1993: nascono la Cechia e la Slovacchia

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cechia slovacchia

È nota la definizione di Francesco Saverio Nitti, economista e uomo politico italiano: la nascita della Repubblica cecoslovacca, alla fine della prima guerra mondiale, costituiva uno “stato paradosso”. Effettivamente, si trattava di mettere insieme due grandi minoranze, diverse per lingua, consuetudini storiche, culture.

Ripercorrendo un po’ di storia

Il 1° gennaio 1993 la Federazione cessava di esistere e nascevano la Repubblica ceca e la Repubblica slovacca.

Nel 1918, la Boemia e la Moravia erano regioni industrialmente e culturalmente più attrezzate della Slovacchia, priva di industrie, teatri, scuole. Si pensi che, nel 1918, non era censita nessuna università o liceo.

Nella seconda metà degli anni ’30, la Federazione viveva un momento drammatico. La Boemia e la Moravia venivano, con la forza, inserite nella Germania hitleriana e veniva costituito il protettorato «Bohmen und Marhen».

La Slovacchia godeva di un traballante periodo di indipendenza nazionale (1939-1944). Nel 1944 gli slovacchi insorgevano e proclamavano la loro appartenenza alla Cecoslovacchia.

Subentrò l’epoca comunista: quarant’anni di repressione in tutti i campi. In Boemia si respirava la «primavera», ma durò poco. L’intervento armato sovietico sconvolse Boemia e Moravia, mentre in Slovacchia le famose purghe politiche non furono frequenti.

Negli anni ’70 e ’80 fu la decadenza economica e culturale a sconquassare la Boemia e la Moravia, mentre la Slovacchia godette di un relativo benessere. La Charta ’77 scosse – sotto la spinta di Vaclav Havel, il noto drammaturgo, e del card. Tomášek, la «quercia» di Olomouc, come veniva definito – tutto il Paese.

In Slovacchia non vi fu un dissenso organizzato, coinvolse per lo più l’élite cattolica.

«La rivoluzione di velluto» dei mesi di novembre e di dicembre del 1989 venne vissuta diversamente a Praga e a Bratislava. Per i cechi e i moravi fu la «primavera», per gli slovacchi quasi una minaccia di regressione da condizioni di vita accettabili. La disoccupazione iniziò a galoppare perché l’acquirente sovietico si stava eclissando. Ciò non impedì che si facesse strada il nazionalismo, che si irrobustì sempre più.

Nel 1990 le trattative tra cechi e moravi, da una parte, e slovacchi, dall’altra, per una separazione consensuale fallivano. Entrambe riconoscevano i vantaggi economici e sociali della Federazione. La popolazione chiedeva con insistenza di mettere a referendum il progetto di separazione e vennero raccolte più di due milioni di firme, ma governo e parlamento non ne tennero conto.

Il 1° gennaio 1993 fu vissuto con incertezza. Un sondaggio del mese di dicembre 1992 dava il 59% degli slovacchi scontenti della separazione, il 56% «inquieto», soprattutto per le conseguenze economiche, e un 40% «impaurito». Le elezioni del 5-6 giugno 1992 videro la vittoria della destra in Boemia e in Moravia (34%).

Il raggruppamento (ODS), abilmente guidato da V. Klaus, padre della riforma economica, che aveva forti simpatie per la Thatcher, era sostenitore dell’economia di mercato a tutti i costi. In Slovacchia, invece, s’imponeva V. Meciar, leader carismatico, sostenitore di un’economia più graduale.

Dopo le elezioni, Klaus e Meciar divennero presidenti dei rispettivi consigli nazionali e chiusero la porta ad ogni altra soluzione che non fosse la separazione della Federazione, ma la gente non se ne curava.

La spinta definitiva

Il 3 settembre 1992, il parlamento di Bratislava usciva allo scoperto e sanciva la costituzione della Repubblica slovacca con decorrenza dal 1° ottobre. Stessa decisione a Praga in dicembre, senza clamori.

Serpeggiavano molte incertezze sul futuro, soprattutto a causa dei costi, che si facevano sempre più elevati. L’inizio delle due Repubbliche non fu facile. Sorgevano contrasti sulla spartizione dei beni e sulle strutture importanti come la rete ferroviaria e gli oleodotti in transito in territorio slovacco, dove si raffinava l’80% del greggio proveniente dalla Siberia. Al contrario, la Slovacchia dipendeva quasi esclusivamente dall’energia elettrica e dal carbone della Repubblica ceca.

L’organizzazione del mercato fu un altro punto di controversie e di trattative, spesso estenuanti. La Repubblica ceca esportava in Slovacchia l’11% dei suoi prodotti e la Slovacchia esportava in Boemia e Moravia il 33% dei propri. Ad esempio, il 99% dei televisori e il 100% dei frigoriferi.

Il Parlamento ceco, riunito il 26 gennaio 1993, elesse V. Havel presidente della Repubblica con 109 voti su 194. Il primo ministro Klaus pensava di farne semplicemente una figura simbolica, mentre Havel diceva che non sapeva che farne di una carica onorifica.

In Slovacchia la morte di A. Dubcek ebbe un grosso impatto. Il candidato di Meciar, R. Kovacs, era tutto l’opposto di Dubcek. La popolazione si sentiva estraniata, volutamente tenuta lontana dalla progettazione del proprio futuro. In questo primo periodo si avvertiva un sentimento di indifferenza nei confronti dei capi politici, mentre cresceva sempre più l’interesse per le questioni economiche.

L’atteggiamento della Chiesa

Equilibrato l’atteggiamento della Chiesa. L’arcivescovo di Praga, M. Vlk, si schierò a favore di un impegno significativo per ridare animo e forza alla ricostruzione di un tessuto socio-politico, radicalmente distrutto da quarant’anni di dittatura: «I cristiani sono corresponsabili verso il mondo, prendono parte a quanto lo modella e quindi anche alla politica». Riguardo allo scioglimento della Federazione, era solito sottolineare: «Noi, vescovi cechi e moravi, intendiamo proseguire nella tradizione dello stato cecoslovacco. Abbiamo supposto che in Europa e nel mondo in generale esista una tendenza all’integrazione, al collegamento e non alla separazione… Spero che saremo esempio di collaborazione se sapremo superare diffidenze reciproche e riconoscerci uguali senza paternalismi né sfruttamento».

Nella lettera pastorale per l’anno nuovo, i vescovi della Slovacchia invitarono i fedeli ad uno spirito di collaborazione «con le nazioni vicine e particolarmente con la Boemia e la Moravia». «Il futuro non ci spaventa – diceva Vlk – se la separazione ci farà attingere al meglio di noi, confidando nel Signore».

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