Sibi nomen imposuit Leonem

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leone xiv

La scelta del nome da parte di un nuovo papa costituisce un atto significativo: sintetizza in qualche modo i suoi orientamenti programmatici. Al momento in cui è stato annunciato che il nuovo papa aveva assunto il nome Leone XIV sono subito scattate le rievocazioni storiche. Pensando all’attuale presidente americano, alcuni hanno richiamato (con assai improbabili identificazioni) i rapporti di Leone I con Attila, o di Leone III con Carlo Magno.

Altri hanno rinviato a Leone XIII per l’emanazione dell’enciclica Rerum Novarum che, davanti alla seconda rivoluzione industriale, ha avviato nel 1891 il complesso percorso della dottrina sociale cattolica. Non credo che questo riferimento sia improprio – e ne vedremo la ragione; ma penso che, più che questo motivo, altri fattori spieghino la decisione del nuovo pontefice di collocarsi nella linea di successione a papa Pecci.

Gratitudine

In primo luogo è esistito uno stretto rapporto tra gli agostiniani – l’ordine cui appartiene Prevost – e Leone XIII. Il pontefice perugino ha infatti mostrato un evidente favore verso questa congregazione religiosa. Non solo ha scelto ben tre cardinali al suo interno, uno dei quali venne inviato come delegato apostolico negli Stati Uniti – e ha promosso i processi di canonizzazione di diversi agostiniani. Soprattutto è stato l’artefice di un rilancio del loro ruolo ecclesiale.

In effetti ha nominato priore generale Pacifico Neno, l’agostiniano italiano che, diventato superiore della provincia statunitense, era riuscito a promuoverne uno straordinario sviluppo, valendosi delle risorse disponibili negli Stati Uniti. Sotto il suo generalato l’intera congregazione ebbe così una nuova fioritura, soprattutto in quell’ambito culturale che, dopo un passato illustrato da personaggi del calibro di Egidio Romano e Girolamo Seripando – aveva attraversato un lungo periodo di decadenza.

Tra Leone XIII e gli agostiniani americani vi è dunque un particolare rapporto: si potrebbe parlare di gratitudine verso il papa che, riconoscendo la vitalità del trapianto dell’ordine negli Stati Uniti, ne ha riportato a Roma i frutti e ne ha così determinato la rinascita in età contemporanea. Ma il discorso va allargato oltre la congregazione, per investire l’intero cattolicesimo americano.

Lo stile di governo

Leone XIII ha infatti sagomato la Chiesa americana con l’enciclica Longinqua Oceani, indirizzata nel 1895 al suo episcopato. Il testo censura l’americanismo, la corrente culturale che, fiorita nel paese delle libertà moderne, aveva ad esse aperto il cattolicesimo. L’intervento di Pecci è considerato l’antecedente della condanna del modernismo. Ma, al contempo, l’enciclica legittima la partecipazione dei cattolici statunitensi alla vita pubblica di uno Stato imperniato sulla libertà religiosa.

Non c’è dubbio che il documento ricorda che il cattolicesimo fiorirebbe ulteriormente se fosse sostenuto dal potere civile, come richiede l’ortodossa teologia politica costantiniana dell’epoca. Ma riconosce anche che, nel regime di libertà dei culti garantito dall’ordinamento statunitense, la Chiesa ha prosperato e può crescere ancor di più. I fedeli possono dunque accettare la Costituzione e lanciarsi nella vita pubblica.

Trova qui espressione un tratto tipico della modernizzazione che ha segnato il pontificato di Leone XIII: la distinzione tra la «tesi» e l’«ipotesi». Si basa sulla prospettiva che i cattolici non debbono respingere le novità che il mondo moderno ha portato anche quando investono aspetti considerati contrari all’ortodossia dottrinale (come, nell’epoca pre-conciliare, era il diritto alla libertà religiosa).

Anzi, debbono accettare i portati della modernità, mettendoli però in opera nella prospettiva di contribuire all’incremento dell’efficacia apostolica della Chiesa. Ad una condizione: considerare le libertà moderne come un’«ipotesi» temporanea, in vista di ottenere quello sviluppo delle istituzioni ecclesiastiche che sfocerà alla fine nel trionfo della ortodossa «tesi» cattolica.

Il richiamo al nome di Leone da parte del nuovo pontefice sembra dunque ricollegarsi a quella linea di governo – fermezza dottrinale accompagnata da duttilità pastorale – che è stata la cifra che ha permesso alla Chiesa americana di svilupparsi al punto di diventare protagonista della vita politica del paese. Non a caso, a distanza di alcuni anni da quell’enciclica, un cattolico ha potuto per la prima volta presentarsi come candidato alle elezioni per la Casa Bianca.

Il tema della pace

D’altra parte, a ben guardare, si tratta di una linea non molto diversa dall’articolazione tra dottrina e pastorale che papa Francesco ha adottato, almeno nelle materie etiche più discusse in campo cattolico. Ma il richiamo alla continuità con il pontefice argentino suggerisce un’altra ragione che può aver sollecitato l’adozione del nome di Leone XIV: il tema della pace.

Prevost si è presentato al pubblico invocando la pace. Come è noto, la pace ha costituito uno dei nuclei centrali dell’insegnamento di Bergoglio. Ma ha avuto anche in Leone XIII un attore significativo.

In effetti papa Pecci ha fatto uscire la Chiesa dall’isolamento sul piano della politica internazionale cui l’aveva confinata Pio IX, proponendola come autorità morale in grado di svolgere un’opera di mediazione, e persino di arbitrato, nei conflitti tra le potenze. Il 1885 segna una data storica per la diplomazia vaticana. Una potenza protestante e anticlericale, la Prussia, si rivolge al papa per giungere alla composizione pacifica dello scontro con la Spagna cattolica sul possesso delle isole Caroline.

I buoni uffici della Santa sede hanno successo, evitando così un conflitto armato. Si potrebbe insomma pensare che la scelta del nome, nel confermare il ruolo internazionale del papato come attore di pacificazione, voglia anche rimettere in primo piano quegli strumenti della tradizione diplomatica vaticana cui non sempre Francesco aveva fatto ricorso.

Il riferimento a Rerum novarum

Infine, il richiamo a Leone XIII implica certamente un rinvio al papa della Rerum novarum, che, come è noto, ha avuto un’ampia accoglienza nel paese dove la rivoluzione industriale mostrava tutti i suoi sconvolgenti effetti. Ma bisogna considerare che, in questa ricezione, si sono nel tempo manifestate divergenze sulla sua interpretazione. Nell’età di Giovanni Paolo II i cosiddetti neoconservatori ne hanno fornito una versione che ben poco aveva a che fare con le sue origini.

Ai loro occhi la dottrina sociale cattolica costituiva infatti la legittimazione della legge del mercato, che, guidata dal criterio del massimo profitto, regolava provvidenzialmente lo sviluppo economico in modo da risolvere ogni problema di povertà presente sul pianeta

Studiosi americani hanno allora ricordato che la «terza via» – indicata dalla Rerum novarum e ripresa nei successivi sviluppi della dottrina sociale – era tanto antisocialista quanto anti-capitalista. In particolare Leone XIII aveva chiaramente indicato la necessità dell’intervento dello Stato per garantire quegli equi rapporti sociali che la legge del mercato, dove il più forte sempre si impone, sconvolgeva.

Mi pare che se il nuovo pontefice ha voluto richiamarsi a Leone XIII per la Rerum novarum non lo abbia fatto per ribadire il valore della dottrina sociale della Chiesa, che oggi va ben oltre le specifiche indicazioni di un’enciclica leonina legata a una situazione irrimediabilmente trascorsa.

Ha probabilmente voluto sottolineare, anche alla luce di quanto accade nel cattolicesimo americano, un principio: la scomparsa del pericolo socialista, non vuol dire che i cattolici debbano accettare il capitalismo. Soprattutto se si presenta con il volto di Trump.

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8 Commenti

  1. Gian Piero 11 maggio 2025
  2. Natalia Nunez Bargueno 10 maggio 2025
  3. Giovanni Di Simone 10 maggio 2025
  4. Lorenzo M. 10 maggio 2025
  5. Alberto 9 maggio 2025
    • 68ina felice 9 maggio 2025
  6. Angela 9 maggio 2025
  7. 68ina felice 9 maggio 2025

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