5 euro, descritto come una «medicina spirituale che fa arrivare la Misericordia nell’anima. Si manifesta attraverso la pace del cuore, la gioia interiore e il desiderio di fare del bene. La sua efficacia è garantita dalle parole di Gesù». Il gesto di papa Francesco ebbe grande eco.
Un secondo momento è stato il 6 aprile 2014, quando papa Francesco fa distribuire a tutti i presenti una copia del Vangelo: «Nelle scorse domeniche ho suggerito a tutti voi di procurarsi un piccolo Vangelo, da portare con sé durante la giornata, per poterlo leggere spesso. Poi ho ripensato all’antica tradizione della Chiesa, durante la Quaresima, di consegnare il Vangelo ai catecumeni, a coloro che si preparano al battesimo. Allora oggi voglio offrire a voi che siete in Piazza – ma come segno per tutti – un Vangelo tascabile». In cambio del regalo, raccomanda a tutti di restituire la parole del Vangelo, o fare un gesto di amore gratuito e, infine, ricorda che esistono anche tanti strumenti tecnologici per avere sempre con sé la parola di Dio.
Il terzo momento è stato il 20 gennaio 2019 in concomitanza con la Giornata Mondiale delle Comunicazioni. La rete è una grande risorsa, sottolinea papa Francesco. Per questo è stata creata la piattaforma ufficiale della Rete Mondiale di Preghiera per il Papa (già Apostolato della Preghiera), utilizzabile tramite un’apposita app Click To Pray che Francesco invita ad istallare. L’app consente di pregare il «rosario per la pace nel mondo», intervallato da pensieri del papa. È possibile anche scegliere il sottofondo sonoro per facilitare la meditazione (suoni della natura o melodie New Age), e selezionare gli orari, in modo che il telefono avvisi al momento giusto. Il rosario è presente in diversi livelli, dall’uno all’altro si passa quando si è completato il livello precedente.
L’aspetto però più innovativo viene annunciato più tardi, il 15 ottobre 2019, con una conferenza nella sala stampa della Santa Sede: si tratta dell’eRosary, un «dispositivo intelligente e interattivo per invitare e accompagnare i giovani a pregare il Rosario»: sostanzialmente, un braccialetto contenente un accelerometro, che riconosce quando la mano fa il segno della croce e in quel momento fa partire automaticamente l’app del rosario: un’idea indubbiamente brillante (benché evidentemente possa interferire con Deus in adiutorium meum intende).
«Non è vero che i giovani non sono aperti alla preghiera», viene sottolineato. Il sito della rete di Preghiera del Papa spiega più dettagliatamente: «Pensato per raggiungere le frontiere periferiche del mondo digitale dove i giovani si incontrano, Click To Pray eRosary lavora come pedagogia tecnologica per insegnare ai giovani a pregare il rosario, a pregare per la pace e a contemplare il Vangelo. Pertanto, questo progetto riunisce il meglio della tradizione spirituale della Chiesa e gli ultimi progressi del mondo tecnologico».
Non viene invece detto il prezzo del braccialetto con l’accelerometro, oggi purtroppo esaurito, che è di 130 dollari. Per completezza di cronaca, il 19 ottobre 2021 è annunciata la versione 2.0 dell’app, assai diversa rispetto alla prima e apparentemente purtroppo orfana del braccialetto con accelerometro. In compenso, viene sottolineata la sua importanza per la sinodalità.
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Chiedo scusa della prolissità, ma un po’ di documentazione è utile per rendere la riflessione più equilibrata.
Certamente tra i tre episodi vi sono differenze e forse perfino una qualche gerarchia (lascio al lettore indovinare quale sia la mia irrilevante opinione in merito). Ma quella che si disegna non è globalmente una devotio conciliaris: forse potremmo chiamarla una devotio postconciliaris. È questa una riforma irreversibile della sensibilità cattolica (eccezion fatta per l’eRosary che come detto pare discontinued)? E, se sì, che cosa accadrà quando, tra qualche decennio, si aprirà il processo di beatificazione per un ragazzo che è stato educato in questa devotio postconciliaris? Quali perplessità verranno avanzate? Da chi e in nome di che cosa?
Queste domande puramente speculative possono essere tranquillamente ignorate. Più serio invece è chiedersi che cosa non abbia funzionato in Occidente, quell’Occidente in cui l’assenza di devozione è anche semplicemente il regresso apparentemente inarrestabile del cristianesimo. Si può anche ritenere che questo «non funzionare» sia una perdita per l’intera civiltà occidentale, e allora la simmetrica domanda su che cosa possa essere fatto oggi può essere largamente condivisa. Forse l’idea di una devotio conciliaris è fuori tempo massimo e la sola ipotesi può far ridere. Ma ciò di cui si ride talvolta avviene (Gen 18,9-15): quante volte le cose più preziose sono quelle tardive, giunte quando ormai c’è rassegnazione?
Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se almeno il sapere cristiano non possa essere un ingrediente, benché non il più importante. Contrariamente a quanto potrebbe essere apparso, non c’era nessun intento ironico nella storia immaginaria della ragazza che legge Schillebeeckx (se l’autore appare sospetto, lo si sostituisca con Balthasar o Guardini): una ragazza può leggere una grande teologia e rimanerne conquistata. Sottovalutare l’intelligenza e l’interesse delle persone è errore di gran lunga peggiore di quello contrario.
Certo, si può replicare che a una bambina di sette anni non va spiegato il De Trinitate di Agostino. E però si sbaglierebbe anche in questo caso, perché poi si scoprirebbe che Nennolina all’età di sette anni era capace di scrivere la sua letterina alla «Cara SS. Trinità» in cui allo Spirito Santo, chiamato con agostiniana perfezione «l’amore del Padre e del Figlio», veniva detto: «Caro Spirito Santo io ti voglio tanto bene, quando io farò la Cresima Tu dammi tutti i tuoi sette doni»: il che evidentemente si basa su ciò che le era stato insegnato da qualcuno.
La conoscenza non genera spontaneamente alcuna devozione: ma non è forse vero che almeno aiuta ad evitare deviazioni, o un eterno girare in tondo di una passione che non sa dove poggiarsi? Certamente (lo ripeto) questo non è tutto e neppure la cosa più importante, ma forse merita di essere ricordato. Che una delle epoche che ha più generato ricerca teologica, il Novecento, sia anche quella che ha prodotto più pedagogica disistima del sapere e della sua trasmissione va annoverato tra i drammi, e non il minore, del postconcilio.
Aperta questa enorme questione, non si può però evitare di ammettere la cosa che forse è decisiva: che nella vita di un ragazzo o di un bambino riconosciuto come «santo» è possibile talvolta intravedere qualcosa della propria infanzia o della propria adolescenza, di quella semplicità nel guardare le cose assolute per le quali nulla è troppo, la quale, forse in qualche minuscolo attimo, ha perfino consentito di vedere attraverso una parola («Dio», per esempio) l’unica cosa che conta.
Se il salmo 25 chiede a Dio di non ricordare i peccati della giovinezza, forse qualcuno vorrebbe chiedere a Dio di ricordarsi solo della sua giovinezza. Il che non c’entra proprio nulla con la rinuncia al sapere e al capire, se pure un filosofo come Kierkegaard poteva scrivere: «Ecco a che cosa si riduce la vita: aver visto una volta qualcosa, aver sentito una cosa tanto grande, tanto ineguagliabile che tutto il resto sia nulla al suo confronto, e che anche se si dimentica tutto, quella non la si dimentica mai» (Diario, II A 58).






A me sembra che ogni canonizzazione, più che le qualità di un “santo”, mostri in realtà le caratteristiche della fase storica che attraversa la Chiesa che lo eleva agli onori degli altari! Reale o presunto, storico o inventato che sia, dell’articolo colgo questo: la teologia è morta, l’autorità è morta e pure i santi/morti non se la passano troppo bene! Del merchandising legato all’evento non parlo per pudore (per rispetto alla quasi bimillenaria storia del fenomeno).
Noto con dispiacere che anche questo blog è pieno di haters di A. Grillo. Gente che insulta la sua professionalità, la sua onestà intellettuale e le sue argomentazioni, ma senza contro argomentare in risposta. Che luminosi esempi di santità!
Lo leggo in giro da almeno dieci anni, ho iniziato con il blog di Padre Augé poi su qualche pagina di Cittadella. E’ uno molto molto molto convinto, più militante che teologo. (padre Augé pur avendo idee simili invece era così pacato nel gestire la pagina..)
Io credo che una teologia che proponga sempre in modo polemico questioni anche giustamente discutibili e rivedibili non giovi gran che alla maturazione della fede. Questi teologi hanno già fatto il loro tempo, hanno creato già troppa confusione, disorientamento dottrinale, disaffezione alla Chiesa, ecc. Si ha bisogno di teologi che ci illustrino con chiarezza le verità di fede, ci facciano innamorare della ricchezza spirituale della Chiesa, ci aprano ad orizzonti di speranza e di vita per affrontare più attrezzati spiritualmente le sfide del mondo contemporaneo, piuttosto che affossarci nelle polemiche senza fine e inconcludenti. Troppi teologi si pavoneggiano dei loro dottorati (dottori per la terra e forse non per il Cielo) per infangarci in questioni che sono per pochi addetti ai lavori. Per favore aiutateci ad aprire cuore, coscienza e occhi allo splendore delle verità cristiane!
Approverebbero mai un nuovo ordine religioso che non metta alcuna enfasi si adorazioni eucaristiche e rosari quotidiani?
Carlo è un ragazzo dei nostri giorni, non un teologo o un laureato alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale: per questi motivi cerca il sensazionale, perché nella fede dei semplici i miracoli sono i segni eloquenti della grandezza di Dio. La sua bella testimonianza è questa ricerca di Dio con i mezzi di oggi, attraverso la tecnologia che la stragrande maggioranza degli adulti teme, la solidarietà verso i coetanei e la carità ai poveri. Penso che la teologia ambrosiana si sia incartata su se stessa a causa di un linguaggio troppo tecnico, un ecclesialese troppo stretto, per addetti ai lavori, che i fedeli non comprendono, perché estraneo alla loro vita. Anche la predicazione in duomo è avulsa dalla realtà, troppo severa e complicata; per nulla alla portata di tutti.
Grazie al prof. Salmeri per la riflessione – così come ho ringraziato il prof. Grillo per i suoi interventi e per aver toccato alcuni dei punti ora qui ripresi, che non toccano tanto la figura di Acutis, quanto quell’ambiente che lo ha circondato e che oggi si premura di “usarlo” per perpetuare un certo modo di vivere la fede (legittimo, certo, ma non esclusivo…).
Per riprendere un elemento toccato dal prof. Salmeri, credo che i luoghi in cui la “devotio conciliaris” non solo si sia sviluppata, ma abbia prodotto frutti in santità e giustizia, siano ben lontani da quelli tipici della nostra Chiesa italiana, almeno per come viene presentata: penso ai tanti testimoni di fede e di carità nei luoghi dell’ingiustizia e dell’oppressione di vari Paesi del mondo impoverito (e in cui spesso, dalla parte del carnefice e dell’oppressore, c’è qualcuno che non ha difficoltà a presenziare a messe e riti solenni…); penso anche ad alcune realtà comunitarie, in cui si vive una vita evangelica che poi ha cambiato lo sguardo di persone e paesi (e di alcune la Chiesa “ufficiale” ha riconosciuto, con i suoi tempi lenti, il valore esemplare).
D’altronde, per santi e devozioni, spesso sarà il tempo a dire quanto sarà radicato nella fede della Chiesa e quanto sarà legato ad una stagione e poi ad una pagina di enciclopedia…
Chiederei con sincerità a chi scrive e legge questi saggi e questi commenti: quanto tra voi ha meno di 40 anni? Quanti credete che siano gli adolescenti/ventenni attirati dall’idea dei “modelli di santità”? Ma davvero nel xxi secolo la Chiesa pensa di “comunicare” con i giovani e di trasmettere la fede in Cristo come faceva il secolo scorso? I Santini tipizzati,e lo dico con il massimo rispetto per il giovane Acutis che penso meriterebbe qualcosa di più di “sostanzioso” da chi ne promuove il culto, forse non interessano più molto le nuove generazioni. E personalmente dubito che la risposta migliore alla crisi di fede dei giovani sia la promozione di nuovi culti. Ma forse tutti questi sono solo riflessioni di un over 40 disconnesso dalla vita dei giovani
Premesso che non sono mai stata legata al culto dei Santi (ma ho studiato agiografia in università) la figura di Acutis è stata analizzata anche dai Gesuiti, se non altro perché sono stati loro a diffondere il culto del Sacro Cuore, soprattutto per contrastare il rigorismo giansenita. Lo stesso Bergoglio lo ha ripreso nell’ultima enciclica. Non esiste solo la divisione tra progresso e conservazione, o tra concilio e anti concilio. In questo caso c’entra più la contrapposizione tra elitario e popolare o intellettuale e incarnato.
Sono pienamente d’accordo. Ma insistiamo pure a farci del male!
Copio-incollo il passaggio che più mi ha colpito: “Che una delle epoche che ha più generato ricerca teologica, il Novecento, sia anche quella che ha prodotto più pedagogica disistima del sapere e della sua trasmissione va annoverato tra i drammi, e non il minore, del postconcilio.”
Condivido totalmente.
Conseguenze ovvie di questa incapacità di trasmettere la conoscenza sono l’odio per il passato e la stima incondizionata per tutto ciò che è nuovo e “moderno”.
Allo stesso tempo la razionalità viene derisa ed esaltato il sentimentalismo.
Mi piace molto la riflessione pacata e serena di Salmeri. Non capisco come si possa sindacare sulla santità di chi con un processo di canonizzazione la Chiesa ritiene tale. Anche perché se dovessimo fare santi donne e uomini in base al Concilio mi sembra un po’ assurdo. La santità non è opera del Concilio, è opera dello Spirito Santo che nel corso dei secoli ci ha dato sante e santi che poco hanno a che fare con il Concilio. Seguendo il ragionamento assurdo di Grillo dovremmo togliere la santità a tanti santi in questi 2000 anni!!!
Grillo non può resistere più di qualche giorno senza salire in cattedra e criticare, contestare e polemizzare, altrimenti gli viene una crisi di astinenza. Sembra che si debba sempre andare da un estremo all’altro. Si critica la devozione al SS Sacramento come se fosse una pratica in contrasto con la partecipazione all’Eucarestia nella sua dimensione conviviale, giustamente rimessa in evidenza dal Concilio, e si arriva addirittura al rifiuto sprezzante dell’adorazione eucaristica (che pure anche papa Francesco ha raccomandato nella Dilexit nos, enciclica stranamente ignorata anche dai più ferventi ammiratori del papa defunto).
Carlo Acutis molto probabilmente ha compreso pienamente il significato eucaristico coniugando devozione e azione. Devozione che conduce alla consapevolezza del mistero della presenza reale di Cristo e azione come logica conseguenza della consapevolezza del mistero. Carlo ha fatto proprio il senso eucaristico che L’evangelista Giovanni ha voluto trasmetterci. Come è noto Giovanni non racconta dell’istituzione dell’Eucaristia ma, diversamente dagli altri evangelisti, descrive l’atto di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli. Una descrizione accurata propria di chi ha visto con i propri occhi quell’incredibile scena. Appare abbastanza chiaro che:
– per Giovanni celebrare l’eucaristia (fate questo in memoria di me) equivale a seguire l’esempio di Gesù del servizio agli altri (come ho fatto io fate anche voi), due aspetti inscindibili.
– Così come l’eucaristia è il fondamento della comunità cristiana, allo stesso identico modo ne è l’esempio datoci da Gesù.
– Così come nell’eucaristia partecipiamo realmente, viviamo ora quanto accaduto allora, come fossimo realmente presenti intorno a quella mensa di allora, allo stesso identico modo viviamo ora Gesù che ci lava i piedi.
– L’Eucaristia si esprime in quel: io vi ho dato l’esempio affinché anche voi facciate come io feci a voi per cui non è un semplice rito. Ebbene Carlo Acusti ha coniugato PERFETTAMENTE nella sua vita la devozione eucaristica, non fine a se stessa, con il lavare i piedi: IL SERVIZIO AGLI ALTRI.
Le critiche di Andrea Grillo non sono rivolte tanto alla canonizzazione di Carlo Acutis quanto alla dottrina sull’ Eucarestia creduta dall’ Acutis che certo la dottrina “tradizionale ” . I teologi modernisti ,come i protestanti, non credono nella presenza reale del corpo e sangue di Cristo nell’: Ostia consacrata e quindi si fanno beffe dei cosiddetti miracoli eucaristici. Per costoro l’ Eucarestia non e’ che un memoriale ,una specie di ricordo di quello che avvenne nell’ ultima Cena e niente più. Niente sacrificio di Cristo che si rinnova ogni volta che si celebra l’ Eucarestia. Questo va molto oltre la critica a Carlo Acutis , o al suo modo di vivere il mistero eucaristico. Non e’ con Carlo Acutis che se la prende Grillo ma con la dottrina tradizionale della Chiesa .
E se la prende anche tutti i “retrogradi,” che insegnano ai giovani a credere nella “presenza reale” e nella “transustanziazione” . Per Andrea Grillo come per i teologici modernisti questo sono concetti antiquati, superati. Come la fede nella Resurrezione anche quella nell’ Eucarestia non deve essere letterale ,ma simbolica. I giovani però’ si sa che sono seri ,appassionati ,fisici. Un conto e’ mangiare realmente il corpo di Cristo, un conto e’ credere in un simbolo. I bambini che fanno la Prima Comunione credono tutti nella presenza reale . Dopo, poi ,con lo scetticismo tipico dell’ invecchiare, che non ci credono piu’ . Bisognerebbe ricordare a Grillo l: ammonimento di Cristo : Se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei cieli.
Anche “ Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.” è un passaggio che andrebbe ricordato al Grillo.
Raramente ho letto un uomo afflitto da profondissima incomprensione del fatto cristiano esprimersi con tale spocchia. Un ragazzo di quindici anni che mai avrà capito. Mica è un luminoso teologo progressista.
1) gran parte dei protestanti credono nella presenza reale: Lutero mandò a quel paese Zwingli proprio perché quest’ultimo la rifiutava, e disse che preferiva sorseggiare sangue caldo con il Papa che bere vino con quelli come lui!
2) uno dei teologi modernisti che avevano dei dubbi sui miracoli eucaristici era san Tommaso d’Aquino, che nella Summa (Parte Terza, q. 76) nega che sia semplicemente il Sacramento che perde il ‘velo’ dei segni sacramentali, ma della carne o del sangue (o loro specie) formati miracolosamente per confermare nella fede. Questo perché i miracoli eucaristici non quadrano molto bene con la transustanziazione…
3) il problema non è concentrarsi sulla transustanziazione, ma ignorare gli altri aspetti dell’Eucaristia, per esempio quelli di ripresentazione sacramentale della Morte e Risurrezione di Gesù, di sacramento di guarigione e di banchetto messianico. Invece sembra quasi che tutto il fine dell’Eucaristia sia di portare Gesù dalla destra del Padre vicino a noi..
Il contesto scatenato dalle dichiarazioni del professor Grillo sta presentando conseguenze sconcertanti.
Il professor Grillo può dire quello che è stato oggetto della sua riflessione; il pontificio ateneo Sant’Anselmo, dove insegna lo stesso Grillo, anch’esso può dire quello che ritiene, salvo, anche, prendere poi delle decisioni che concretamente preservino quanto vuole chiarire.
Ma la cosa veramente sconcertante è su singole considerazioni che possono derivare dall’articolo di Giovanni Palmieri.
Articolo apprezzabile, che, più che voler evidenziare il profilo di santità/di devozione di un ragazzo adolescente (sul quale, per serietà di noi adulti, occorrerebbe veramente tacere!), ha evidenziato quella che può essere definita la grande tristezza della chiesa contemporanea come viene approcciata in tanti ambienti, prevalentemente presenti nel mondo occidentale o occidentalizzato; chiesa triste, incapace e dubbiosa davanti al Vangelo e al suo Magistero, piegata su se stessa, spesso chiusa in ambienti accademici e/o giornalistici, priva di qualsiasi letizia gerarchica o di chiaro e fondato giusto orgoglio di appartenenza; una chiesa che non e’ veramente aperta – salvo che a un dialogo falsato – all’autenticita’ del Vangelo e al bimillenario (e non sessantenne) Magistero.
Questa è la vera tristezza. È la tristezza di una chiesa che si definisce conciliare, quando questa visione conciliare è una visione di parte, con tantissime criticità (come non nasconde l’autore dell’articolo), ma, soprattutto, che pretende di imporsi agli altri.
Carlo Acutis è cresciuto in una famiglia; la famiglia gli ha trasmesso la Fede: si è mai mai parlato, in questo dibattito, di ciò che fanno, facevano e auspichiamo facciano ancora le famiglie nella trasmissione della Fede?; forse vi si e’ rinunciato, tanto da pretendere che la fede sia trasmessa attraverso un’imposizione di natura ideologica, propagandata come scaturente da una decisione della chiesa di sessant’anni fa circa?
Forse, da sessant’anni a questa parte non tutto e’ stato azzeccato; e non lo si recrimina a chi c’era, ma chi oggi vede la situazione deve onestamente ammetterlo … (nel confronto, emergono tutte le criticita’ definibili “post -sottolineo post – Concilio Vaticano II) e trarne le conseguenze.
… fortunatamente, una Chiesa che non e’ triste e che non ha le caratteristiche sopra indicate c’e’: e’ quella che gioisce per la canonizzazione di Carlo Acutis e che crede in Cristo, nella tradizione e che e’ lieta della grazia e dei doni gratuitamente ricevuti!
Buon lavoro!
Con tutto il rispetto, andare a cercare il pelo nell’uovo sia della teologia che della devozione di un adolescente morto appena quindicenne penso sia un esercizio inutile. Perché prendersela con Acutis quando, in epoca recente, abbiamo avuto la canonizzazione di Padre Pio (che certamente richiama una devozione ancor più preconciliare di quella del nostro prossimo santo) o la beatificazione di Pio IX (questa in contemporanea con quella di Giovanni XXIII, che ne fu quasi l’opposto)? Più che sulla mostra sui miracoli eucaristici penso ci si dovrebbe interrogare sulla proposizione di un persistente modello di santità giovanile (che è santità, ne sono convinto) richiedente sempre la morte prematura dei suoi protagonisti (se si canonizza Carlo Acutis lo stesso dovrebbe avvenire per Chiara Luce Badano, Sandra Sabattini e tanti altri) o l’offerta della loro vita per quella di un nascituro (Chiara Corbella).
Poi, quali che siano le ragioni che hanno portato alla scelta di elevare agli altari Carlo Acutis, mi pare indubbio che essa ha trovato un notevole gradimento popolare, che non può essere sottaciuto, tanto da fare perfino da traino alla canonizzazione (questa lungamente attesa) di un altro santo giovane, vissuto cent’anni prima ma per molti aspetti più “moderno” di lui, quale Pier Giorgio Frassati.
“di un persistente modello di santità giovanile (che è santità, ne sono convinto) richiedente sempre la morte prematura dei suoi protagonisti.”
Ma credo dipenda dal semplice fatto che se non muori giovani diventi adulto e invecchi. (esattamente come avviene per il martirio che richiede per forza di cosa una morte violenta..)
E come farebbero a essere santi giovani, se morissero di vecchiaia a novant’anni?
Un Cristianesimo senza Cristo. Tutto giugno a meditate ancora una volta su Matteo 5-6-7. È un incontro con un gigante che spazza via ogni dogmatismo legato a Torah antiche e moderne. Gesù non teme confronti con nessuno e pone con coerenza esemplare i principi continuamente e direi eternamente rivoluzionari dell’ amore, della fraternità universale, della non violenza e della pace. Supera violenza e tradimenti prendendo il male criminale del potere religioso e politico di di sé. Dona carne e sangue generando vita nuova. Conosco solo una realtà che mi avvolge ogni volta che celebro. Non è la transustanziazione, concetto insignificante, forse anche per Tommaso. È il mistero sempre presente della maternità di mia madre che mi ha messo al mondo e di quella del Cristo che continuamente mi rigenera. Tutto il resto paglia secca che brucia facilmente. Prima di mangiare insieme quel Cristo i cristiani riconoscono il potere unico dell’amore Donato, l’unico regno che vorrebbero si realizzasse, contro tiranni sanguinari e sacrileghi, che tolgono il sangue Sacro degli innocenti. Poi però si abbandonano a inchini e baciamano anche a semplici monsignori. E non è certo meno interessante ascoltate seriamente Gesù che parla di religiosità e preghiere. Contro esibizioni, ipocrisie, vestiti ridicoli, parole e riti vani e insensati. Il carnevale religioso che non finisce mai. Il problema urgente non è la destra o la sinistra, i riformatori o i conservatori, i populisti o i mistici, ma la fedeltà al Cristianesimo di Gesù Cristo, unico Signore che viene assolutamente prima di ogni Papa, o Patriarca d’Oriente o d’ Occidente, o Pastori o Arcivescovo di Westminster. A maggior ragione è da scartare ogni tentativo di ridurre l’ amore al Cristo, crocifisso, risuscitato dal Padre e dallo Spirito, a fanatismo simil calcistico. Vedi il culto di Maradona. Il fanatismo intorno a Gesù finisce sempre quando irrompe sulla scena l’evento della Croce. Allora ogni contestazione e critica di chi vuole ridurre il senso Cristico dell’Eucarestia è legittimo e doveroso.
Non sono mai stato particolarmente devoto al culto dei santi. Fatico quindi a capire questa necessità (ne abbiamo davvero ancora bisogno? Non ce ne sono già abbastanza?). Certo San Paolo e San Giovanni Apostolo sono per me personalità affascinanti che sento molto importanti per me e la mia fede ma mi fermerei lì. Per il resto durante la sua esistenza la Chiesa ha nominato miriadi di santi, molti dei quali ce li ricordiamo solo perché qualcuno si prende la briga di stamparne i nomi sui calendari. Che sarà mai quindi uno più o uno meno e probabilmente nemmeno il peggiore?
Grazie! Ottimo contributo alla riflessione aperta!
Insomma, persino i santi li vogliamo secondo i gusti nostri: quando non sono tali, non ci piacciono e facciamo i capricci. Ma essere semplicemente contenti che in una giovane vita – tanto provata – brilli un amore così grande no?
Ottimo, splendido articolo
Andrea Grillo ha preso benissimo il cambio di pontificato!!!
Cosa c’entra il nuovo papa? Acutis lo ha decretato Santo papa Francesco e la cerimonia di canonizzazione di Acutis doveva essere celebrata dallo stesso Franceso la domenica dopo Pasqua.
Quindi ripeto cosa c’entra il nuovo papa?
Lo dica a Grillo non a noi. Facciamo che prima si nascondeva un pò dietro il Papà.