Bach: la purificazione di Maria

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La presentazione di Cristo nel tempio di Kelly Latimore.

Chiara Bertoglio presenta la Cantata BWV 82 composta da Johann Sebastian Bach per la festa della Purificazione di Maria nel calendario della Chiesa luterana, eseguita per la prima volta nella liturgia del 2 febbraio 1727 a Lipsia. La data coincide, tuttora, con l’odierna festività cattolica della Presentazione delSignore al tempio.

  • Cara Chiara, questa Cantata è stata composta per una festività mariana, luterana?

Non è strano. Il nostro campo mentale è ormai sgombro dai vecchi pregiudizi: la Riforma non è mai stata antimariana. Le diverse visioni teologiche stanno sulla intercessione della Vergine Maria e riguardano quindi la questione della sua invocazione nella preghiera da parte dei fedeli. Nel corso dei secoli le posizioni si sono prima allontanate – e persino esasperate – ma poi riavvicinate: di recente io stessa ho notato, con una certa, positiva, sorpresa, la riscoperta del culto mariano in ambito luterano, fatto che si manifesta, in alcuni gruppi, con la recita del rosario.

Lutero ha mantenuto feste mariane quali l’Annunciazione e appunto, la Purificazione di Maria dopo il parto, secondo il racconto di Luca 2,22-40. La festa del 2 febbraio – 40 giorni dopo il Natale – era e resta una festa molto amata sia nelle Chiese della Riforma, sia nella Chiesa Cattolica che nelle Chiese dell’Ortodossia.

Benché, dunque, si trattasse, al tempo di Bach, di una festa liturgica mariana a tutti gli effetti, al centro vi stava e vi sta la Persona di Gesù, per effetto della costante connotazione cristologica, per cui la festa della Purificazione è, come per i cattolici, la festa della Presentazione di Gesù al tempio, con due figure “credenti” in particolare rilievo: Simeone e Anna.

Il Cantico di Simeone, trasmesso dal vangelo di Luca, è, naturalmente, una delle principali e più note preghiere cristiane: per noi è il Nunc dimittis con cui si conclude ogni nostra giornata, secondo la preghiera della liturgia delle ore.

Nella tradizione luterana, tra fine ‘600 e primi del ‘700, è dunque soprattutto la figura di Simeone a stagliarsi in rilievo. Bach si inserisce pienamente in tale tradizione, per cui possiamo dire che il protagonista della Cantata BWV 82 è certamente Simeone, ma in riferimento e in relazione a Gesù.

  • Il Nunc dimittis biblico è la preghiera che precede la morte. C’è una relazione tra questa composizione di Bach e gli eventi luttuosi della sua vita?

Sappiamo che la vita di Bach è stata costellata da tanti lutti: i suoi genitori sono morti quando lui ancora era in giovane età; la sua prima moglie è morta in maniera drammatica; tre figli gli sono morti. Possiamo, quindi, dire che Bach avesse, da lungo tempo, familiarità con la morte, mai tuttavia percepita in maniera tragica e disperata, bensì quale familiarità intesa come prossimità alla vita piena in Cristo.

Anche se non trovo una relazione diretta tra questa sua opera e un preciso fatto luttuoso, è indubbio che Bach abbia portato qui, come in tante sue opere, la sua concezione cristiana, credente, della vita e della morte.

Oso, allora, immaginare che alla fine di ogni sua giornata, come alla fine della sua vita, Bach abbia pensato al “cielo” affollato da tante persone a lui care, desideroso di ricongiungersi a loro, in Cristo.

***

  • Quanto la concezione della morte di Bach è da ricondurre alla teologia di Lutero?  

Lutero aveva manifestato, nella Chiesa deltempo, il suo pensiero critico su una certa concezione della morte – troppo cupa, doloristica, tragica – e, perciò, dal suo punto di vista, poco cristiana. Perciò aveva modificato i testi dell’Ufficio dei Defunti, permeandoli maggiormente della prospettiva della Risurrezione. Curiosamente aveva conservato, però, le musiche cattoliche dei canti dello stesso Ufficio, considerandole troppo belle e appropriate per cambiarle.

Secondo me, la prospettiva teologica riflessa da Bach in questa Cantata, come in altre sue opere, più che debitrice di Lutero, si può definire semplicemente il pensiero cristiano sulla morte.

Una tale idea della morte comprende un senso della liberazione dal peso del corpo e della vita?

Penso al tempo di Bach, penso alle malattie, ai lutti così frequenti, penso ai fatti della grande storia di quel tempo. Non c’erano, ad esempio, cure per tante malattie mortali. Non c’era modo di lenire certe sofferenze. La vita era molto più dolorosa, proprio dal punto di vista fisico; oltre a non mancare di problemi e disdette di ogni tipo.

Penso, quindi, che sia percepibile, in questa opera di Bach, un certo senso – peraltro umanissimo e sempre attuale – di liberazione dalle angustie e dagli affanni della vita. Ma decisamente più forte è la sensazione, il desiderio d’Altro: il desiderio di stare con Gesù.

  • Cosa sappiamo della prima esecuzione della Cantata nella liturgia del 2 febbraio 1727 e delle successive?

La data si colloca in uno dei periodi più fecondi della vita musicale di Bach. Si trovava a Lipsia da qualche anno, ben inserito nella sua Chiesa. Stava creando il ciclo – impressionante per dimensioni e profondità – delle sue Cantate liturgiche.

Di questa Cantata ci sono pervenute diverse versioni, perché, dopo la prima, Bach è tornato a mettervi mano. Ciò non vuol dire che non ne fosse soddisfatto, anzi, come in altri casi, le sue rielaborazioni significano la considerazione per le opere meglio riuscite.

Ricordiamo poi che Bach scriveva musica per la liturgia, quindi musica pensata per essere ripetuta nelle stesse circostanze liturgiche annuali, ma, ogni volta, in situazioni diverse: ad esempio, con esecutori e voci diverse. L’analisi delle versioni successive alla prima ci parlano, quindi, di adattamenti più che della ricerca di soluzioni “migliori”.

Nella prima versione del 1727 la voce solista – l’unica – è quella del basso nella parte del vecchio Simeone. Nella versione del 1731 la voce solista diventa quella più acuta di un soprano (ricordando che, al tempo di Bach, nella liturgia, le voci acute erano quelle dei fanciulli). La versione del 1735 contempla la voce del mezzosoprano. In quella del 1746-47, a pochi anni dalla morte, Bach è tornato a riscrivere questa Cantata per la voce del basso. È questa versione – per basso – quella oggi maggiormente eseguita, anche perché, in questo modo, risulta a noi più facile l’identificazione della voce del solista con la figura biblica maschile del vecchio Simeone.

  • Risulta che questa Cantata sia stata impiegata in altre circostanze liturgiche?

Per le caratteristiche di cui ho detto, potrebbe essere stata eseguita come cantata funebre, ma non abbiamo alcuna certezza che ciò sia realmente avvenuto.

***

  • Da dove viene il testo e che caratteristica ha?

Come di altre Cantate e opere di Bach, non sappiamo con certezza chi possa esserne l’autore-librettista. Si può fare l’ipotesi del solito Picander, il poeta preferito da Bach per le sue composizioni. Ma questo testo potrebbe facilmente avere una natura composita, dalle mani e dalle menti di più autori.

Va evidenziato che il libretto è piuttosto atipico rispetto ad altre cantate bachiane: non prevede, infatti, alcun coro e, come detto, contempla una sola voce solista, quella che esprime i sentimenti del vecchio Simeone che, nel Tempio di Gerusalemme, accoglie la Vergine Maria col suo sposo Giuseppe, sino a stringere – finalmente tra le sue braccia – il Bambino Gesù.

Mi sembra chiaro l’intento del testo e dello stesso Bach: promuovere l’identificazione tra la voce che canta e il personaggio di Simeone, ma in maniera che tutti i membri della assemblea possano partecipare dello stesso canto, della stessa preghiera, degli stessi sentimenti.

  • Il titolo della Cantata BWV 82 è “Ich habe genug”: come tradurre in italiano?

La frase Ich habe genug titola, appunto, la Cantata BWV 82 e ritorna – dopo l’inizio – verso metà e verso la fine del primo movimento, oltre che nel secondo movimento. È una frase da tradurre con attenzione, per non indurre ad interpretazioni fuorvianti. Una traduzione “immediata” porta, infatti, all’espressione «ne ho abbastanza», nel senso di non poterne più della vita. Ma non è questa la traduzione più corretta.

Io traduco così: «È quanto mi basta», nel senso di aver già avuto tutto e a sufficienza dalla vita, tanto da poter dire che la vita già vissuta è davvero bastata. Si tratta, come anticipato, di una espressione di soddisfazione, di gusto, di pienezza, più che di stanchezza: non di rigetto della vita.

  • Vuoi procedere con una rapida analisi dei cinque numeri della Cantata?

Siamo immediatamente introdotti nel tema della Cantata dalla prima Aria – numero 1in cui la voce di basso di “Simeone”, con grande tenerezza, dispiega il suo compiacimento per aver potuto vedere e abbracciare il Salvatore Gesù, posarlo sul suo cuore, ove è ormai «impresso» per fede. Non è più solo, dunque, Simeone ad esprimere tanta soddisfazione, ma ogni credente che vive l’intimità con Gesù nella fede.

Dopo l’incontro – reale quanto reale è l’incontro di fede – la vita non è più la stessa di prima: resta una nostalgia profonda ovvero un profondo desiderio di vivere per sempre col Signore Gesù.

Nel Recitativo che segue – numero 2 – la voce dice che il conforto o la consolazione della vita è essere uniti a Gesù. Le parole del testo qui richiamano versi del Cantico dei Cantici (ad esempio 2,16) in cui forte si respira il desiderio della unione mistica tra l’anima-sposa e il Suo Signore Gesù-Sposo.

C’è poi, in questo recitativo, un repentino passaggio grammaticale dalla prima persona singolare orante alla prima persona plurale: «andiamo!». È un invito alla comunità. Dopo di che la voce di Simeone riprende il singolare con accenti paolini: «se il Signore mi salvasse dalle catene del mio corpo!» (da confrontarsi con Romani 7,24).

Il recitativo si conclude con la frase del titolo «Ich habe genug», col significato detto prima: si può lasciare questo mondo con gioia, perché si è già avuto tutto dalla vita.

Al – numero 3 – c’è l’Aria “del sonno”, musicalmente dolcissima, magistrale: una sorta di ninna-nanna che Simeone, insieme ad ogni credente in Cristo, canta per sé stesso, nel volgere i propri occhi alla chiusura, con serenità, sulla «scena di questo mondo», secondo echi evidentemente paolini (1 Corinti 7,31) e giovannei (Giovanni 15,1-21).

Nel secondo Recitativo – numero 4 – c’è la chiamata da parte del Cristo: «Ora»! Questa è, per l’orante, l’ora della morte, ma è anche l’ora del compimento, della pace realizzata in armonia con tutto il creato sulla soffice «sabbia» del mare e nella «fresca terra» in Cristo (cfr. Romani 8).

Dopo essere giunti a questo punto, trasportati dal testo e dalla musica, l’Aria conclusiva – numero 5 – non appare così sconvolgente: il «gioisco della mia morte» non è il cupio dissolvi che potrebbe apparire secondo una superficiale interpretazione, bensì il canto dell’esultanza per l’unione finalmente realizzata, che è resa da Bach col tempo della danza: l’anima di Simeone, come l’anima di ogni credente è l’anima-sposa finalmente unita al suo Sposo, il Cristo.

  • Come Bach descrive, in musica, questo desiderio d’Altro?  

Altre volte ti ho parlato del motivo del desiderio in Bach: nella Matthäus Passion e nella Cantata BWV 140. Per riconoscere questo motivo musicale basta accostare, nell’ascolto, l’Aria Erbarme dich della Matthäus Passion, il duetto Wenn kömmst du, mein Heil della Cantata BWV 140 e, appunto, l’Aria iniziale Ich habe genug della Cantata BWV 82.

Cerco di spiegare, quanto più semplicemente – per i non-musicisti – quale sia la cifra usata da Bach con questo motivo.

Un movimento ascendente di note – per un fatto probabilmente neurobiologico – produce negli umani e, forse, non solo, un effetto di “slancio”, verso un “oltre”. Viceversa, una serie di note discendenti ingenera un effetto deprimente: basta pensare al sospiro.

Dunque, questo movimento ascendente di note – dalle frequenze basse alle alte – non solo conferisce entusiasmo, ma innesca una “tensione verso”, una direzionalità psichica o, se vogliamo, spirituale.

Bach sperimenta, originalmente, questo tratto sonoro universale. Nella retorica barocca, l’accostamento di due note – una bassa e una alta – era già noto come exclamatio! Bach arricchisce la tecnica dello “slancio” con gradini intermedi tra la nota più bassa e la nota più alta. In altre parole, il salto non viene realizzato in un sol colpo, bensì progressivamente, “ineluttabilmente”.

Sulla partitura scrive le due note estreme – il sol e il mi bemolle – mentre le note intermedie – do e re – le riassume con un simbolo che modera e abbellisce il passaggio, ma in maniera che l’esecutore immediatamente intuisca dove deve arrivare, quale sia il suo fine, il suo “telos”.

Graficamente questo tratto musicale può essere ben rappresentato da un asintoto, ossia da una curva che tende ad avvicinarsi ad un limite senza toccarlo mai, se non all’infinito. È impressionante costatare come il grafico sonoro delle frequenze registrate con gli attuali strumenti fisici sia perfettamente sovrapponibile al disegno di una curva matematica di questo tipo.

La tecnica bachiana ingenera, perciò, quell’effetto “desiderio” di cui ho detto e a cui io conferisco una chiara lettura teologica: è quanto percepiamo nella voce dell’Aria Erbarme dich, in cui Pietro desidera il perdono di Gesù dopo averlo tradito per ben tre volte nella Matthäus Passion, ovvero nelle voci di anelito all’unione tra la sposa e lo Sposo nel duetto Wenn kömmst du, mein Heil della Cantata BWV 140, oppure, appunto, nella voce di Simeone nell’Aria Ich habe genug di questa Cantata BWV 82, in cui la grande attesa-desiderio del vecchio uomo sta per trovare il suo compimento.

***

  • Possiamo ritenere Bach un mistico oppure ritenere la sua musica mistica?

Al tempo di Bach, sussistevano certamente correnti mistiche nello stesso luteranesimo, vissute, peraltro, con un certo sospetto dai luterani maggiori. Pensiamo al movimento pietista e come il pietismo fosse ritenuto corrente eretica. Bach non era un pietista, né risulta che lo fossero i suoi librettisti.

Mi sembra, tuttavia, piuttosto evidente quanto Bach sia stato influenzato, per non dire affascinato, dalle correnti mistiche cristiane del suo tempo e, probabilmente, da quella tensione mistica che è di tutti i tempi dei “credenti”.

Questa Cantata mi appare come un esempio luminoso di mistica musicale, universale.

Del resto, la mistica ha a che fare con l’ineffabile, come la stessa musica! L’ineffabile è ciò che non può essere adeguatamente comunicato con le parole. E dove non possono le parole, può davvero la musica!

  • Chiara, perché suggerisci di ascoltare questa Cantata, oggi?

Il tema della Cantata BWV 82 – la preghiera di congedo dalla vita – potrebbe apparire triste o persino deprimente, ma non è così. Per quanto ho cercato di dire, la caratteristica profonda della Cantata è il “desiderio” che la pervade, il desiderio del credente: il desiderio di stare sempre con Gesù, il Signore incontrato nella propria vita, nella fede in Cristo. L’effetto dell’ascolto è quindi bello, luminoso, ed è, appunto, per la fede.

Mi sembra che, oggi, questo modo di vedere la vita e la morte sia per lo più evitato, anche nelle nostre chiese. Ma, evitandolo, non facciamo altro che incrementare in noi ansie e angosce che non sono, di per sé, dei cristiani.

Per quanto mi riguarda, questa musica e la musica di Bach in genere, mi è stata e mi è di grande aiuto nel ripensare la mia relazione con “sorella morte”, non per alimentare i miei pensieri tristi, bensì per penetrare nella bellezza della vita, per amare tanto la vita da riuscire ad amare anche un’Altra vita, quella piena nel Signore.

  • Testo con traduzione in italiano di Chiara Bertoglio: qui; versione audio integrale: qui.
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Un commento

  1. Marco M. 3 febbraio 2025

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