L’Africa ha sete di giustizia

di:

raffaele masto

Il 28 marzo è stato l’anniversario della morte di Raffaele Masto, giornalista, africanista, scrittore, colonna della Rivista Africa e voce di Radio Popolare. La Rivista Africa lo ha ricordato con una sua riflessione sui destini dell’Africa, estratta dal libro La variabile africana (Egea 2019).

Per l’Africa, dunque, non c’è speranza? Dobbiamo rassegnarci ad aiutare gli africani ancora per lungo tempo? Guerre, cambiamenti climatici, povertà, saccheggi di materie prime, ferrei e anacronistici dittatori inchiodano il continente a uno stadio dello sviluppo quasi primordiale rispetto all’Europa e all’Occidente. Secondo i dati della Bill and Melinda Gates Foundation, quando, nel 2050, gli abitanti dell’Africa sfioreranno i due miliardi la percentuale di persone che vivranno sotto la soglia di povertà sarà dell’86 per cento, e di questi la stragrande maggioranza saranno giovani: cifre quasi incompatibili con uno Stato organizzato e con un potere centrale funzionante.

Certo, proiezioni e previsioni sono state spesso smentite dall’Africa. Negli anni Ottanta, dopo la scoperta del virus dell’Aids, analisti e scienziati annunciarono che intere grandi aree del continente si sarebbero spopolate e la crescita demografica si sarebbe arrestata. È andata esattamente al contrario: l’Africa è cresciuta di ben 300 milioni di persone. Una smentita così clamorosa delle previsioni potrebbe avvenire anche oggi, ma ovviamente perché ciò accada dovrebbe intervenire qualche fatto nuovo. Nel caso dell’Aids, per esempio, furono scoperti i farmaci antiretrovirali.

Allo stesso modo, oggi qualche evento dovrebbe disinnescare quel sistema che tiene relegata l’Africa al ruolo di grande serbatoio di materie prime e manodopera piuttosto che farla diventare un mercato. Innanzitutto, però, l’Africa avrebbe bisogno di valorizzarsi, di essere consapevole delle proprie possibilità. La società civile è molto vitale in quasi tutti i Paesi del continente, sente l’urgenza di conoscere e di essere coinvolta.

Alcuni cambiamenti radicali sono stati promossi proprio da membri della società civile e da organizzazioni di giovani, come è avvenuto in Burkina Faso nel 2014, quando la popolazione è scesa ripetutamente in piazza per impedire che il presidente Blaise Compaoré si presentasse ancora alle elezioni, dopo ventisette anni di potere ininterrotto. Ci sono volute diverse settimane di manifestazioni e di tensione, e almeno cento morti, ma alla fine Compaoré fu costretto a fuggire e la piazza uscì vincitrice. Una delle organizzazioni che avevano promosso e guidato le proteste era il Balai Citoyen ed era costituita da giovani e semplici cittadini.

Attivissimi in tutta l’Africa, poi, sono i rapper, giovani che raccontano in rima e con la musica l’attualità del proprio Paese, senza fare sconti ai governanti (anche il Balai Citoyen fu creato da due artisti militanti, Sams’K Le Jah, musicista reggae, e Smockey, rapper. Molti di loro finiscono in galera, come è accaduto a Teddy Afro in Etiopia, ad Azagaia in Mozambico, a Luaty Beirão in Angola. Insomma, l’Africa è viva e ha un grande bisogno di cambiamento e di partecipazione. Purtroppo deve fare i conti con classi politiche e dittatori che non vogliono perdere il loro potere e non esitano a dimostrarsi brutalmente repressivi.

C’è poi un altro motivo che rende poco incisive le spinte della società civile, ed è un motivo che si fonda sulla storia. Quattro secoli di schiavismo e due di colonialismo non si cancellano con soli cinquant’anni di indipendenza: quei secoli hanno lasciato il segno, e se li si guarda dalla prospettiva dei tempi storici ci si rende conto che sono ancora troppo vicini per non influenzare l’attualità.

Una ventina di anni fa, in Congo Brazzaville, mi capitò di reclutare un tassista abusivo, uno dei tanti, per un lavoro che dovevo svolgere nella capitale. Era un trentenne sveglio, veloce, efficiente. Lo ingaggiai per una settimana e nel primo giro che facemmo in città mi portò a vedere quello che ai tempi era il monumento nazionale. Si trattava di un grande murale che ritraeva il generale de Gaulle che «consegnava» l’indipendenza al primo presidente del Congo, Fulbert Youlou. Era un disegno enorme che raffigurava i due uomini e dietro di loro la moltitudine della popolazione, una folla di uomini, donne, bambini, chi con il machete per i lavori agricoli, chi con zappe o martelli, le donne con i figli legati sulla schiena, tutti neri. Il generale de Gaulle bianco e Fulbert Youlou… anche lui bianco.

Chiesi al mio autista perché il primo presidente congolese fosse rappresentato come bianco quando tutti sanno che era nero. Il tassista farfugliò imbarazzato e riuscì a non rispondermi. Ripetei la mia domanda anche nei giorni successivi fino a quando, esasperato, mi disse che probabilmente il pittore aveva finito la vernice. Ovviamente le cose non stavano così: l’artista non era riuscito a farlo nero perché nel profondo di molti africani, ancora oggi, chi «vince» è bianco.

Ecco, gli africani devono superare questo devastante complesso di inferiorità, ma hanno tutti i giorni sotto gli occhi gli effetti della potenza dei bianchi che vanno in Africa: sono quasi onnipotenti, hanno denaro e dormono in hotel che nessun abitante locale si può permettere, sono serviti e per un pasto spendono praticamente quello che è l’intero stipendio mensile di un lavoratore locale.

Si possono permettere di «aiutare» gli africani con progetti che richiedono migliaia di dollari ed elargire stipendi incredibili a quanti lavorano per loro, bianchi o neri. Insomma, sono dei vincenti e vengono da Paesi che hanno vinto. Tutto ciò alimenta quel complesso di inferiorità, oppure fa accumulare rabbia e risentimento, o infonde un desiderio incrollabile di migrare, di provare a fare fortuna in quegli stessi Paesi, o, ancora, spinge i giovani verso le organizzazioni criminali e il terrorismo.

Gli africani, insomma, hanno bisogno di valorizzare se stessi, di conoscere il valore dei loro territori e delle risorse che vi sono contenute o che possono produrre, ma soprattutto hanno bisogno di avere una prospettiva. Più che progetti faraonici, fiumi di denaro, mega infrastrutture, all’Africa servono investimenti veri nelle sue potenzialità, non elargiti per cooperazione o buonismo. Più che di beneficenza o cooperazione, l’Africa ha bisogno di giustizia.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto