
Ghirlandaio: Natività di Cristo con l’adorazione dei pastori e la venuta dei Magi (Firenze, Santa Trinita).
La poetessa Antonia Pozzi (1912-1938) disegna a parole Maria nella sua fuga in una lirica: “Paesaggio siculo”[1]. Aveva certo in mente un brano di arte sacra del tempo di Natale, forse raccolto da libri e cartoline oppure ammirato in qualche spazio museale o qualche chiesa italiana. Non mancano infatti splendidi esempi artistici in cui la vergine è ritratta mentre cavalca e tra la sella e il grembo adagiato porta il figlio perché senz’urti dorma.
Tra le altre ricordiamo l’elegante soluzione di Gentile da Fabriano nella predella della Pala Strozzi (1420-1423)[2] o la grazia carica di mistero dipinta dal Beato Angelico nel celebre Armadio degli Argenti (1451-1453)[3]. Come già nell’affresco giottesco della padovana Cappella degli Scrovegni (1303-1305) anche i due autori quattrocenteschi sottolineano la centralità di Maria dipingendo alle sue spalle un’altura che la eleva maggiormente rispetto ai compagni di viaggio. Ella è concentrata a proteggere il piccolo e – ancora con le parole della poetessa – rialza fin sulla fronte i lembi del mantello e il bimbo vi si cela tutto.
In Maria si scorgono dignità mesta e regalità. Il suo trono è la sella di un asino. Per chi conosce la fine della storia difficile non scorgere l’anticipazione di una scena analoga. Anche suo figlio, prossimo alla fine, entrerà in Gerusalemme cavalcando un “asinello” come dice l’evangelista Marco (11,2) o un puledro, come vuole Luca (19,29). Tale brano evangelico viene proclamato nella IV domenica dell’Avvento ambrosiano. Un anacronismo liturgico che unisce l’Incarnazione alla Passione. La tradizionale categoria della regalità viene sovvertita e il tema dell’attesa è accompagnato da voci dissonanti.

Gentile da Fabriano: Predella Pala Strozzi (Firenze, Uffizi).
Le immagini sacre spesso raccontano una storia aggiungendo antecedenti e sviluppi con frammenti e dettagli non immediatamente evidenti. Va ricercato il significato a volte nascosto e sempre aperto a diverse letture. Nella splendida Natività di Lorenzo Lotto (1530) che oggi ammiriamo alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, il bimbo adorato dai pastori accarezza un docile agnello che simboleggia il suo futuro sacrificio.
Una croce compare nella finestra della capanna posta sul fondo della splendida “riunione confidenziale”, come la definì Roberto Longhi. Nella Natività di Cristo (1485)[4], il Ghirlandaio dipinge la mangiatoia come un antico sarcofago vuoto anticipando la resurrezione del Figlio dell’uomo appena nato. In Sacra famiglia con un pastore (1510)[5] di Tiziano, la culla del bambino è una cesta di vimini che richiama il “cestello di papiro” (Es. 2,3) in cui il neonato Mosè fu deposto al fine di salvarlo dalla furia di faraone[6]. Nello stesso brano pittorico e in molti altri compare il drappo bianco accanto al piccolo come preludio del suo futuro sudario.
Studiosi e critici d’arte hanno attentamente recuperato fonti e documenti per cogliere ciò che le immagini in parte esprimono e in parte celano. Si sono a lungo soffermati sui testi sacri e sulle loro interpretazioni recuperando fonti storiche, omelie preghiere liturgiche, dibattiti teologici. Troviamo un esempio di appassionato studio iconologico nel libro di Daniel Arasse dall’eloquente titolo: “Non si vede niente” (Einaudi, 2013).
Lo storico dell’arte francese passa sotto un’acuta lente d’ingrandimento alcune celebri capolavori suggerendo nuove chiavi di lettura grazie a particolari un po’ reconditi. Nella Adorazione dei Magi (1564) di Pieter Brughel il Vecchio (Londra, National Gallery) Arasse si sofferma su Gaspare, uno dei tre sovrani inviati a Betlemme. È una figura misteriosa che compare nel margine destro del quadro: giovane uomo, elegantissimo nel mantello beige e con calzature rosse. Il suo volto è quasi invisibile poiché nero di pelle. Spiccano gli occhi che sembrano rivolgersi allo spettatore con uno sguardo intenso, calmo e gentile.
La ricerca storica individua in lui un rappresentante del regno cristiano ubicato in Africa, a sud dell’Egitto, dove avrebbe regnato il Prete Gianni, leggendario sovrano orientale noto alla tradizione medioevale. In un tempo di ripresa dei viaggi in Africa (dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi nel 1453) e di crisi della cristianità occidentale in seguito alla Riforma luterana, si può spiegare la scelta di Brughel. Con larga probabilità l’artista olandese, finissimo intellettuale, voleva sottolineare l’universalità spirituale della rivelazione cristiana. E lo faceva dipingendo il re magio di pelle nera, dal volto più bello e dai tratti più nobili rispetto agli altri due sovrani orientali. Sottolineava in tal modo come l’evento della nascita del Cristo fosse per tutti, uomini e donne di tutta la terra.
L’arte insegna a leggere una vicenda storica superando le tradizionali scansioni cronologiche e a cogliere nel racconto di una scena possibili intrecci di passato, presente e futuro. Così anche nella narrazione delle nostre storie. Capita che a posteriori ricordiamo segnali (profetici), che avevano anticipato ciò che sarebbe accaduto. Quel che attendiamo a volte ci sorprende nella forma di una visione più ricca del previsto e le cui tracce già ci erano in parte note.
Si tratta di una percezione dallo stile ben noto agli storici e critici d’arte. Infatti, essi guardano le opere con viva attenzione e ricercano i significati di segni e codici non del tutto noti e a tratti persino misteriosi. Tollerano la segretezza del messaggio che gli artisti trasmettono più o meno intenzionalmente e con pazienza ricercano. Sono convinti che l’opera non manchi di un disegno intrinseco e che anche un dettaglio può favorire ipotesi e nuove chiavi di lettura. Un disegno sì aperto a più interpretazioni ma anche segnato da una solida cifra compositiva che lo studio personale e collettivo può rivelare con maggiore chiarezza. Un percorso avventuroso che si svolge nel tempo e che prende le distanze da facili letture, condizionate da pregiudizi e precomprensioni.

Tiziano: Sacra famiglia con un pastore (Londra, National Gallery).
Non mi è noto perché Antonia Pozzi abbia intitolato “Paesaggio siculo” la poesia datata 16 maggio 1933 che illustra il viaggio di Maria riprendendolo da un brano artistico non rivelato. La disposizione della poetessa all’arte fotografica ha decisamente favorito l’incisivo ritratto della donna immersa nella campagna siciliana tra campi di “nuovo grano dal tenero verde”[7].
Conosciamo l’episodio evangelico, narrato solo da Matteo (2,13-23) e preceduto dall’apparizione di un angelo a Giuseppe. Durante il sonno, un celeste mediatore (ci piace chiamarlo così), lo invita fuggire da potenze ostili e prepotenti. La speranza del bene muove la coppia e il bambino verso lidi migliori.
Mi piace immaginare che la Pozzi abbia voluto ambientare la scena in una terra segnata – ancora oggi – da migrazioni forzate e abbia scelto la figura femminile in cammino, abbracciata al suo bambino, per indicare la speranza di una nuova vita. Anche questa è un’immagine del Natale.
[1] PAESAGGIO SICULO
Sul greppo che di tenero verde
il nuovo grano riveste
cavalca
una donna-
tra la sella ed il grembo adagiato
porta il figlio
perché senz’urti dorma-
lenta guardando il cielo che s’annuvola
rialza
fin sulla fronte
i lembi del mantello-
il bimbo vi si cela
tutto-
Così è dipint
Maria nella sua fuga (Antonia Pozzi).
[2] GENTILE DA FABRIANO. Pala Strozzi (1420-1423), Firenze, Uffizi.
[3] BEATO ANGELICO, Pannelli dell’Armadio degli Argenti, Firenze Museo Nazionale di San Marco.
[4] GHIRLANDAIO, Natività di Cristo con L’Adorazione dei pastori e la venuta dei Magi (1485), Firenze, Santa Trinita, cappella Sassetti.
[5] TIZIANO, Sacra famiglia con un pastore, (1510) Londra National Gallery.
[6] Segnaliamo il cesto di Mosè dipinto in un quadro di Vittoria Ligari. Abbiamo commentato il quadro (di proprietà della Banca Popolare di Sondrio) di tale artista donna del ‘700, appartenente alla famiglia dei Ligari, pittori valtellinesi. ANTONELLA CATTORINI CATTANEO, Mosè salvato dalle e acque di Vittoria Ligari (1713-1783) -Il racconto, l’immagine la pittrice in ELSA ANTONIAZZI, La dedizione che salva. Un’icona biblica per l’educazione, Ancora, Milano 2009.
[7] Sappiamo dalla edizione critica delle poesie di Antonia Pozzi (ANTONIA POZZI, Parole a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Garzanti Milano 2001) che nel 1933 ricordò in alcune liriche un suo viaggio in Sicilia. Per quanto riguarda produzione fotografica della Pozzi rimandiamo all’archivio e biblioteca della poetessa (qui) e al testo a cura di ONORINA DINO, LUDOVICA PELLEGATTA Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima, Ancora Milano 2007.





