
Giovedì 16 e venerdì 17 gennaio, a Vienna, si è tenuto un simposio internazionale di alto livello in cui si è tentato di rivalutare gli eventi significativi nella storia della Chiesa accaduti a Costantinopoli nel 1054. Quell’anno è attualmente considerato il punto storico di separazione tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Il discorso sullo “scisma” del 1054 è di fatto superato, è stato detto fin dall’inizio del simposio.
Il cardinale Kurt Koch ha spiegato che, per superare la separazione della Chiesa in Oriente e Occidente, il primo passo da compiere è che la Chiesa cattolica e quella ortodossa si riconoscano reciprocamente come Chiese.
Il secondo passo è riprendere la reciproca eucaristia. Koch: «Solo con la ripresa della comunione eucaristica sarà restaurata la Chiesa indivisa in Oriente e in Occidente, vero obiettivo di tutti gli sforzi ecumenici».
Il card. Umberto di Silva Candida si era recato, per conto di papa Leone IX, a Costantinopoli, nel 1054 per concludere un’alleanza militare contro i Normanni. La missione fallì. Circostanze sfortunate portarono a scomunicare il patriarca Michele Cerulario. Poco dopo arrivò la controscomunica.
Un passo di riavvicinamento
Quasi 60 anni fa ci fu un passo di riavvicinamento delle Chiese separate: il 7 dicembre 1965, un giorno prima della sessione conclusiva del concilio Vaticano II, papa Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora presenti – contemporaneamente – nella basilica di San Pietro a Roma il primo e nella cattedrale di San Giorgio al Fanar a Costantinopoli il secondo diffusero una Dichiarazione congiunta nella quale dichiaravano estinte le reciproche scomuniche e «dalla memoria e dal centro della Chiesa» cancellate e «consegnate all’oblio».
Il card. Kurt Koch sottolineò che il fatto clamoroso del 1054 non ha comportato uno scisma o una mutua scomunica (esclusione dalla comunità ecclesiastica) delle Chiese latina e greca. Solo molto più tardi la data assunse un così grande significato simbolico. Evidentemente la separazione tra Oriente e Occidente era iniziata molto tempo prima del 1054 e si prolungò anche dopo.Il grande merito della Dichiarazione congiunta del 1965 è che «le bolle di scomunica del 1054 non possono più avere il peso che hanno avuto per lungo tempo nella storia avvelenando i rapporti tra latini e greci».Koch ha spiegato che il cristianesimo si è separato lungo i secoli. Spiritualità diverse portarono a malintesi. Inoltre, ci sono state ragioni politiche, come gli orrori delle Crociate e l’esistenza di due imperatori in Oriente e in Occidente dopo l’incoronazione di Carlo Magno.
«Poiché non esisteva più un’autorità riconosciuta da entrambe le parti – ha dichiarato Koch –, nessuno poteva invitare i vescovi ad un concilio ecumenico e, soprattutto, dopo l’incoronazione di Carlo Magno, non ci fu più alcuna istanza di riconoscimento da ambo le parti. L’incoronazione di Carlo Magno si rivelò assai dannosa per l’unità della Chiesa».Con l’impatto tardivo del Concilio di Trento (1545-63), la separazione delle Chiese assunse forme drammatiche nel 18° secolo. Tra i latini crebbe la convinzione che la Chiesa di Gesù Cristo potesse esistere solo dove il successore di Pietro guidava la comunità dei credenti e che quindi i sacramenti che venivano celebrati fuori dalla giurisdizione pastorale del papa non fossero legittimi.
Per sottolineare questa convinzione, la Congregazione romana per la Propagazione della Fede emanò, nel 1729, un decreto che vietava severamente in futuro la communicatio in sacris (partecipazione al culto di un’altra confessione religiosa). Come conseguenza, anche i patriarchi greci non riconobbero la grazia dei sacramenti cattolici.La ragione più profonda della reciproca condanna – afferma Koch – è «che entrambe le parti si consideravano l’unica Chiesa di Gesù Cristo e non erano più disposte a riconoscere anche l’altra parte come Chiesa di Gesù Cristo».
Poiché l’allontanamento, nella Chiesa, tra Oriente e Occidente, andava aumentando da secoli, portò nel 18° secolo al rifiuto reciproco e non fu più ammessa alcuna comunione sacramentale La divisione si trasformò in una vera e propria barriera confessionale. «Divenne sempre più forte la convinzione che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa potessero solo coesistere».
Il punto sul primato del papa
Il papa ha rivendicato per secoli un chiaro primato su tutte le Chiese cristiane. Adesso da Roma arrivano proposte che potrebbero essere accettabili anche da altri leader delle Chiese. Sull’argomento abbiamo intervistato il card. Kurt Koch del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.
– Card. Koch, il rappresentante anglicano a Roma, l’arcivescovo Ian Ernest, ha descritto il documento “Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint” come un grande successo. In cosa consiste successo?
Consiste nel fatto che il ruolo del papa, che per molto tempo è stato considerato il più grande ostacolo all’unità dei cristiani, sta ora diventando un’importante opportunità per promuovere questa unità e renderla più visibile.
– Questo vale allo stesso modo per tutte le Chiese cristiane?
Questo è certamente più facile da accettare da parte degli ortodossi. Essi hanno sempre conosciuto una gerarchia delle “sedi” dei successori degli apostoli. In questa gerarchia, secondo l’insegnamento ortodosso, Roma è la prima sede, seguita da Costantinopoli, poi Alessandria ecc. Da questo si capisce anche che Roma ha un compito speciale. In linea di principio esiste già un consenso sul fatto che il papa possa essere primus inter pares.
– Lo storico della Chiesa Hubert Wolf è stato molto critico nei confronti del nuovo documento vaticano “Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint”, e ha chiesto una distanza più netta dagli insegnamenti del Vaticano I sul ruolo del pontefice. Ha ragione?
Mi è sembrato strano che uno storico della Chiesa abbia giudicato del tutto inadeguata la proposta di esaminare e di ricollocare gli insegnamenti di quel concilio nel loro contesto storico e abbia richiesto, per così dire, una rivoluzione. Mi stupisce che uno storico ragioni in questo modo, perché è proprio la collocazione delle dichiarazioni di fede nel contesto storico della loro formulazione che ha sempre aiutato l’ecumenismo a progredire nel dialogo.
– Le proposte del Vaticano per la realizzazione di un ruolo papale a livello ecumenico sembrano nel complesso molto caute…
In realtà, abbiamo formulato le proposte con molta delicatezza e con riguardo, affinché le altre Chiese non abbiano l’impressione che noi abbiamo già un programma definito e che vogliamo imporglielo. Il documento dovrebbe essere chiaro: ecco, queste sono le nostre proposte, ora aspettiamo le vostre reazioni, ma non abbiamo ancora un programma definito.
– Cosa avverrebbe effettivamente se le Chiese cristiane accettassero il papa come una specie di capo onorario?
Nel mondo globalizzato di oggi, la Chiesa cattolica è la più globalizzata tra le Chiese.
– Cosa significa in concreto?
Il papa ha già un ruolo speciale nell’ecumenismo e di fatto esercita un primato. Lo si vede dal fatto che molti rappresentanti di altre Chiese vengono a Roma e vogliono visitare il papa. Iniziative come gli inviti del papa ad altri leader della Chiesa a pregare per la pace ad Assisi dimostrano che egli svolge già un ruolo speciale nell’ecumenismo mondiale. Istituzionalizzarli più chiaramente al di là di queste singole occasioni potrebbe essere un ulteriore passo avanti.
– Ritorno al primato d’onore: come realizzarlo? Dovrebbe decidere un “concilio di tutti i cristiani” o è più realistico che Roma firmi prima un accordo con una Chiesa specifica, alla quale poi si uniranno gradualmente altre Chiese?
Naturalmente l’ideale sarebbe una decisione condivisa da tutte le Chiese. Ma penso che l’approccio graduale sia più realistico. Dobbiamo poi essere sensibili per garantire che nessuno si senta escluso o lasciato indietro in questo percorso. E sarà cruciale stabilire insieme quali debbano essere le competenze di un primus inter pares. Secondo me, il puro primato onorifico funziona solo quando il tempo è bello.
– Quali potrebbero essere queste competenze?
La Chiesa cattolica non può decidere da sola, ma solo attraverso il dialogo. Due competenze essenziali emergono dalla storia: convocare e presiedere un’assemblea generale delle Chiese e mediare in caso di conflitto. Entrambe si sono già verificate nella storia della Chiesa.
– Una data importante è il 1.700° anniversario del Concilio di Nicea. Cosa si spera di ottenere da questa data?
La mia massima speranza è che l’anniversario di questo Concilio, che riguarda tutte le Chiese cristiane, includa non solo le Chiese orientali e Roma, ma anche le Chiese protestanti. Come e quando verrà celebrato l’anniversario non è ancora chiaro. Se si potesse svolgere a Nicea, sarebbe necessario il permesso del governo turco. Come possibile data si parla della prima metà di giugno.
– Quando, oltre a questa celebrazione dell’anniversario, ci sarà il primo incontro dei leader della Chiesa cristiana su invito del papa? Lo vedremo ancora?
Ho imparato che non è utile fare annunci di tempo nei processi ecumenici, e certamente non in maniera unilaterale. Il vero ministro ecumenico è comunque lo Spirito Santo. Non conosco però con esattezza i suoi tempi, così come le possibili sorprese di papa Francesco. (KNA)
- Organizzatore del simposio di Vienna è stato il gruppo di lavoro delle storiche e degli storici dell’Austria in collaborazione con l’Istituto di teologia storica dell’Università di Vienna e la Fondazione Pro Oriente.





