Cina-Santa Sede: l’Accordo claudicante

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«Il vescovo Shen Bin, finora vescovo di Haimen, è stato insediato questa mattina  nella diocesi di Shanghai, in Cina (Vatican news, 4 aprile). L’insediamento è avvenuto senza il consenso di Roma, violando l’Accordo firmato nel 2020 e rinnovato provvisoriamente nel 2022.

Un acuto osservatore telefona da Pechino per dirmi: «Qui, a livello centrale, sono stati sorpresi dalla nomina e dalla possibile reazione del Vaticano. La decisione sembra non essere passata dagli organi centrali». È lo stesso sospetto registrato da Agostino Giovagnoli: lo scarso coordinamento fra politica internazionale e politica nazionale.

Del resto, il tono del portavoce del ministero degli esteri, Mao Ning, sembra voler attutire la questione: «Cina e Vaticano sono in comunicazione su questo… l’Accordo viene attuato bene. Siamo pronti a mantenere i contatti con la parte vaticana per sostenere lo spirito dell’Accordo».

Finora non c’è stata reazione da parte della Santa Sede che, invece, nel novembre scorso aveva stigmatizzato l’insediamento del vescovo ausiliare nello Jangxi, senza il consenso necessario. E aveva parlato di «sorpresa e rammarico», invitando la controparte a comunicazioni adeguate.

La violazione dell’Accordo è triplice: il consiglio dei vescovi (in capo al quale è stata presa la decisione) non è riconosciuto da Roma. Anche considerandolo come Conferenza episcopale in fieri, non competerebbe ad essa lo spostamento. Infine, ogni vescovo entra nella nuova diocesi solo su mandato del papa.

La Santa Sede, pur informata nei giorni precedenti, ha saputo dell’ingresso del vescovo dai media. Va tuttavia sottolineato che la decisione mostra il rilievo assunto dal Consiglio, fatto tutto da vescovi, rispetto all’Associazione, infeudata al partito.

Sulle orme di Jin Luxian?

Non è in questione il giudizio sulla persona di Shen Bin. Qualche mese fa, uno dei protagonisti dell’Accordo così valutava le nomine ai vertici dell’associazione patriottica (mons. Li Shan) e del Consiglio dei vescovi (Shen Bin): «Li Shan è un uomo buono, ma non ha una personalità forte. Difficile prevedere quanto potrà sottrarsi ai condizionamenti del ruolo. Shen Bin, già vicepresidente dell’Associazione patriottica e relatore al congresso (decima assemblea dei rappresentanti cattolici a Wuhan, 18-20 agosto 2022) ha un profilo più marcato. Mi ricorda Jin Luxian, il vescovo di Shanghai di alcuni decenni fa».

Shen Bin è arrivato effettivamente a Shanghai e, dopo un decennio di fatto di sede vacante dopo la morte di Luxian (2013), il ritiro dell’ausiliare Wenshi Xing e gli arresti domiciliari per l’altro ausiliare Ma Daqin, è chiamato a rivitalizzare una delle diocesi più consistenti del paese (150.000 cattolici).

Nel suo discorso di insediamento, mons. Shen Bin ha affermato di voler proseguire «la bella tradizione dell’amore alla patria e alla Chiesa cattolica di Shanghai», in aderenza ai principi di indipendenza, autogoverno e responsabilità pastorale, coerentemente con il processo di “sinizzazione” perseguito dal potere centrale. Rimanendo «nella fede che si basa sulla Bibbia e sulla santa tradizione» e seguendo «la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, nello spirito del concilio Vaticano II».

Il vescovo è stato eletto nel 2010 con il consenso di Roma e di Pechino. L’ultima assemblea dell’agosto scorso lo ha eletto alla presidenza del consiglio dei vescovi ed è stato cooptato negli 11 rappresentanti cattolici al XIV Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese.

Ha partecipato a diverse iniziative internazionali organizzate dalla Comunità di sant’Egidio a Muenster (2017) e a Bologna (2018). Dove ha sottolineato il legame con il papa della Chiesa cinese, chiedendo di distinguere il deposito della fede rispetto alle questioni amministrative. Non tutti hanno apprezzato il suo arrivo a Shanghai, memori di una sua esosa richiesta per l’ordinazione di alcuni preti locali. Una sfida particolarmente attesa è quella di sdoganare l’ausiliare Ma Daqin dagli arresti domiciliari.

“Sinizzazione” e Accordo

La vicenda del vescovo di Shanghai non cambia il quadro delle molte questioni pastorali da chiarire nel prosieguo delle discussioni sull’Accordo: il riconoscimento dei vescovi “illegali”, la definizione concordata delle diocesi, l’approvazione dei religiosi, le relazioni con le altre Chiese cattoliche ecc.

E non cambia il pesante interventismo dell’amministrazione statale su tutte le singole attività di culto e di pastorale che va sotto il nome di “sinizzazione”. Finanza, amministrazione, Internet, personale religioso: tutto è rigorosamente normato e costretto, fino a finanziare eventuali delatori per qualsiasi attività non permessa. Il governo mostra una paura non giustificata verso la rinascita religiosa che il paese conosce dagli anni ’80 del secolo scorso e che riguarda  in particolare il cristianesimo protestante.

In un’intervista a Limes (settembre 2022) il Segretario di stato, card. Parolin, ha così illustrato il senso dell’Accordo: «Scopo dell’accordo era di ottenere che tutti i vescovi in Cina fossero in comunione con il successore di Pietro e che si assicurasse l’essenziale unità delle comunità ecclesiali, al proprio interno e tra di loro, sotto la guida di presuli degni e idonei, pienamente cinesi, ma anche pienamente cattolici…  Quanto alla valutazione degli esiti dell’Accordo, mi sembra di poter dire che sono stati fatti passi in avanti, ma che non tutti gli ostacoli e le difficoltà sono state superate e quindi rimane ancora strada da percorrere per la sua buona applicazione e anche, attraverso un dialogo sincero, per un suo perfezionamento».

Vedremo se, dopo questa ulteriore violazione, il giudizio rimane lo stesso.

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