Cina: la stagione delle visite

di:
Joseph Li Shan

Il card. Stephen Chow insieme a mons. Joseph Li Shan.

Il vescovo di Pechino in visita a Hong Kong, quattro gerarchi cinesi ospiti in Belgio, il viaggio del card. Zuppi a Pechino, due vescovi in sinodo: viaggi e incontri rinnovano l’attenzione dei cattolici all’impero rosso. Mentre si consolida la distanza fra USA (Occidente) e Cina – nonostante l’esito positivo dell’incontro di Xi Jinping e Joe Biden a San Francisco il 15 novembre – e, nonostante sgarbi e incomprensioni – il dialogo fra Cina e Chiesa cattolica prosegue.

Lasciando alle spalle la tensione per la nomina del nuovo vescovo a Shanghai e le ricorrenti (giustificate) denunce sulle vessazioni verso le comunità cristiane (sotterranee e legali), l’accordo Cina-Santa Sede sui vescovi è confermato, come l’attenzione di papa Francesco al paese (cf. SettimanaNews, qui).

Nel viaggio in Mongolia (3 settembre) Francesco ha ricordato il «nobile popolo cinese» e riaffermata la sua convinzione: «personalmente ho grande ammirazione per la cultura cinese».

Joseph Li Shan a Hong Kong

Dopo la visita del vescovo di Hong Kong, card. Stephen Chow, a Pechino nell’aprile scorso, è toccato al vescovo di Pechino, Joseph Li Shan volare a Hong Kong (13-15 novembre). Come presidente dell’associazione patriottica cattolica (struttura statale che regola la vita della Chiesa locale), mons. Li ha avuto diversi colloqui, alcune celebrazioni, incontri con il seminario e il centro studi Holy Spirit oltre alla partecipazione al convegno teologico sulla sinodalità. Hanno partecipato altri quattro esponenti della diocesi pechinese.

Si prevedevano cinque giorni poi ridotti a tre. Per alcuni, a causa dell’irritazione cinese per la richiesta pubblica di una decina di vescovi e cardinali per la liberazione dell’attivista democratico e cattolico Jimmy Lai. Firmata dal card. T. Donald (New York), G. Gruŝas (Vilnius, presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee), M. Millet (Vancouver) e altri, la petizione chiedeva che Lai, in prigione da oltre mille giorni, fosse liberato in attesa dell’apertura del processo previsto per il prossimo dicembre.

Fra le sottolineature espresse da mons. Li c’è lo scambio informativo sulla funzionalità della diocesi («Abbiamo avuto la possibilità di visitare il centro diocesano, il seminario, la casa della Carità. Abbiamo visto lo sviluppo concreto della diocesi e abbiamo imparato molto»), ma anche la conferma del consenso al processo di “sinizzazione” delle fedi promosso da Xi Jinping.

Sul tema è intervenuto in una lunga intervista il vescovo di Shanghai, mons. Shen Bin, presidente del consiglio dei vescovi: «La sinizzazione è un indirizzo fondamentale, un segnale e una direzione per adattarsi alla società socialista, nonché una regola e un requisito fondamentale per la sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa cattolica in Cina». Non significa «cambiare le credenze religiose», ma adattare il patrimonio teologico, dottrinale e canonico al contesto cinese, accettando la sua triplice autonomia (gestione pastorale, amministrazione, annuncio).

«Dobbiamo aderire al principio del patriottismo e dell’amore per la Chiesa, aderire al principio dell’indipendenza e dell’autonomia nella gestione della Chiesa, aderire al principio della democrazia e aderire alla direzione della “sinizzazione” della Chiesa cattolica. È un confine che nessuno può oltrepassare ed è anche una linea sensibile che nessuno dovrebbe toccare».

Riscrivere la Bibbia?

Facile immaginare che, su questo processo, si siano sviluppati domande e sospetti: si tratta di inculturazione o migrazione ad altra fede? Si è chiesto agli islamici di riscrivere il Corano. Sarebbe intollerabile immaginare una riscrittura della Bibbia per compiacere il partito.

Ai problemi teorici si uniscono le sfide pratiche. La Chiesa in Cina registra un calo significativo nelle vocazioni. I seminaristi erano 2.400 nel 2000. Sono oggi 420. Un calo dovuto anche alla proibizione di affiliarsi a qualsiasi religione prima dei 18 anni. Ma niente è ancora definito e Roma guarda con simpatia agli scambi tra vescovi della Cina continentale con gli altri episcopati.

Su invito della fondazione Verbiest che fa capo alla Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (scheutisti), quattro vescovi cinesi (G. Guo Jincai, P. Pei Junmin, G. Liu Xinhong, G. Cui Qingqi) sono arrivati a Lovanio il 7 settembre. Hanno visitato le istituzioni locali che da molti decenni sono in contatto con la Cina e hanno gestito un seminario di formazione per religiosi e laici, preparando il rinnovo delle relazioni interrotte a causa del Covit. Dopo un colloquio col card. Jozef De Kesel hanno visitato alcune abazie.

Passando per l’Olanda sono giunti in Francia per un’informazione sulla Chiesa locale. Incontro di istituzioni, ma anche con persone, come p. Jerom Heyndrickx, da molto anni impegnato nel dialogo con la Chiesa in Cina.

Zuppi a Pechino

La Santa Sede aveva chiesto a Pechino cinque presenze per il Sinodo sulla sinodalità (Roma, 4-29 ottobre). Sono arrivati due vescovi (G. Yang Yongqiang e A. Yao Shun). Una delegazione cinese aveva già partecipato al precedente sinodo sui giovani del 2018. L’attuale delegazione ha mostrato di apprezzare il clima del sinodo e la cordiale accoglienza ricevuta.

In una intervista (Fides), mons. Yao Shun, ha così indicato il compito prioritario della Chiesa in Cina: «La prima missione di noi cattolici cinesi è mostrare la misericordia e l’amore di Dio a tutti gli altri cinesi. Ci stanno davvero a cuore le necessità della società, soprattutto quelle dei poveri e dei sofferenti». Quanto all’accordo Cina-Santa Sede: è opinione prevalente che «sia molto significativo e importante. Esso apre la strada alla promozione dell’integrazione e dell’unità tra la Chiesa in Cina e la Chiesa universale. Facilita il lavoro pastorale e l’annuncio del Vangelo. È anche utile per migliorare le relazioni fra Cina e Santa Sede». Anche in questo caso la loro permanenza a Roma si è interrotta il 16 ottobre.

Di genere diverso è stata la visita del card. M. Zuppi a Pechino (13-14 settembre). Non di carattere pastorale, ma politico: «il sostegno delle iniziative umanitarie e la ricerca delle vie per una pace giusta». La guerra russo-ucraina lo ha portato prima a Kiev, Mosca e Washington e poi in Cina.

L’intento è di sollecitare l’attenzione su alcune emergenze umanitarie, ma nei confronti di Pechino si trattava di riconoscere il peso della Cina nei possibili dialoghi e per riconoscere il ruolo dell’“impero di mezzo” nei processi di pace. Supportato dal lavoro della Segreteria di stato vaticana ha potuto incontrare Li Hui, rappresentante speciale per gli affari euroasiatici.

Il colloquio «è stato dedicato alla guerra in Ucraina… È stato inoltre affrontato il problema della sicurezza alimentare, con l’auspicio che si possa presto garantire l’esportazione dei cereali, soprattutto a favore dei paesi più a rischio».

I frutti piuttosto scarsi del viaggio vanno però collocati in un contesto che vede la Cina alzare molto i controlli interni per la tensione con gli USA e la paura di forze sovversive, anche nei confronti delle fedi, ma, proprio per questo, il paese ha bisogno di una maggior conoscenza dell’Occidente e la «Chiesa cattolica può contribuire alla comprensione più profonda della cultura occidentale e di una religione tanto importante in altre parti del mondo» (F. Sisci).

La più buona di Nanchino

Nei confronti della Cina altri elementi minori assumono un significato positivo. Così il premio concesso a una suora a Nanchino (Zheng Yuequin) dal partito comunista della città per l’opera a favore di centinaia di ragazzi con disabilità intellettiva, o l’affermazione del rappresentante cinese all’ONU, Geng Shuang, che riconosce e sollecita l’azione delle fedi in ordine alla soluzione del conflitto russo-ucraino.

Di maggiore prospettiva è il possibile avvio a Hong Kong di una università cattolica come sviluppo di un apprezzato istituto (Caritas Institute of Higher Education). Se arrivasse la ratifica politica, nascerebbe la seconda università cattolica dopo quella di Macao (università san Giuseppe).

La Santa Sede spera in uno sviluppo più coerente dell’Accordo firmato, troppo esposto a fraintendimenti che una relazione più rapida potrebbe agilmente evitare. Così il card. Pietro Parolin, segretario di stato: «Mi sembra che sarebbe sommamente utile l’apertura di un ufficio stabile di collegamento della Santa Sede in Cina. Mi permetto di aggiungere che, a mio parere, tale presenza favorirebbe non solo il dialogo con le autorità civili, ma contribuirebbe pure alla piena riconciliazione all’interno della Chiesa cinese e al suo cammino verso una desiderabile normalità».

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