L’algoritmo del mondo

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universo

Leibniz parlava al suo tempo del «migliore dei mondi possibili», come se il Dio creatore tra molti universi tra i quali scegliere nell’idealità divina, avesse optato per quello che avrebbe portato maggiore felicità agli uomini nonostante l’evidente presenza dei mali nella nostra realtà. Spietata era stata la critica satirica di Voltaire nel Candide.

Nei tempi odierni, in cui la nostra fisica riesce a trovare le leggi «intessute» nello stesso spazio-tempo, che Einstein ci ha insegnato essere «relativo», nasce la domanda tipica dei filosofi che cercano di scrutare sotto la superficie della realtà, se possiamo interrogarci su un creatore proprio a partire dai risultati scientifici.

La prospettiva scientifica

Dal punto di vista della scienza, non possiamo non fare i conti con il modello standard, una teoria altamente elaborata che a partire dagli anni Sessanta-Settanta è divenuta il punto di riferimento per ogni nuova scoperta scientifica. Essa descrive, in maniera a dir poco stupefacente, il comportamento di tutte le particelle nelle situazioni più disparate (dai superconduttori, quando la materia è vicina al «massimo freddo» dello zero assoluto, fino alla fusione degli atomi di idrogeno in elio, nel cuore delle stelle a milioni di gradi).

La domanda dei filosofi s’innesta sul fatto che tale modello prevede al suo interno delle costanti numeriche che non possono essere calcolate a priori (cioè spiegate matematicamente), ma che devono essere desunte, cioè misurate, dalla realtà con gli esperimenti affinché tutto il modello funzioni. Potremmo chiamarli «parametri di funzionamento» intrinseci della natura. O più semplicemente costanti di natura, che sono così e basta.

Le domande a cui ci riferiamo potrebbero suonare così: perché proprio quei numeri e non altri? Come mai, ad esempio, la costante di gravitazione universale vale 6.67 x 10^-11 Nm²/Kg? Come mai le masse del protone e del neutrone differiscono tra loro di un misero 0,1%? La risposta più prossima che possiamo dare ricorre inevitabilmente a un’analogia (al ribasso), guardando al fare umano.

Il nostro fare/produrre dei tempi moderni è legato pesantemente alla progettazione attraverso calcoli a priori (ma anche a correzioni a posteriori, tipico ad esempio dell’ingegneria con le approssimazioni successive, o nella dinamica economica, del modello preventivo/consuntivo).

Affinché un sistema reale si comporti secondo un certo nostro desiderio, che operi «secondo la nostra volontà», si parte dalla misurazione dei valori di energia, flusso, lunghezza, massa, potenza meccanica, potenza elettrica ecc. o detto in altro modo, «digitalizzando la realtà», facendo raccolta dati.

I dati raccolti vengono passati poi all’esperto di turno (ingegnere, architetto, tecnologo…) che elabora un progetto/algoritmo (teorico) che «agendo sui numeri» faccia operare la natura secondo lo scopo umano richiesto (senza escludere che possa essere necessario correggere e aggiungere realmente «quanto manca» al teorico ritornando a modificare l’algoritmo, da qui le versioni 1.0, 2.0 e così via).

Analogamente

La domanda su tutta la realtà, cioè il perché proprio alcuni valori di costanti piuttosto che altri, viene affrontata ampliando a livello universale l’analogia (parziale) del modo di fare umano. Questa estrapolazione (sulla cui legittimità si dovrà comunque riflettere) permette di avere un’idea sul fare divino e permette l’articolazione di un pensiero filosofico. Ci si rende subito conto che analogare l’infinito con il nostro finito non è la migliore delle idee, ma vista la limitatezza dell’intelletto umano che cerca di sondare ciò che lo supera, siamo sempre di fronte (speriamo) all’idea meno peggiore possibile.

Ad ogni modo, rimaniamo nell’analogia proposta, e domandiamoci che cosa succede ai nostri progetti/algoritmi umani reali se cambiamo un parametro del sistema? Ad esempio che cosa succederebbe se aumentassimo il valore della tensione elettrica all’impianto di casa? Se invece dei 220V ne mettessimo 240, oppure 300V?

Beh … di fronte a piccole variazioni, «tolleranze tollerabili», ci aspetteremmo che tutto funzioni come al solito, ma se eccediamo nella quantità, la maggior parte delle lampadine si potrebbero rompere al primo utilizzo, l’alimentatore del computer potrebbe dare un gran botto, o forse, se l’elettricista è stato previdente e ha fatto il lavoro a regola d’arte, mettendo il salvavita a monte dell’impianto, anche in caso di sovratensione si potrebbe preservare la vita degli oggetti elettronici.

Proviamo ora a fare lo stesso ragionamento con il modello standard, che descrive tutte le interazioni conosciute a livello fisico, e che possiamo empaticamente chiamare l’algoritmo del mondo. Se ipotizziamo di cambiarne alcuni parametri, (anche di molto poco, non solo di frazioni percentuali, ma anche di una parte su trilioni di trilioni di trilioni), lasciando il resto invariato otteniamo risultati che fanno riflettere, anzi destano meraviglia!

Si ottengono nuovi universi teorici (forse quelli possibili, alternativi di Leibniz, che Dio ha opportunamente scartato?) che non sono certo migliori del nostro. In essi ci sono conseguenze infauste: in alcuni non può nascere la vita, in altri le galassie non possono aggregarsi, in altri ancora non si può ottenere nemmeno la chimica per la sintesi nucleare, quindi addio stelle.

Principio antropico e  fine tuning

Questo modo di ragionare porta ad una interpretazione che è alquanto problematica da sostenere per un non credente: il divino Creatore, o meglio il «Selezionatore dell’Universo tra gli universi» avrebbe pensato ogni singolo parametro (e tutte le loro possibili combinazioni), così che dal loro mix potessero scaturire la nostra storia cosmico fisica, chimico biologica e naturale evolutiva (questo in virtù del principio antropico).

In maniera credente potremmo anche osare aggiungere che tutta la storia dell’universo confluisce poi nel preparare la nostra storia spirituale di incontro con Dio, che non può che avvenire all’interno di un corpo che fa parte di uno spazio tempo fisico, che ha le caratteristiche che ha e non altre.

Se escludessimo invece un Assoluto creatore, dovremmo scegliere tra pensare che o tutto è frutto del caso (e quindi saremmo stati beneficiati da una elevatissima dose di fortuna per abitare l’unico Universo) o che la realtà effettivamente è composta da un multiverso (un numero infinito di universi con caratteristiche fisiche differenti), in cui tra tutti gli universi reali, il nostro è quello con i parametri finemente regolati al caso nostro (siamo sempre fortunati, ma stavolta la legge dei grandi numeri ci dice che negli altri universi potrebbero esserci anche altri tipi di vita…).

Qui entra in gioco il concetto del fine tuning. Gli ambiti in cui ci si può porre il problema della «regolazione fine» dei valori sono moltissimi e riguardano tutto ciò che può essere calcolato dell’universo attraverso le sue leggi, quindi tutto ciò che va dalle sue condizioni iniziali di densità e velocità di espansione, alla costante cosmologica, all’entropia iniziale, alla distribuzione delle anisotropie primordiali, per poi arrivare al valore delle costanti di natura presenti nel modello standard e al valore delle masse delle singole particelle.

In sostanza: perché proprio quei valori e non altri? Perché proprio quei rapporti di peso tra le loro masse? Una mancata regolazione, alle volte minima, di uno solo di questi parametri produrrebbe effetti enormi, molto più gravi rispetto all’esempio elettrico fatto pocanzi…

Ad esempio, in merito alla velocità di espansione dell’universo e della sua primissima densità: se qualche infinitesimo di attimo dopo il big bang si fosse cambiato il valore della concentrazione della massenergia, di una parte minima (1 su 10^50) si sarebbe ottenuto o un universo troppo denso che sarebbe ricaduto su sé stesso (per la troppa gravitazione) o un universo troppo disperso per potersi aggregare in strutture cosmiche (ammassi, galassie, stelle).

Ancora, se guardiamo al modello standard, troviamo che le particelle elementari più diffuse (i quarks top e down) variamente aggregate costituiscono neutroni e protoni (i mattoni del nucleo atomico). La domanda che sorge riguarda la piccolissima differenza di massa tra neutroni e protoni che ne risulta: come mai i primi sono circa lo 0,1% più pesanti degli altri?

Se non si rispettasse questo «fine tuning» tra le masse si verrebbero a creare universi di materia diffusa (quindi senza pianeti per come li conosciamo) composti da soli protoni o soli neutroni, o da soli deuteri, o da sole coppie di protoni. In ogni caso non avremmo la chimica complessa che conosciamo in cui all’inizio dell’universo si veniva producendo l’idrogeno e l’elio e poi da questi, nel giro di milioni di anni, attraverso l’accensione delle stelle, tutti gli altri elementi della tavola periodica, compresi quelli necessari alla chimica organica, che porta alle lunghe catene di proteine, amminoacidi, fino al DNA della vita.

Sorprendente, no? Ci deve essere un creatore perché tutto sembra predisposto attraverso una catena di passaggi logici, perché l’universo porti alla materia, la materia all’aggregazione di sistemi galattici al cui interno vi sono sistemi stellari, dai quali si produce una chimica complessa degli elementi, che in alcuni casi porta alla vita semplice, che a sua volta complessificandosi porta alla vita complessa e superiore… all’interno della quale compare l’uomo… che per chiudere il cerchio… si pone domande sulla sua esistenza ripercorrendo a ritroso tutto il percorso fino all’inizio dell’universo.

Quale probabilità?

Questo fine tuning necessario per mantenere tutti gli anelli della catena logica che portano alla nostra presenza, e quindi l’altissima probabilità che le cose sarebbero potute andare per molte altre vie «improduttive», può essere interpretato come il segno divino della predisposizione dell’universo alla vita, in particolare alla vita dell’uomo.

Alcuni dissentono però da questa interpretazione e dicono che in modo scientifico non possiamo parlare di probabilità in quanto, a differenza di tutte le altre teorie che riguardano oggetti nell’universo (dei quali possiamo avere una visione complessiva ed esterna), quando si sottintende la creazione per intero stiamo prendendo a oggetto l’unico universo in cui viviamo e di cui siamo parte (ci siamo dentro, e non possiamo averne uno sguardo esterno).

Dire che siamo «stati fortunati» non ha senso visto, in quanto non è possibile generalizzabile facendo la statistica con un singolo elemento. Non possiamo fare altre esperienze reali, misurabili di altri universi, né migliori né peggiori. Anche Dio, o gli universi del grande Multiverso qualora esistessero, attualmente non sono passibili di misurazione, quindi sono «oggetti non scientifici».

Occorre dunque fare attenzione a quale approccio probabilistico si segue, se quello frequentista o quello bayesiano. Per il primo la probabilità di un certo evento è semplicemente la frequenza (reale, misurabile) con cui questo si verifica in un numero elevato di prove ripetute. Ad esempio, se si lancia molte volte una moneta ben bilanciata, la probabilità di ottenere testa o croce sarà circa equivalente, cioè il 50%.

La probabilità bayesiana, invece, si basa sull’idea che la probabilità di un evento dipenda dalle conoscenze e dalle informazioni che si hanno sul contesto in cui si verifica l’evento.

Ad esempio, se si vuole calcolare la probabilità che una persona abbia una malattia, la probabilità bayesiana tiene conto non solo della frequenza con cui la malattia si verifica nella popolazione, ma anche di fattori correttivi (probabilità a priori) derivanti dalle informazioni specifiche sulla persona, come l’età, lo stile di vita, i fattori di rischio, ecc.

Se, dunque, la probabilità frequentista si basa solo su risultati oggettivi in quanto misurati (ripetendo l’esperimento mantenendo il più possibile uguale le condizioni di misura), la probabilità bayesiana si avvale anche di conoscenze (soggettive, a priori) del contesto in cui si verifica l’evento.

La domanda che sorge a questo punto è se sia lecito o meno assegnare delle probabilità al fine tuning affidandosi a ragionamenti (e estrapolazioni con calcoli) su universi alternativi mantenendo invariato tutto l’algoritmo del mondo (o almeno la parte di algoritmo che conosciamo).

Oltre le regolarità dell’universo

Dobbiamo dire che siamo di fronte ad esperimenti mentali, quindi di possibilità e non di misurazioni reali, però, allo stesso tempo, i calcoli degli universi alternativi, con parametri modificati, si fanno utilizzando tutte le leggi di natura che già conosciamo, che in esse condensano la conoscenza che abbiamo del mondo attraverso moltissimi esperimenti reali, gli stessi che hanno condotto all’affidabilità del modello standard.

Che dire? Il fine tuning è veramente un motivo sufficiente a convertirci all’idea di un Creatore? Teologicamente (e cristianamente) parlando possiamo affermare che tale argomentazione è sicuramente di supporto, da non sottovalutare, che dà modo di dialogare sia con chi professa una religione o meno, e che istanzia una particolare teologia, quella della gloria: il sommo Creatore dell’universo avrebbe lasciato una traccia del suo ordine nella creazione che ha messo in essere. Tale gloria «straripa dal Dio creatore» e si rende visibile nello stupore di chi crede, e alle volte anche di chi non crede.

Dobbiamo però ricordare che la conoscenza di Dio che ci deriva dalle misurazioni delle sue opere non ci restituisce mai la Sua vera grandezza, che si dispiega nel paradosso della vita umana e limitata del Suo Figlio. Qui conosciamo Dio non tanto come creatore celeste, regolatore provvidente dell’universo, dispensatore dei beni e dei mali, ma come comunione di persone.

Questa, e solo questa, è una conoscenza salvifica, soprattutto nel momento in cui si declina come teologia crucis, perché in questo particolarissimo ambito possiamo attingere la qualifica di Dio come redentore, che non solo prepara un universo, ma che in quell’universo muore e risorge per amore dell’uomo. Qui solo riusciamo a vedere il Tu di Dio che ci ama, ben oltre le regolarità dell’algoritmo del mondo che rendono possibile la storia e l’incontro tra Dio e l’uomo in questo universo.

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