
Tanto positivo è stato il clima della visita in Cina della delegazione vaticana nel settembre del 2024, quanto problematici i risultati dei tre giorni della visita a Roma di quella cinese nelle settimane scorse.
Gli spostamenti, seppur millimetrici, sembrano impossibili e la percezione della delegazione vaticana (8 persone, come quella cinese) è quella di lavorare solo sui tempi lunghi (20-30 anni). Del resto è cambiato il quadro internazionale.
L’amministrazione Trump ha rilegittimato Putin, si è “sfilata” dal sostegno all’Ucrania, considera l’Europa un quasi-nemico con l’esito di rendere fragile l’immagine dell’Occidente. Per la Cina, che si sente molto rafforzata, il rapporto con la Santa Sede ha perso rilievo e, pur confermato, non ha la suggestione del passato recente.
Inoltre, la dirigenza cinese resta bloccata dentro una lettura delle religioni e della Chiesa che esclude ogni tipi di intervento congiunto, avvertito come indebita ingerenza su affari interni. Le ripetute spiegazioni non sembrano superare la barriera dei fraintendimenti.
Gli elementi di novità, tuttavia, sono determinati dalla conferma di papa Leone dell’orientamento della diplomazia vaticana degli ultimi decenni e dalle nomine che hanno interessato la nuova diocesi di Zhanijakou il 12 settembre.
Prima di darne una breve nota, ricordo due momenti precedenti seppur di peso diverso. Il primo è un convegno celebrato a Hong Kong l’11-12 agosto sul centenario della consacrazione dei primi vescovi cinesi, dopo quello celebrato a Roma nel maggio del 2024 a memoria del primo concilio locale cinese avvenuto a Shanghai nel 1924. Ne dà nota Asianews (24 agosto 2025), ricordando i temi maggiori: l’inculturazione, la figura dei cardinali cinesi, alcune personalità episcopali fra cui Jin Luxian, e una valutazione odierna sul significato di inculturazione in parallelo a quello di “sinizzazione”.
Il secondo è la “caduta” dell’abate Shi del tempio di Shaolin. Noto per il Kung Fu il centro monastico è diventato un luogo prestigioso di culto, di commercio e di irradiamento. L’abate Shi ne è stato l’artefice, peraltro assai discusso. Ciò che ha prodotto la sua disgrazia sembra essere stata la visita al papa il 1° febbraio scorso non concordata e non gradita al governo.
Seppur tenuta sotto tono, la notizia ha probabilmente irritato il potere cinese che ha dato via libera alle accuse di appropriazione indebita, relazioni improprie e figli illegittimi determinando la fine della figura pubblica del monaco.
Vescovi e diocesi
La nomina di Giuseppe Ma Yanen a vescovo di Zhanijakou, il contemporaneo riconoscimento del vescovo “clandestino” Giuseppe Wang Zhengui come vescovo ausiliare e la legittimazione di un altro vescovo “sotterraneo” molto noto, Agostino Cui Tai, seppure come emerito avendo raggiunto i 75 anni, rappresentano per Roma un passo positivo.
Nomine che accompagnano la formazione di una nuova diocesi, quella di Zhangjiakou, frutto dell’accorpamento di due diocesi precedenti (Xuanhua e Xiwanzi), perseguita dal governo in ragione degli attuali confini civili e riconosciuta come pastoralmente opportuna da Roma.
Il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha dichiarato (12 settembre): «Si apprende con soddisfazione che oggi, in occasione della presa di possesso dell’ufficio di vescovo ausiliare di Zhangjiakou da parte di S.E. Mons. Giuseppe Ma Yanen, il suo ministero episcopale viene riconosciuto anche agli effetti dell’ordinamento civile. Parimenti, viene riconosciuta civilmente anche la dignità episcopale di S.E. Mons. Agostino Cui Tai, Vescovo emerito di Xuanhua. Tali eventi, frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi, costituiscono un passo rilevante nel cammino comunionale della nuova diocesi».
Due giorni prima, la comunicazione ufficiale vaticana illustrava così la nuova diocesi: «In questo modo il territorio della diocesi di Zhangjiakou è conforme a quello della città capoluogo di Zhangjiakou, con una superficie totale di 36.357 km² e una popolazione totale di 4.032.600 abitanti, di cui circa 85 mila cattolici, serviti da 89 sacerdoti».
Il tema dei confini diocesani è fra i più spinosi. La Santa Sede considera 140 diocesi in Cina, mentre il governo ne censisce solo 90. Il problema è quello di rispondere non solo a ragioni civili, ma a tradizioni storiche ed esigenze pastorali. Nel caso specifico, le due domande si sono unite, ma non ovunque è così. E il problema non è ancora stato affrontato nel suo insieme perché l’accordo Santa Sede-Cina riguarda la nomina dei vescovi e non la ridefinizione dei territori.
E l’implementazione del patto è assai lenta e difficile. In ogni caso, si conferma l’indirizzo diplomatico di mantenere aperto il dialogo, di facilitare la conoscenza reciproca dei vescovi (il ruolo del card. Stephen Chow di Hong Kong è prezioso in merito) e con il papa, lasciando che il tempo consenta passi più significativi.
Nel frattempo il processo di sinizzazione voluto da Xi Jinping continua a produrre ulteriori impedimenti alla già fragile “libertà religiosa”. Permane la pressione sui vescovi e preti “clandestini”. A maggio, sono entrate in vigore nuove norme che regolano puntigliosamente le attività religiose degli stranieri e, in settembre, ulteriori disposizioni disciplinano comunicazione e formazione attraverso i siti web, le applicazioni e i forum.
Operazioni che si collocano in una complessiva e generale operazione di controllo, censure e limitazioni che interessano l’intera vita della popolazione cinese.





