Meloni ancora in Tunisia

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migrazioni

Domenica 16 luglio, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, il capo del governo dimissionario olandese Rutte e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si sono recati a Tunisi per negoziare con l’autocrate presidente tunisino Kais Saied politiche di respingimento e di rientro dei migranti provenienti dal sud del Sahara in cambio di milioni di euro e di strumenti di controllo sia delle frontiere sud che del canale di Sicilia. Operazione che fa parte di un piano più ambizioso: blindare tutta la sponda sud del Mediterraneo ai disperati che cercano di raggiungere l’Europa attraversandolo.

Affari di stato

L’operazione è stata denominata Piano Mattei per l’Africa da parte della Meloni. L’evocazione del nome dell’artefice del decollo delle imprese di Stato in materia di approvvigionamento di combustibili fossili che ha fondato nel 1953 l’ENI, sta ad indicare uno sguardo interessato, amplificato dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino, sulle ricchezze energetiche e minerali dell’Africa, molto meno sulle necessità vitali delle popolazioni di quel continente: un profilo nettamente neocolonialista dell’operazione.

Gli accordi siglati col governo algerino, i tentativi di accordo con i ras di Tripoli e Bengasi, l’occhio strabico nei confronti dell’Egitto di Al Sisi, non toccano minimamente le condizioni degli abitanti di quei territori e tanto meno la tutela dei diritti umani delle popolazioni in fuga, che quei territori sono costretti ad attraversare. L’Europa e l’Italia in prima battuta, vogliono rispedire ai paesi di provenienza o di transito dei “pacchi umani” che arrivano, dopo la dura selezione delle peripezie e le numerose angherie subite, sulle coste italiane.

In altre parole, si chiede a governi inaffidabili, sostenuti da bande criminali legalizzate, di tenere la testa sotto l’acqua a chi cerca di disturbare gli affari con la sponda nord del mare.

I negoziati tira-molla fanno parte della storia trentennale delle migrazioni verso l’Italia. Il Bel Paese ha negoziato con tutti: Ben Ali, Gheddafi, Al Sisi… offrendo denaro, equipaggiamenti militari e dotazioni di polizia, pur sapendo che nessuno di quei paesi aveva e ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra e il Protocollo di New York.  Una dimenticanza vigliacca in cambio di gas  e petrolio.

A discapito delle persone

Da almeno due decenni il cuneo di sabbia tunisino, stretto tra le frontiere di Libia e Algeria, è teatro di respingimenti di vittime e di retate combinate tra polizia ed esercito, spesso scatenate sulla base degli interessi economici di alcune classi politiche e imprenditoriali, che, dopo anni di sfruttamento, spediscono nel deserto lavoratori e lavoratrici solo perché chiedono il dovuto per il lavoro svolto.

Il percorso tra Algeria e Niger – tra Tamanrasset e Arlit – è disseminato di tracce di resti umani e di quel che resta dei disperati sperdutisi tra le sabbie o i territori rocciosi. Le guardie di frontiera algerine portano i poveri, di notte, sul confine col Niger e da lì li “buttano” aldilà del confine con indicazioni di percorsi senza alcuna segnalazione e posti di rifugio, soprattutto senza acqua.

Analogo gioco viene perpetuato, da anni, ai confini con la Libia.  In passato tra Algeria e Tunisia non correvano buone relazioni soprattutto a causa del pericolo di attraversamento delle frontiere da parte di membri appartenenti ai movimenti jihadisti. La caccia ai migranti provenienti dall’Africa sta accomunando i due paesi tanto da allentare le tensioni storiche: il tutto benedetto e foraggiato da capitali e incoraggiamenti provenienti dall’Europa.

È di questi giorni la notizia di attacchi con armi da fuoco e da taglio ai lavoratori africani per le strade di Sfax, città tunisina da cui partono molti barchini alla volta di Lampedusa. Centinaia di cittadini stranieri sono stati catturati e portati nel deserto a sud est della Tunisia, senza acqua né cibo, totalmente abbandonati a sé stessi, con donne e bambini.

Sono deportati nella zona militare di Ras Jedir, al confine con la Libia.  Solo l’intervento, autorizzato dal governo, da parte della Mezzaluna Rossa e i suoi volontari ha permesso di raggiungere circa 630 persone sprovviste di tutto, per organizzare un minimo di assistenza. Di questi una piccola parte ha accettato di essere riportata in patria dall’OIM, mentre la maggior parte vuole proseguire il viaggio verso l’Europa.

Migranti come arma di scambio

Il 2023 sta assistendo ad arrivi di massa sia a Lampedusa sia sulle coste calabro-pugliesi. Proprio col governo populista di destra al potere sembra essersi scatenata una corsa a incentivare le partenze e gli arrivi per estorcere i maggiori vantaggi possibili, sia in danaro sia in mezzi. Era l’occasione attesa da tempo dai mercanti di carne umana, tutelati, se non addirittura sponsorizzati, da governi corrotti e senza alcuna credibilità contrattuale.

Solo l’Italia e, da un po’ di tempo, l’Unione Europea stringe con calore e riconoscenza le mani colpevoli di migliaia di lutti, mai registrati e onorati. L’accordo Unione Europea-Turchia rappresenta la matrice degli attuali accordi giocati sulla pelle degli altri.

Si calcolano oltre 40.000 morti nel Mediterraneo, ma nessuno ha calcolato pure i morti sprofondanti nel mare di sabbia del Sahara. Alcuni anni fa il Governo della Germania Federale indicava un numero potenziale, al ribasso, di 28.000 vittime, sicuramente aumentate in questi ultimi tempi: morti che non vengono documentate e restano quindi invisibili agli spettatori europei. Le morti non viste restano delle morti virtuali, da play station, che non toccano le corde dell’empatia e del cordoglio.

Il cosiddetto decreto Cutro nasce proprio dall’atteggiamento che rinfaccia le responsabilità della propria morte alle vittime, apostrofate di essere incaute nel mettersi in viaggio, come se fossero bagnanti della domenica in viaggio da Roma verso Fregene.

Traffico di esseri umani

La lotta contro il traffico di esseri umani non si risolve con “l’invisibilità” delle vittime, spesso attratte sulle vie dell’emigrazione da procacciatori di affari  che, con i complici attivi e diffusi in tutti i paesi di partenza, organizzano la truffa del viaggio verso un posto di lavoro, con la ricerca di capitali  che circolano in ambienti ben conosciuti agli investigatori europei, quantomeno  conosciuti dai mezzi di informazione coraggiosi veramente liberi e indipendenti da logiche di potere.

L’emigrazione forzata o clandestina è prima di tutto un affare per le reti mafiose intrecciate coi governi dei paesi che stipulano accordi con l’Europa. Le vittime sono solo delle pedine da spolpare con la complicità delle leggi restrittive e discriminatorie dei paesi europei.

Se si potesse arrivare in Italia come si arriva da Roma, non staremmo qui a contare i morti in mare o nel deserto.  Ma, siccome così non è, almeno non foraggiamo chi ci tiene per la collottola, perché sappiamo di essere in balìa dell’umore di chi deleghiamo a fare il lavoro sporco per noi!

Nessun Memorandum con la Libia ha ridotto il fenomeno degli sbarchi o la schiavitù di decine di migliaia di esseri umani, torturati e trattati come bestie da macello.  I proclami ipocriti di chi afferma di voler negoziare un Global Compact con l’Africa senza rispettare i figli dell’Africa che arrivano in Europa lasciano il tempo che trovano.

L’Africa ha le risorse umane per affrontare il proprio futuro – a differenza dell’Europa – anche se questo momento è segnato ancora dalla rapina delle risorse e da corruzioni letali per economie traballanti. L’Africa possiede terre fertili, non solo il deserto del Sahara. È terra ricca di materie prime, saccheggiate da vecchi e nuovi colonizzatori ammanicati con un’endemica inclinazione alla corruzione. Ma il continente saprà trovare la strada della propria autodeterminazione, politica, culturale ed economica.

Manodopera: accordi destinati al fallimento

La controparte delle migrazioni irregolari viene spesso presentata dall’adozione di normative che permettono l’ingresso in Italia senza doversi affidare agli scafisti di turno: sono i decreti dettati dalla necessità di manodopera carente nel sistema produttivo locale, non certo da sentimenti di accoglienza e protezione.

Persino l’attuale governo di destra – forse spinto più dall’insistenza degli operatori economici che dalla propria volontà politica scevra di realismo – ha deciso la programmazione della forza lavoro necessaria all’economia nazionale. Lo schema presentato col titolo Programmazione dei flussi di ingresso per il triennio 2023-2025 (Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri-esame preliminare), prevede ingressi programmati in ragione del fabbisogno rilevato.

I numeri recitano, per il 2023, 136.000 ingressi di lavoratori/trici a fronte di un fabbisogno rilevato di 274.800; per il 2024 gli ingressi sarebbero 151.000 a fronte di una necessità di 277.60 e, per il 2025, gli ingressi previsti sono 165.000 a fronte di un fabbisogno di 280.600. Sono dati pubblicati con comunicato stampa da parte del governo. Non si capisce la correlazione tra ingressi programmati e fabbisogno rilevato dallo stesso governo. Siamo in presenza di un fenomeno di dissociazione matematica?

Andando a vedere poi le mansioni ricercate, «oltre a elettricisti e idraulici», troviamo, a seguito, i settori del trasporto pubblico e delle merci, l’edilizia, il turistico-alberghiero, la meccanica, l’alimentare, le telecomunicazioni, la cantieristica navale e, infine, il lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero. Le quote privilegiano la manodopera che proviene dai paesi che sottoscrivono accordi di migrazione regolare con l’Italia e che, nel contempo, contrastano le migrazioni irregolari.

Vale la pena ricordare che tutti i programmi di reclutamento all’estero di manodopera adottati nel passato si sono rivelati fallimentari, sia per la difficoltà di riconoscere i titoli di studio, che per le stesse competenze professionali dichiarate: il mondo imprenditoriale non assume infatti personale alla cieca, senza conoscere le effettive capacità e competenze dei candidati.

Stranamente manca, nell’elenco governativo, la ricerca di personale medico e infermieristico, professioni ricercatissime nei paesi nordici, tanto che noi italiani gliele forniamo in abbondanza.

Nel mentre, l’introduzione della non rinnovabilità del permesso di soggiorno per motivi speciali a decine di migliaia di cittadini stranieri che già vivono da tempo in Italia, costituisce una miopia madornale.

Negare, inoltre, ai nuovi arrivati in attesa di esame di istanza di asilo o protezione internazionale da parte delle preposte commissioni territoriali la possibilità dello studio della lingua italiana e ogni contatto con l’esterno delle strutture in cui i migranti sono costretti, testimonia la scelta del tutto ideologica e discriminatoria, fuori da ogni necessità logica e persino controproducente.

Ma, si sa, il semplice buon senso è merce sempre più rara in questo Paese!

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