
La grande letteratura non scherma la vita, ma ne testimonia l’esperienza «senza mezzi termini»: con precisione di parole. Quando Dante narra il viaggio nell’aldilà, sta in realtà vagando nell’al di qua da esiliato: ha perso tutto e non potrà più tornare a Firenze, a causa di un’ingiusta condanna. La sua vita è «imprigionata», eppure trova la strada verso il cielo non andando in alto, ma scavando oltre l’abisso: toccando il fondo gelato dell’Inferno scopre che è un’apertura, e quella che sembrava una discesa era invece un’ascesa.
Arrivati al centro della Terra, Virgilio lo aiuta a calarsi lungo il corpo di Satana – un corpo a corpo con il male – per poi rimetterlo a testa in giù e introdurlo nell’altro emisfero, dove salirà sul monte del Purgatorio e poi in Paradiso. Tracciando la direzione del suo cammino, scopriamo che all’Inferno procede verso sinistra, in Purgatorio verso destra, in Paradiso in verticale: la mappa «di nostra vita» è una spirale.
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Il viaggio dantesco è composto da due spirali – l’Inferno a imbuto, il Purgatorio il monte corrispondente –, un’unica ascesa verso il compimento di sé attraverso l’incontro con gli altri (è l’opera con più personaggi della letteratura mondiale) e con l’Altro. È solo nella relazione che definiamo la verità di chi siamo. Dante va sempre verso l’alt(r)o, in progressiva liberazione dal «peso» della vita: il «peccato».
Con «peccato» si traduce una parola antica che significava «fuori bersaglio», «fuori centro»: ciò che non va a buon fine, come quando si rompe un vaso prezioso o un atleta si infortuna e diciamo «che peccato!». Non è infrazione di regole, ma mancato compimento: «pecca» chi tradisce se stesso. Ognuno di noi è chiamato a farsi capolavoro, compiere la propria «forma». Il peccato «de-forma», come un vandalo il capolavoro.
Io pecco, manco il bersaglio, ogni volta che mi tradisco, illudendomi di non essere chi sono e tradendo il mio desiderio: la chiamata che la vita rivolge a me e solo a me. Dante, nel suo percorso a spirale, impara a non tradirsi (Inferno), a liberarsi da ciò che lo spinge a tradirsi (Purgatorio), a volare diritto verso il proprio compimento (Paradiso).
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La spirale in salita della Commedia è la figura che rappresenta meglio il cammino umano verso il centro di sé: essere e fare ciò che solo io posso essere e fare. I miraggi di vita e d’amore ci de-centrano facendoci vivere vite non nostre: «un vero peccato!». Per con-centrarsi, raccogliere le energie e indirizzarle al bersaglio di cui siamo freccia assetata, è necessario riconoscere nell’esperienza quotidiana ciò che porta a tradirsi o, al contrario, a essere «centrati»: disperazione, tristezza e gioia ne sono segni infallibili.
La vita è un inferno se siamo fuori dal centro (disperazione), un purgatorio se, trovatolo, ci dis-perdiamo in altro (tristezza), un paradiso se ogni nostro gesto nasce dalla nostra unicità (gioia).
Pavese scriveva nel Mestiere di vivere: «Come mai, senza saperlo, hai diretto tutto a un centro?». Qualunque risposta diamo, il centro – ciò per cui sono al mondo e vengo sempre più al mondo – agisce in noi: se siamo in traiettoria siamo in paradiso, se deviamo in purgatorio, se rinunciamo all’inferno. La vita è un cammino per capire che cosa ci fa fiorire o marcire, una continua messa a punto del desiderio: il contrario di «peccare» è «fare centro».
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Ma come capire se siamo (con-)centrati? Diamo frutto nel modo di essere che ci rende originari: una mela è il fine del seme ma anche l’origine di nuovi semi. Così per Dante: alla fine del viaggio, faccia a faccia con Dio, non si dissolve ma si compie, diventa il Dante che solo Dante può essere. Ritorna sulla Terra – cioè a se stesso – rinnovato: ancora in esilio, ma libero, fedele al suo sé autentico, figlio del Dio creatore e amore che ha incontrato faccia a faccia.
Quando gli propongono di rientrare a Firenze, a patto di confessare pubblicamente una colpa mai commessa, risponde: «Non è questa la via del ritorno in patria […] Non vedrò forse dovunque la luce del sole e delle stelle?». In esilio, ma fedele a se stesso, Dante si è (e ci ha) costruito una patria dove è libero dovunque si trovi. Per andare in paradiso, la strada più breve è toccare il fondo e spezzare lo strato di «peccato» che ci impedisce di abitare il cielo che già ci portiamo dentro e che solo noi possiamo aprire sulla Terra.






Leggo in ritardo, ma trovo interessante il tema. Utile riprendere questi aspetti dell’ umanesimo cristiano.
E’ bella questa libera’ e fortezza interiore di Dante.
Come la cerchiamo e come la desideriamo anche ai nostri giorni!