Maternità surrogata: perché no

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fecondazione vitro

Con una decisione del 22 giugno 2023 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre coppie italiane (una eterosessuale e due omosessuali) per la mancata trascrizione degli atti di nascita dei figli nati, tramite maternità surrogata, in Canada, in Spagna e in California.

La decisione ha ribadito il principio già affermato in passato: fermo restando l’obbligo dello Stato di assicurare il vincolo di filiazione del genitore biologico, per quello d’intenzione lo Stato ha un margine di apprezzamento nella scelta dello strumento giuridico da utilizzare per tutelare questa posizione giuridica, a condizione che lo strumento sia applicato «tempestivamente ed efficacemente in conformità con l’interesse superiore del bambino» («promptly and effectively, in accordance with the child’s best interest»).

In riferimento alla situazione italiana, la CEDU assume integralmente quanto affermato dalle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022: l’adozione in casi particolari, per come attualmente disciplinata a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, si profila come uno strumento potenzialmente adeguato al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni caso sottoposta al vaglio del giudice nella concretezza della singola vicenda e ferma la possibilità per il legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina ancora più aderente alle peculiarità della situazione.

A fronte di residue difficoltà riscontrabili nell’utilizzo dell’adozione in casi particolari per tutelare l’interesse superiore del bambino, rimangono sempre attuali gli inviti pressanti rivolti al legislatore dalla Corte costituzionale italiana e dalla CEDU per far sì che tale tutela sia assicurata in modo tempestivo ed efficace.

La maternità surrogata nella giurisprudenza costituzionale

In riferimento alla «surrogazione di maternità» la Corte costituzionale, con sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, ha affermato la validità e l’efficacia del divieto previsto dall’art. 12 comma 6 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 («Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di euro»): legge che, da un lato, nulla dice sullo status del bambino nato comunque da tale pratica in uno dei Paesi in cui è ammessa e portato in Italia da genitori committenti e, dall’altro, con scelta alquanto discutibile, non offre alcuna definizione di «surrogazione di maternità», potendo essere plurime le combinazioni tra committenti (e loro materiale biologico) e colei che porta avanti la gravidanza.

Con sentenza n. 272 del 18 dicembre 2017 la medesima Corte ha dichiarato che tale divieto è motivato dal fatto che la pratica della maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».

Nella sentenza n. 33 del 9 marzo 2021 è stato ribadito che il divieto penalmente sanzionato di surrogazione di maternità è un principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali, in quanto la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», dall’altro, ed è stato rilevato che «gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita».

Con la sentenza n. 79 del 28 marzo 2022 la Consulta ha altresì ricordato che lo sforzo di arginare la pratica della maternità surrogata – il quale «richiede impegni anche a livello internazionale» – «non consente di ignorare la realtà di minori che vivono di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico», chiarendo che l’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso la c.d. adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184 che, nell’interpretazione che ne ha dato la Consulta, rappresenta, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, lo strumento idoneo a tutelare il superiore interesse del bambino.

Infatti, l’adozione del minore, in casi particolari, produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante. Al pari dell’adozione «ordinaria» del minore, l’adozione «in casi particolari» non si limita a costituire il rapporto di filiazione con l’adottante, ma fa entrare l’adottato nella famiglia dell’adottante: l’adottato acquista lo stato di figlio dell’adottante.

Tutela della dignità nella sua dimensione oggettiva

Come hanno autorevolmente scritto nella sentenza n. 38162/2022 le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, il legislatore italiano, «nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale».

Sempre le Sezioni unite civili della Cassazione: «nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta».

E ancora. «Nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario, non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona. La dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva».

Dunque, «punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte, si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra, si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale».

Punibilità del reato commesso all’estero?

Il 19 giugno 2023 la Camera dei deputati, su iniziativa dell’attuale maggioranza politica, ha iniziato l’esame di una proposta di legge finalizzata a punire il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da «chiunque». La proposta di legge è stata approvata dalla Camera il 26 luglio: il testo passa ora all’esame del Senato.

Scopo dichiarato della proposta di legge è quello di porre un argine al cosiddetto «turismo procreativo», che consiste nell’aggiramento della disciplina nazionale ricorrendo alla surrogazione di maternità nei Paesi in cui è consentita.

Una delle obiezioni più stringenti che viene fatta al disegno di legge riguarda l’opportunità e l’utilità di un simile intervento legislativo alla luce del vigente quadro normativo.

Ci si chiede, in altri termini, se sia necessario o meno un rafforzamento delle misure di contrasto del fenomeno della maternità surrogata e se corrisponda o meno al vero l’esistenza di una lacuna riscontrabile nel fatto che il ricorso alla maternità surrogata proibito in Italia è ammesso in altri Paesi.

Autorevole dottrina ricorda che chi, in violazione dell’art. 12, comma 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, «in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità» anche all’estero, può essere punito, ai sensi del secondo comma dell’art. 9 (rubricato Delitto comune del cittadino all’estero) del Codice penale, con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di euro, quando vi sia la richiesta del ministro della Giustizia.

«Se è così seria la necessità di punire i fatti commessi all’estero, perché – si chiede Vladimiro Zagrebelsky, ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo – il ministro della Giustizia non chiede che si proceda?» (Vladimiro Zagrebelsky, Perché rendere la gestazione per altri reato universale? La Stampa del 24 maggio 2023).

Le (poche) pronunce della Corte di Cassazione che finora sono state rese in materia, hanno ritenuto improcedibile in Italia l’azione penale nei confronti di chi aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero, in un Paese nel quale la pratica è ammessa proprio perché non c’era stata la richiesta del Ministro della Giustizia (vedi, ad esempio, Cassazione penale, sez. III, sent. n. 5198 del 10 febbraio 2021).

Peraltro, non risulta che, dal 2004, cioè dall’anno di entrata in vigore della legge n. 40, il ministero si sia attivato in tal senso: segno evidente, anche da parte del massimo rappresentante governativo della giustizia, dello scarso interesse a perseguire questi fatti sui quali la proposta di legge vorrebbe intervenire.

Al riguardo, va, comunque, ricordato che la prevalente dottrina richiede, come requisito implicito, anche la doppia incriminazione, ossia il fatto deve costituire reato anche nell’ordinamento dove è stato commesso, sulla base di diversi argomenti che non è il caso in questa sede di richiamare.

A titolo informativo, può essere utile ricordare che, degli oltre duecento Paesi del mondo, solo sei – Armenia, Bielorussia, Georgia, Russia, Ucraina, Sudafrica – ammettono il ricorso alla maternità surrogata per fini commerciali, mentre undici Stati – Regno Unito, Israele, Romania, Brasile, Portogallo, Argentina, Bangladesh, Thailandia, Australia, Grecia, Canada – lo consentono solo a titolo puramente gratuito. India e Nepal, pur ammettendo la gestazione retribuita per altri, vietano che possa essere praticata a favore di cittadini stranieri. Negli USA la surrogazione di maternità è regolata diversamente nei singoli Stati.

O messa al bando universale della maternità surrogata?

Come ha auspicato il 19 aprile 2023 Francesca Izzo (cofondatrice del movimento femminista «Se non ora quando» ed ex parlamentare), nel corso dell’audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati impegnata ad esaminare la proposta di legge in questione, non sarebbe più utile e produttivo porsi l’obiettivo non utopistico dell’abolizione universale della maternità surrogata?

«Occorre – ha dichiarato la prof. Izzo a conclusione della sua audizione – che gli Stati, a cominciare dall’Italia, si impegnino ad agire, sul piano interno, mantenendo il reato, e sul piano internazionale coinvolgendo le agenzie dell’ONU e le altre organizzazioni sovranazionali, come l’Unione Europea per creare condizioni favorevoli alla sua messa al bando. In questa prospettiva è urgente approvare, nel quadro della Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, una raccomandazione contro la maternità surrogata sul modello di quella adottata per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili».

Che l’obiettivo dell’abolizione universale della maternità surrogata non sia utopistico, ancorché non facile da perseguire, è dimostrato anche dalle numerose iniziative che vengono promosse a vari livelli e che sono per lo più ignorate dagli organi di informazione. Se ne possono elencare alcune:

  • la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, redatta a Oviedo il 4 aprile 1997 (ratificata dall’Italia ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145) la quale, all’articolo 21, stabilisce che «il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;
  • la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 e avente piena efficacia giuridica nel nostro ordinamento dal 1° dicembre 2009 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che, all’articolo 3 vieta di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro;
  • la risoluzione 2010/2209 (INI) del Parlamento europeo, del 5 aprile 2011, sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’Unione Europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
  • la relaziona annuale del Parlamento europeo, in data 17 dicembre 2015, sui diritti umani nel mondo nel 2014 che, al n. 115, condanna «la pratica della maternità surrogata, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce» e ritiene che «la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
  • la campagna Stop Surrogacy No promossa nel maggio 2015 da Jennifer Lahl, fondatrice e presidente del Center for Bioethics and Culture Network, che nega, tra l’altro, che esista un «diritto al bambino»;
  • l’appello, in data 4 novembre 2015, del movimento «Se non ora quando-Libere» che afferma: «Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato. […] I bambini non sono cose da vendere o da donare. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce. […] Siamo favorevoli al pieno riconoscimento dei diritti civili per lesbiche e gay, ma diciamo a tutti, anche agli eterosessuali: il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo»;
  • la Carta di Parigi firmata il 2 febbraio 2016 nella sede dell’Assemblée nationale nell’ambito di un’iniziativa promossa dalla filosofa francese Sylviane Agacinski che si batte «per l’abolizione universale della maternità surrogata»;
  • la mozione in data 18 marzo 2016 del Comitato nazionale per la bioetica che definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», e che ritiene in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali «l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia»;
  • la risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2015 che, al n. 82, «condanna qualsiasi forma di maternità surrogata ai fini commerciali»;
  • l’appello all’ONU, sottoscritto da alcune associazioni, per la messa al bando della maternità surrogata sottoscritto a Roma, nella sala della Regina della Camera dei deputati nel marzo 2017;
  • la Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata (CIAMPS) che raccoglie associazioni femministe e singole donne dall’Europa, dalle Americhe e dall’Asia;
  • la relazione annuale del Parlamento europeo, in data 12 dicembre 2018, sui diritti umani nel mondo nel 2017 che, al n. 48, chiede di introdurre chiari principi e strumenti giuridici per far fronte alle violazioni dei diritti umani correlate alla gravidanza surrogata;
  • le relazioni annuali del Parlamento europeo in data 17 febbraio 2022 e in data 18 gennaio 2023 sui diritti umani nel mondo rispettivamente nel 2021 e nel 2022 che, al n. 60 la prima, e al n. 63 la seconda, condannano «la pratica commerciale della maternità surrogata, un fenomeno globale che espone le donne di tutto il mondo allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani prendendo di mira, nel contempo, soprattutto le donne finanziariamente e socialmente vulnerabili», evidenziano «il suo grave impatto sulle donne, sui loro diritti e sulla loro salute e uguaglianza di genere, e sottolinea le sue implicazioni transfrontaliere» e chiedono «un quadro giuridico europeo per affrontare le conseguenze negative» del fenomeno;
  • la Dichiarazione di Casablanca per l’abolizione universale della maternità surrogata firmata da 100 esperti (avvocati, medici, psicologi, filosofi ecc.) di 75 nazionalità e resa pubblica il 3 marzo 2023;
  • la lettera datata 12 aprile 2023 – della quale si riporta integralmente il primo punto – e firmata da 100 «femministe di vari e età e con diverse storie politiche» indirizzata alla Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein: «Ci sono persone che programmano di aggirare la legge italiana che vieta la surrogazione di maternità commissionandola all’estero, confidando che al ritorno potranno invocare il superiore interesse del/la minore e ottenere la regolarizzazione. Queste persone pretendono la trascrizione automatica in Italia dei certificati di nascita formati all’estero e rifiutano come discriminazione la procedura dell’adozione in casi speciali da parte del partner del genitore. E questo nonostante l’adozione in casi speciali a seguito della sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale garantisca ormai all’adottata o all’adottato lo stato di figlia/o dell’adottante, realizzando il pieno inserimento nel suo ambiente familiare (cioè i legami di parentela dell’adottante si estendono all’adottata/o, i genitori ne diventano legalmente nonni, fratelli e sorelle ne diventano zii e zie e così via)»;
  • la petizione sostenuta dalla rete No GPA (No alla Gestazione per altri) firmata da intellettuali, sindaci, amministratori locali, ex parlamentari e femministe, lanciata il 29 maggio 2023.
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Un commento

  1. Paolo Natali 4 agosto 2023

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