Diario di guerra /35. Risalire dal pozzo

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La pubblicazione da parte del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale del disegno in cui l’artista Maupal «spiega» la Quaresima e disegna Francesco mentre, aperto un varco nel filo spinato che caratterizza la scena, aiuta due galeotti a liberarsi dalle palle ai piedi – siglate come «odio» e «paura» – che impediscono di muoversi per uscire e ritrovare la libertà, mi ha molto colpito.

Non penso accada spesso che l’arte di strada, come quella di Maupal, venga pubblicata dai dicasteri vaticani. Vedendo quella immagine, mi sono detto che è giunta forse l’ora di chiudere questo diario. Spero di aver aiutato, in questi mesi, qualche lettore – fosse anche uno solo – a liberarsi dalle palle ai piedi dell’odio e della paura.

maupal

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Il fatto è che il costo personale dello sforzo quotidiano di calarmi nell’abisso dell’odio e della paura – e cercare di risalirne – è considerevole. Così mi sono detto di dover tornare a scrivere di ciò che mi dà più vita, in primo luogo del pontificato di Francesco, che sempre più mi appare come l’unica vera e buona notizia in questo mondo di brutte notizie: di estremismi e di disumanizzazione.

Ma, mentre mi dico questo, continuo ad aggirarmi tra le notizie – note e rimosse – del conflitto mediorientale: mi assillano. Sto pensando di allontanarmi dal pozzo dell’odio e della paura, mentre, inevitabilmente, mi sto domandando se davvero – e finalmente – ci sarà un accordo di tregua fondato sul rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e, quindi, respiro per i senza tetto palestinesi. Ovviamente lo spero. Ma anche questo spinge a tornare – sempre – al tema della guerra.

Certo, se Israele dovesse decidere di restringere per i suoi cittadini musulmani le possibilità di accesso alla spianata delle moschee di Gerusalemme nel mese di Ramadan ormai alle porte, si farà un regalo proprio ad Hamas e alla guerra di religione: lo hanno già detto autorevoli fonti militari israeliane; a che serve che io lo ripeta?

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Dicendomi questo però la mia attenzione è richiamata da una notizia trascurata quasi da tutti: giace lì da tante ore, ma vedo che non la riprende nessuno. Riguarda un polo cruciale del conflitto: l’Iran.

Un gruppo di hacker iraniani, Edalat-e ali, ha portato a galla i documenti che dimostrerebbero come la sedicenne iraniana Nika Shakarami sia stata arrestata a Teheran mentre passeggiava in una strada del centro, sia stata stuprata e quindi assassinata da membri di apparati di sicurezza, probabilmente i famigerati pasdaran o basij. Poiché non conosco la lingua farsi riferisco con il condizionale, affidandomi a quel che racconta il sito di informazione sull’Iran su cui ho letto.

Il fatto è accaduto già un paio d’anni fa, ai tempi della rivolta per l’assassinio di Masha Amini, la ragazza assassinata perché non indossava correttamente il velo, ma di lei, poi, come di Nika Shakarami non si è più parlato più. Di vittime – in circostanze simili – ce ne sarebbero, secondo i computi diffusi, circa 500.

Ma nel caso di Nika non basta. Il racconto che emerge dice che davanti al dolore della famiglia, che ne ritrovò traccia dieci giorni dopo la sua scomparsa, il suo corpo è stato trafugato dalla città di Korramabad, sottratto alla giusta sepoltura, e condotto in una località lontanissima, dove è stato interrato.

È stato Abbas Masjedi Arani, capo dell’Organizzazione di Medicina Legale – secondo la ricostruzione di quanto documenterebbe l’hackeraggio dei documenti segreti iraniani – a scrivere una lettera «molto confidenziale» al Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, affermando esplicitamente: «Nell’esame dei genitali erano evidenti segni che indicavano un’aggressione o un rapporto sessuale violento».

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La notizia mi ha lasciato attonito. E non è neppure la sola che meriterebbe attenzione in quel mazzo di documenti che gli hacker hanno scovato e portato a galla.

Intendo isolare il fatto iraniano perché compreso da un sistema di cui va presa piena consapevolezza, un buco nero che risucchia la vita di tantissime iraniane e di tantissimi iraniani di cui non parliamo più. Mi chiedo: cosa ci determina a rimuovere o a non voler sapere, a leggere solo di alcune cose e non di altre?

Quel che accade nel mondo e non soltanto in Medio Oriente – basti citare il caso Navalny e l’impossibilità di tacere, come ha benissimo scritto su SettimanaNews Germano Monti – mi riporta alla massima di Spinoza: «Le azioni umane non vanno lodate, derise, detestate, ma comprese». Ove «comprendere» ovviamente non significa «giustificare»: vuol dire comprendere cosa abbia causato o consentito un evento, nobile o detestabile.

Con questa chiave di obiettività, penso che i peggiori regimi vadano «capiti», per scoprire cosa determini le derive più tragiche e, così – solo così – creare i presupposti del mutamento, delle dinamiche, dei fini e dei destini: che si tratti di questo o di quello.

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«Capire» non vuol dire certo – come qualcuno sostiene – aspettare che, ad esempio, sul caso Navalny faccia luce la magistratura russa: sarebbe come attendere lumi sul caso di Nika dalla magistratura iraniana.

Sarebbe un errore altrettanto madornale condannare tutto il cristianesimo ortodosso quale base «ideologica» del regime di Putin. Cristiano ortodosso – praticante – era lo stesso Alexej Navalny, come religiosi sono tanti musulmani, iraniani e non solo, vittime dei mullah.

È l’uso delle religioni che va, quindi, smascherato o che va colto nell’uso politico dei regimi, evitando di dipingere interi quadri in bianco e nero.

Ancora una volta cerco di risalire dal pozzo in cui si annidano l’odio e la paura. Cerco una via – non certo lo scontro di civiltà – che possa aprire alle verità degli altri; e loro alla nostra. Questa strada esiste, è tracciata: si chiama Documento sulla Fratellanza Umana, quello firmato ad Abu Dhabi nel 2019.

È la «scala» per risalire dal pozzo. A tanti chiedo: la vogliamo usare? È certamente possibile e il disegno di Maupal lo rende a tutti noi evidente.

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