Congo-Mambasa: un missionario riapre il processo

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Roger Lumbala Tshitenga (Isaac Kasamani/AFP via Getty Images)

Ci sono processi che giudicano degli uomini. E altri che mettono a nudo una nazione.

A Parigi, non è solo Roger Lumbala a essere simbolicamente alla sbarra, ma un’intera guerra. Una guerra senza vincitori, senza memoria chiara, senza riparazione.

Per riassumere, mentre il Congo era dilaniato da conflitti armati, un’operazione militare denominata «Cancellare il quadro», condotta dalle truppe dell’RCD-N di Roger Lumbala e dell’MLC di Jean-Pierre Bemba, sconvolse la Provincia di Ituri nel Nord-Est del Paese tra ottobre e novembre 2002. Fu atroce. È tutto ciò che si può dire.

Vent’anni dopo, questa guerra continua a uccidere con il silenzio, con l’oblio, con la confusione. È quindi per i crimini commessi che uno degli autori, Roger Lumbala, viene processato dalla Corte d’Assise di Parigi.

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Ed ecco che un missionario italiano, Sacerdote del Sacro Cuore di Gesù di 87 anni, viene a turbare la verità che molti credevano stabilita (cf. qui la notizia sul sito Actualite.cd). Padre Silvano Ruaro ha visto, curato, seppellito, fuggito, nutrito. Non ha letto della guerra. L’ha vissuta. Per le tante vite che ha salvato, non si esita a definirlo «l’anima di Mambasa». Forte dei suoi 38 anni nella regione, è sicuramente la persona più adatta per parlarne.

Ma le sue parole disturbano. Perché al posto del colpevole atteso, ne indica altri: Jean-Pierre Bemba, attuale ministro dei Trasporti, e il generale Constant Ndima. E all’improvviso, questo processo si complica.

Il pericolo non è la verità che divide, ma quella che non si ha il coraggio di dire. Quello che racconta padre Silvano non è nuovo: saccheggi, stupri, esecuzioni, lavoro forzato. Ciò che sconvolge è scoprire l’identità dei carnefici. Perché da vent’anni Mambasa si racconta questa verità: Lumbala è il responsabile, Bemba lo ha sostenuto. Ed ecco che un testimone di prima mano capovolge l’ordine delle responsabilità.

La cosa sconvolge le vittime. Turba la Corte. Dà fastidio alla politica. Ma da quando la verità dovrebbe rassicurare?

Non esiste una guerra pulita. Esistono solo guerre impunite. Si vorrebbe una guerra con buoni e cattivi. Ma il Congo non offre questa confortante possibilità. A Mambasa ci furono soprattutto uomini armati senza coscienza, dei capi lontani, delle alleanze poco chiare, delle responsabilità stemperate. Padre Silvano non assolve nessuno. Dice solo questo: i crimini avevano dei comandanti. E i comandanti avevano dei nomi.

L’oblio è una seconda violenza. Le donne violentate non sono mai state risarcite. I bambini traumatizzati non sono mai tornati a scuola. I morti non hanno avuto giustizia. E intanto, capi diventano ministri. Signori della guerra si vestono da statisti. Criminali partecipano alla vita della Repubblica.

Questo è il vero scandalo di Mambasa.

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Perché questa testimonianza dà tanto fastidio? Perché mette in discussione la comodità di certe leggende. Perché sconvolge carriere ricostruite. Perché minaccia equilibri. Ma a cosa serve la giustizia se trema davanti al potere?

Alcuni sussurrano: «È vecchio, si confonde». Ma anche la memoria delle vittime invecchia. Dobbiamo squalificarla? Quando le parole disturbano, si attacca la persona. È la strategia più antica.

Mambasa non chiede nomi. Chiede giustizia. Il processo Lumbala non deve diventare un processo senza coraggio. Non si tratta di scegliere un colpevole di comodo. Si tratta di dire chi, nella realtà dei fatti, ha comandato la morte.

Anche se questi nomi fanno male. Anche se sono potenti. Anche se oggi governano. Il futuro si scrive con la giustizia o si costruisce contro la stessa. Un Paese non si ricostruisce sul silenzio. Uno Stato non si fonda su amnesie. Una pace fatta d’oblio è già una guerra futura. Mambasa sanguina ancora. E quel sangue chiede altro che discorsi. Esige la verità. Tutta la verità. Anche quando disturba.


Version française

Mambasa : quand la vérité refuse de dormir

Il y a des procès qui jugent des hommes. Et d’autres qui exposent une nation. À Paris, ce n’est pas seulement Roger Lumbala qui se tient symboliquement à la barre, mais toute une guerre. Une guerre sans vainqueur, sans mémoire claire, sans réparation. Pour la petite histoire, alors que le Congo était déchiré par des conflits armés, une opération militaire dénommée “Effacer le tableau” menée par les troupes du RCD-N de Roger Lumbala et du MLC de Jean-Pierre Bemba secoue la Province de l’Ituri au Nord Est du pays entre octobre et novembre 2002. C’était vraiment atroce. C’est tout ce que peut en dire.

Vingt ans après, cette guerre continue de tuer par le silence, par l’oubli, par la confusion. C’est donc pour les crimes commis que l’un des auteurs, Roger Lumbala, est poursuivi à la Cour d’assises de Paris.

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Et voici qu’un missionnaire italien, Prêtre du Sacré-Cœur de Jésus âgé de 87 ans, vient troubler ce que beaucoup croyaient établi. Le père Sylvano Ruaro a vu, soigné, enterré, fui, nourri. Il n’a pas lu la guerre. Il l’a habitée. Pour tant de vies qu’il a sauvées, on n’hésite pas de le qualifier d’”âme de de Mambasa”. Fort de ses 38 ans dans la région, il est assurément la personne la mieux adaptée pour en parler.

Mais sa parole dérange. Car à la place du coupable attendu, il en désigne d’autres : Jean-Pierre Bemba actuel ministre du Transport et le Général Constant Ndima.

Et soudain, ce procès cesse d’être simple. Le danger n’est pas la vérité qui divise, mais celle qu’on n’ose pas dire. Ce que raconte le père Sylvano n’est pas nouveau : pillages, viols, exécutions, travail forcé. Ce qui choque, c’est l’identité des bourreaux.

Car voilà vingt ans que Mambasa se raconte ainsi : Lumbala a frappé, Bemba a soutenu. Et voici un témoin de premier plan qui renverse l’ordre des responsabilités. Cela choque les victimes. Cela trouble la Cour. Cela dérange la politique. Mais depuis quand la vérité devrait-elle rassurer ?

Il n’y a pas de guerre propre. Il y a seulement des guerres impunies. On voudrait une guerre avec des bons et des mauvais. Mais le Congo n’offre pas ce confort.

À Mambasa, il y eut surtout : des hommes armés sans conscience, des chefs lointains, des alliés flous, des responsabilités diluées. Le père Sylvano ne blanchit personne. Il dit seulement ceci : les crimes avaient des commandants. Et les commandants avaient des noms.

L’oubli est une seconde violence. Les femmes violées n’ont jamais été réparées. Les enfants traumatisés ne sont jamais retournés à l’école. Les morts n’ont pas eu de justice. Et pendant ce temps, des chefs deviennent ministres. Des seigneurs de guerre s’habillent en hommes d’État. Des criminels participent à la République. C’est cela, le vrai scandale de Mambasa.

***

Pourquoi ce témoignage dérange-t-il autant  ? Parce qu’il interroge le confort de certaines légendes. Parce qu’il bouscule des carrières reconstruites. Parce qu’il menace des équilibres. Mais à quoi sert la justice si elle tremble devant le pouvoir ?

La vieillesse n’invalide pas la vérité. Certains murmurent : “Il est vieux. Il confond”. Mais la mémoire des victimes, elle, vieillit aussi. Doit-on la disqualifier ? Quand la parole dérange, on attaque la personne. C’est la stratégie la plus ancienne.

Mambasa ne demande pas des noms. Elle demande la justice. Le procès Lumbala ne doit pas devenir un procès sans courage. Il ne s’agit pas de choisir un coupable commode. Il s’agit de dire qui, réellement, commandait la mort.

Même si ces noms font mal. Même s’ils sont puissants. Même s’ils siègent aujourd’hui. L’avenir s’écrit avec justice ou se construit contre elle. Un pays ne se reconstruit pas sur des silences. Un État ne se fonde pas sur des amnésies. Une paix faite d’oubli est déjà une future guerre. Mambasa saigne encore. Et ce sang réclame autre chose que des discours. Il exige la vérité. Toute la vérité. Même quand elle dérange.

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