Caso Apostolico: alcune considerazioni

di:

salvini

Fa molto rumore, nelle cronache di questi giorni, il caso della dottoressa Iolanda Apostolico, giudice del Tribunale di Catania, le cui decisioni relative ai Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) non sono state gradite dal governo e in particolare dal ministro Matteo Salvini.

In sintesi: è avvenuto che la giudice non abbia convalidato il trattenimento di alcuni migranti, in chiara disapplicazione di un atto amministrativo, cioè di un decreto ministeriale regolamentare. Ma è pure avvenuto che sia stata fornita la prova video della partecipazione della dottoressa Apostolico a una manifestazione pubblica di protesta contro il prolungato trattenimento di migranti su una nave, risalente a cinque anni fa. Si è levata quindi una forte e dura protesta, originata da esponenti del governo e della coalizione dei partiti che lo sostengono, per il sospetto di incompatibilità della giudice Apostolico, che non avrebbe dovuto esercitare le sue funzioni e tanto meno continuare ad esercitarle in quella materia.

Correttamente motivati

Dal mio punto di vista, di avvocato penalista, dirò subito che i provvedimenti tanto aspramente censurati risultano motivati correttamente in punto di diritto, soprattutto perché si collocano nel solco di precedenti pronunce della Corte di giustizia della UE e Corti nazionali.

Va sottolineato poi che la nostra stessa Costituzione, all’art. 13, garantisce che i provvedimenti di polizia – come quelli adottati dal questore in questa occasione – siano soggetti alla verifica giudiziaria (convalida) e che nessuna distinzione possa essere fatta fra la detenzione e le misure amministrative che si risolvano in una limitazione della libertà.

Infine, proprio il principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza della giurisdizione, giustifica la disapplicazione in sede giudiziaria di un atto amministrativo, che è atto ben diverso dalla legge alla quale sola, invece, il giudice è soggetto.

Dunque, se la decisione così sgradita al governo fosse stata presa da un giudice diverso dalla dottoressa Apostolico, vi sarebbe stato poco da dire se non che la giustizia faccia il suo corso, ovvero che il governo, come un qualsiasi cittadino di questo Paese, ricorra all’impugnazione del provvedimento.

Ciò che non convince

Resta il secondo nodo, quello della mancata astensione della dottoressa Apostolico, oggi subissata di attacchi pesanti, per aver partecipato anni fa a una manifestazione pubblica di protesta (senza che nessuno si sia chiesto se quella partecipazione – come documentato – risultasse più semplicemente di solidarietà ai poveri migranti).

Con un recente manifesto il professor Luigi Ferrajoli e numerosi altri tra accademici, magistrati, avvocati, studiosi e operatori sociali hanno rivendicato la legittimazione del magistrato ad esercitare tutti i suoi diritti di cittadino – compresa la libertà di riunione – e hanno denunciato la gravità delle esternazioni governative, vuoi nel negare tali diritti fondamentali, vuoi nell’ignorare la separazione dei poteri, così eccedendo nel proprio. Anche leggendo l’ampia rassegna stampa seguita e in corso, resta il gusto amaro di chi sia stato il primo ad esercitare le pressioni!

La considerazione finale, approssimativa, porterebbe a sostenere che vanno bene tutti i sacri principi, ma che, per opportunità, la dottoressa Apostolico avrebbe potuto essere più accorta (magari portando il casco quando veniva trasportata in moto, perché pure a questo ci si è spinti), ovvero astenersi e, ora come ora, dimettersi. Io non lo credo, nonostante consideri indiscutibile il valore della riservatezza, financo della sobrietà di vita del giudice.

Ciò che non mi convince è proprio l’invocazione dell’opportunità, per il carico di soggettività che porta e per il rischio dell’ambivalenza: un magistrato è una persona, vive cioè una vita ordinaria.

Così posso immaginare che si rechi a teatro o al cinema per assistere ad uno spettacolo discutibile o che acquisti un libro dal contenuto sospettabile o che prediliga i prodotti naturali rispetto a quelli industriali e così via. Nessuno di questi comportamenti potrebbe essere tacciato di rischio di pregiudizio nell’esercizio delle funzioni. E per quanto ho potuto conoscere, non ritengo tale nemmeno la partecipazione ad una riunione, non segreta e non organizzata da pericolosi eversori.

Attacco alla giurisdizione

La mia convinzione sulla grave violazione del dovere di riservatezza vede il limite di rottura solo al cospetto o anche per il fondato sospetto di una evidente strumentalizzazione politica della giurisdizione.

Ma, francamente, la strumentalizzazione politica l’ho riscontrata altrove, non certo in un’espressione di giustizia in linea con principi consolidati, cioè pregressi. E con tutta la severità esigibile dalla critica consentita (alla magistratura come alla politica), mi pare opportuno non distogliere l’attenzione dagli altri protagonisti della vicenda, ossia i migranti.

Per quanto ne sia molto problematica la gestione, resta il tema relativo alla loro libertà che non può essere ignorato in uno stato di diritto. Anche per loro, ci sarà pure un giudice a Berlino, ed è per questo che critico lo smodato attacco portato alla giurisdizione, col pretesto della vicenda Apostolico.

Anzi, difendo la giurisdizione che venga esercitata nel rispetto della Costituzione e mi chiedo che cosa sarebbe accaduto se, per comoda opportunità, la giudice avesse dato ragione al ministro, cioè al governo.

Sergio Genovesi, avvocato mantovano, è stato segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Mantova e presidente dei Penalisti del distretto della Corte d’Appello di Brescia

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Un commento

  1. Pietro 15 ottobre 2023

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