Armenia: il conflitto distruttivo

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Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il catholicos Karekin II.

«La casa di Gesù Cristo è stata occupata dall’Anticristo, da un gruppo dissoluto e anti-statale. Va liberata». Il 20 luglio il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, è tornato ad attaccare il catholicos Karekin II e l’intera dirigenza della Chiesa armena, responsabili, ai suoi occhi, di fomentare e guidare l’opposizione al suo governo. In un messaggio sui social ha annunciato la convocazione di un’assemblea del popolo per decidere la decadenza del gerarca e favorire un successore meno “indegno” e meno “resistente”.

L’accusa strumentale al massimo esponente ecclesiale, peraltro non nuova, è di avere un figlio e quindi di aver violato il voto monastico. Così scrive il politico: «È indesiderabile, doloroso ma logico, che le coppie incapaci di mantenere la fedeltà coniugale divorzino. Lo stesso dovrebbe avvenire nella nostra Chiesa armena. Ktrij Nersisyan (il nome da laico del catholicos) deve lasciare Veharan (sede del patriarcato)».

Nel giugno scorso il portavoce del catholicos diceva: «Credo che la nostra santa Chiesa apostolica debba immediatamente purificarsi da quei falsi credenti che sono traditori della nazione e hanno disonorato la memoria dei loro antenati. Hanno infranto il voto del battesimo e hanno sostituito il sigillo della santa croce con il segno della circoncisione» (pratica comune fra i cristiani del paese, eredità della tradizione giudaica).

La disputa si è avviata nel 2020 dopo la sconfitta dell’esercito armeno davanti a quello azero con la perdita del Nagorno-Karabak, l’enclave armena nel paese vicino, e si è acuita dopo la recente dismissione di alcuni paesi, sempre a favore dell’Azerbaigian, nell’attesa di un trattato di pace che non è stato ancora firmato.

Identità e sopravvivenza

Lo scontro al calor bianco fra governo e Chiesa ferisce la sensibilità popolare, irrita il clero e preoccupa la diaspora armena.

L’invito a una sorta di sinodo del popolo di Dio nella piazza centrale di Etchmiadzin da parte di Nikol Pahinyan non sembra ottenere il consenso sperato del governo. Il tentativo mira a dare una maggior peso nella scelta del patriarca al governo, modificando le tradizionali regole canoniche.

L’ex difensore civico armeno, Arman Tatoyan, ha denunciato l’operazione perché minaccia di spaccare la società, alimenta i conflitti interni e nella diaspora, ed è funzionale alle mire territoriali sull’intera Armenia da parte dell’Azerbaigian.

È stata subito cavalcata dal leader spirituale del paese vicino, Allahshukur Pashazade, che, in una lettera al Consiglio ecumenico delle Chiese, appoggia le critiche al catholicos.

Tatoyan annota: «Stanno cercando di neutralizzare la Chiesa armena per facilitare il programma di popolamento del territorio armeno con i cosiddetti “azeri occidentali”. Un piano presentato sotto le mentite spoglie di una iniziativa umanitaria, ma, in realtà, è un tentativo di conquista territoriale. Un appello in questo senso è già stato inviato all’ONU».

Per il ruolo fondativo della Chiesa e per la fragilità di un paese stretto fra vicini nemici (Azerbaigian e Turchia) l’attuale tensione minaccia la sopravvivenza della nazione (cf. qui). Per questo si sono levate molte voci, soprattutto nella diaspora (6 milioni di fronte ai 3 che abitano l’Armenia attuale), per superare il contenzioso.

Il limitato consenso ottenuto ha convinto Pashinyan a non accelerare la progettata assemblea nazionale e a prendersi il tempo per controllare i sostegni, sia nel clero sia nella popolazione. Tanto più che il silenzioso e defilato presidente della Repubblica ha iniziato un giro di esplorazione nei villaggi. Secondo alcuni, per verificare un passaggio di poteri: in questo caso non nel patriarcato, ma nel governo.

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