Torna a inquietare le coscienze dei fedeli e dei legislatori la questione del segreto a cui il confessore è tenuto. Dopo l’indirizzo della Royal Commission, una parte degli stati d’Australia ha delegittimato il segreto confessionale davanti all’emergenza abusi sui minori. Il dibattito si è aperto in Irlanda, in Francia, in Spagna.
Alcuni degli stati degli USA hanno tentato di legiferare in merito. La legislazione su questo problema è giunta all’approvazione del parlamento locale dello stato di Washington. All’inizio di maggio è stato approvato il progetto di legge 5375 che prevede il mancato riconoscimento legale del segreto sacramentale. Approvato con 64 voti contro 31 il testo, secondo il suo promotore il democratico Bob Ferguson, intende proteggere anzitutto i figli e, più in generale, l’intera cittadinanza.
È subito esplosa la polemica. Si riconosce nella legge una contraddizione intollerabile perché, mentre garantisce il segreto ad altre figure professionali, lo nega ai preti cattolici, le uniche figure ecclesiastiche che sono legate al dovere del silenzio nel contesto delle religioni.
In secondo luogo, la legge violerebbe un articolo fondamentale della Costituzione americana che garantisce la libertà di fede. In merito vi è una consolidata tradizione giuridica che rimonta al 1813. Il Dipartimento di giustizia federale ha già espresso la sua preoccupazione e Harmeet Dhillon, procuratore generale aggiunto per i diritti civili dell’organismo federale, parla di un «conflitto diretto con il libero esercizio di una religione consolidata».
Il caso Washington
Preoccupata e dura la reazione dei vescovi delle diocesi interessate. Mons. Paul Etienne ha rimarcato: «Il clero cattolico non può violare il segreto confessionale, pena la scomunica dalla Chiesa […] Tutti i cattolici devono sapere ed essere certi che le loro confessioni rimangono sacre, sicure, riservate e protette dalla legge della Chiesa».
Anche il vescovo di Spokane, Thomas Daly, ha condiviso con gli altri vescovi dello stato la stessa conclusione.
I gerarchi rilevano che la Chiesa cattolica dall’inizio del secolo si è data norme severe per garantire i bambini e i ragazzi che frequentano le parrocchie, che i pastori hanno l’obbligo della denuncia quando sanno di abusi al di fuori della confessione, che tutti gli operatori pastorali e gli ambienti educativi hanno severi protocolli, che le denunce in questi due decenni sono crollate e che, nel concreto, i casi di confessioni di abusatori sono rarissimi. Vi è comunque sempre l’indicazione al peccatore abusante di consegnarsi alla giustizia civile.
Segreto e crimine
Da Roma l’indicazione è decisa e si àncora nel diritto e nella teologia. Nel 2021 il card. Piacenza, allora penitenziere maggiore, ricordava che «il segreto della confessione non è un obbligo imposto dall’esterno, ma un’esigenza intrinseca del sacramento, e come tale non può essere sciolto neppure dallo stesso penitente. Il penitente non parla al confessore uomo, ma a Dio. Onde, impossessarsi di quello che è di Dio risulterebbe sacrilegio».
Sul campo, le soluzioni pratiche davanti alla norma sono diverse.
Nel caso australiano, alcuni preti hanno detto di rinunciare alla celebrazione della confessione per non trovarsi in una condizione difficile. Altri si sono impegnati a condizionare l’assoluzione alla ripetizione dell’ammissione di colpa fuori della confessione in modo da essere sciolti dall’obbligo del silenzio (cf. qui).
Qualche interrogativo è posto alla Chiesa anche dalla Commissione francese (Ciase) voluta dai vescovi che ha sollevato il tema abusi. Nella raccomandazione n. 8 che accompagna il corposo dossier si invitano le autorità ecclesiali ad assicurare confessori e fedeli che «il segreto della confessione non può derogare dall’obbligo previsto dal codice penale e conforme, secondo la commissione, all’imperativo di diritto naturale di protezione della vita e della dignità della persona, di segnalare alle autorità giudiziarie e amministrative i casi di violenza sessuale sui minori o persona vulnerabile» (qui).
Interrogata in merito, sr. Véronique Margron, presidente dei religiosi di Francia, ci ha detto che la questione non è togliere un segreto, ma di evitare un crimine: «Si tratta di una questione di pericolo imminente, diversa dunque dal caso della confessione di un adulto di violenze subite da bambino. Peraltro, un bambino che in confessione dice a un prete che suo padre – o un prete – gli ha fatto del male non sta confessando un peccato ma sta facendo una terribile confidenza. Di conseguenza, da un punto di vista morale, la questione del segreto non si pone, poiché non si tratta del peccato del bambino, ma del crimine di un adulto nei suoi confronti. In casi come questo e unicamente in rapporto a una situazione di pericolo imminente, penso che oggi in Francia tutti siano d’accordo di affermare la protezione del bambino in pericolo come primaria» (qui).
Salvare il sacramento oltre il segreto
Rispetto alla questione del segreto, è bene allargare lo sguardo all’insieme del sacramento della confessione. C’è da salvare ben più di un segreto, ma lo stesso sacramento.
La sua compressione in un contesto giudiziale e canonico ha tolto alla confessione la dimensione di processo, riducendola ad evento puntiforme. Ridurre il sacramento alla semplice somma di confessione e assoluzione significa ignorare lo «spazio di elaborazione del dolore del cuore, della presa di parola della bocca e del “lavoro sul corpo” che oggi facilmente viene risolto dall’assolutezza di una parola di assoluzione» (A. Grillo, qui).
Recuperare la struttura processuale del sacramento, restituire all’elaborazione della pena un suo spazio insuperabile e riaprire il dialogo con la lunga tradizione del sacramento gioverebbe alla discussione circa l’obbligo del segreto. Così come gioverebbe l’apertura al “terzo rito”, felicemente sperimentata durante il Covid. Al di là dei possibili limiti, «ovunque sia stata attuata ha registrato – non senza sorpresa – un’eco significativa. Ha raccolto un’ampia adesione dei fedeli, una partecipazione consapevole, una risposta marcata dalla gratitudine. Si è manifestato tra i credenti un bisogno di riconciliazione, un desiderio di perdono, una domanda di comunità più ampi di quanto non dicano gli scarsi accessi alla confessione individuale» (qui).
Nessun riferimento davvero spirituale nell’ articolo e nei commenti… Eppure è con lo Spirito che si ha a che fare nel sacramento. Certamente è un Sacramento che risulta assai scomodo, stante la piccola umiliazione a cui il penitente si sottopone confessando i propri peccati. Chi si umilia davvero contrito nel cuore sarà perdonato. Ma permette di accedere alla grazia dell’ Eucaristia, non dimentichiamolo. E Gesù il potere di rimettere i peccati l’ ha concesso a Pietro e agli apostoli. E quello che si chiede per il rischio pedofilia curiosamente non viene chiesto quando il penitente confessasse di aver profittato di insider trading per lucrare milioni a scapito della comunità. La casistica sarebbe infinita…
La terza forma del sacramento suggerita da Prezzi è la soluzione. Oppure introdurre una forma individuale con confessione generica dei peccati con formula standard in cui uno si riconosce peccatore e chiede il perdono a Dio.
“Il penitente confessa i propri peccati a Dio e non ad un uomo” dice il Card. Piacenza. Invece quello che riceve la confessione è proprio un uomo. O la chiesa pensa che magicamente si sia trasformato in un angelo? Nonostante tutte le retoriche di “Dio dà la grazia corrispondente”, resta un uomo. E come ci sono presbiteri che peccano in numerosi ambiti, proprio perchè restano uomini, peccano anche violando il sigillo in svariati modi. E lasciare l’intimità dei fedeli così esposta , anche dei bambini, è una vera imprudenza della chiesa. La confessione individuale con numero e specie dei peccati enumerati “di diritto divino” è una roba di Trento. Immagina una religiosa che va dal solito presbitero a confessarsi ogni 15 giorni come succede spesso… Cosa penserà questo prete di quella donna visto che gli dice solo peccati? Finisce per odiarla, perchè non ne può più. In queste estenuanti sessioni dove si mischia psicologia, confessione dei peccati, discussione spirituale e sfoghi ne esce un rapporto spesso malato di dipendenza. Quello che voglio dire è che la confessione obbligatoria come è strutturata adesso è spesso un luogo di oppressione e inutile sofferenza sia per il sacerdote che per il penitente, non è luogo di guarigione. Diciamo: dì soltanto una parola e io sarò salvato. Pensiamo davvero che il perdono divino sia condizionato a tutte queste azioni del penitente e sacerdote? Se Dio vede un briciolo di pentimento ci ha già perdonati. Bisogna ripensare profondamente questo sacramento e renderlo un luogo di gioia, indolore, di incontro con Dio. L’obiezione più grande a questa impostazione sarebbe che il sacerdote non potrebbe dare l’assoluzione se non conosce i peccati: falso. Perchè comunque il penitente viene istruito sulla necessità di riparare e pentirsi. Il giudizio divino è quello che aggiusterà le cose in ogni caso, non certo questo “tribunale terreno”. Il sacerdote fungerebbe da sigillo visibile di ciò che accade invisibilmente ogni volta che la persona si pente sinceramente, dando al pentimento ed al perdono un valore ecclesiale. I dettagli della cosa non li deve per forza risolvere lui, vanno lasciati alla provvidenza divina. Legare e sciogliere è una autorità che è stata data per aiutare le persone ad avvicinarsi a Dio non per costruire un percorso ad ostacoli. Gente che nei social chiede: convivo, posso fare la comunione? E il prete di TikTok che gli risponde: chiedi al tuo sacerdote, ci sono tanti casi….Ma vi rendete conto cosa siamo diventati? Legalisti, apostoli di un Dio crudele, che pretende il numero, la specie e le circostanze che mutano la specie. Confessione generica, abolizione del segreto perchè non ce n’è più bisogno, far confessare i bambini sempre e solo in gruppo, zero problemi con la società civile, la persona è perdonata lo stesso, il sacerdote è molto meno stressato, pensate che Dio ne sarebbe scontento? Quello vero no. L’immagine che ne abbiamo costruito si.
Ritengo che il sacramento della penitenza sia primariamente un atto religioso e come tale una realtà che non possa essere valutata da altri punti di vista e a vantaggio di altre discipline umane. Il confessore può però invitare il penitente a comunicare sia in foro esterno che all’autorità giudiziaria i reati di cui venga a conoscenza durante la celebrazione del sacramento.
Proporrei un safeguarding molto più deciso : la cancellazione tout court di un “sacramento” che nella modalità attuale è stato inventato nel XVI per contrastare la riforma protestante e controllare le coscienze. Che non pratica più nessuno che abbia meno di 80 anni . Magari allora un pedofilo sarà denunciato alle forze dell’ordine senza arrampicarsi sugli specchi e fare tante chiacchiere . Altri che obbligo del segreto ..
Caro p. Prezzi, mi hanno fatto notare il suo intervento molto opportuno sul sacramento della riconciliazione e le sue implicazioni per il safeguarding. Mi permetto di inviarle il link al servizio che avete pubblicato sullo stesso argomento qualche anno fa:
https://www.settimananews.it/sacramenti/zollner-segreto-confessionale/
Buon pomeriggio