Fermare la guerra

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Nelle giornate di martedì 28 e mercoledì 29 giugno la carovana StopTheWarNow ha fatto tappa rispettivamente a Odessa e a Mykolaïv in Ucraina. Emanuele Giordana vi ha partecipato sia come rappresentante dell’associazione Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo (https://www.atlanteguerre.it/), sia come giornalista professionista.

  • Caro Emanuele, quando e come è nata l’iniziativa della carovana della pace in Ucraina?

La paternità della carovana – Stop the war now – è dell’associazione Papa Giovanni XXIII che l’ha condivisa sul nascere subito dopo l’invasione dell’Ucraina, non solo con tante altre realtà del mondo cattolico, ma anche con tante altre realtà del mondo laico. Le comuni aspirazioni possono essere così semplicemente riassunte: no alla violenza, no alle armi, costruiamo la pace, portiamo aiuti umanitari!

La coalizione è rapidamente cresciuta in questi mesi sino a raggiungere più di 170 organizzazioni aderenti, dalle più piccole alle più grandi – di ispirazione religiosa e non -, Italiane, ma con proiezione europea – tanto che il sito è: https://www.stopthewarnow.eu/, senza condizionamento di influenze politiche partitiche.

Poiché il numero degli organismi è grande, mi è difficile citarne alcuni e non altri. Ma devo per forza dire che ha aderito la stessa Conferenza episcopale italiana, tanto che a questa seconda spedizione ha partecipato il vescovo Francesco Savino, da maggio vicepresidente della Conferenza episcopale per l’Italia meridionale.

Una prima carovana aveva già raggiunto Leopoli nello scorso mese di aprile, con 15 automezzi carichi di aiuti alimentari e farmaci. Nel ritorno aveva accompagnato in Italia circa 300 sfollati fragili dalla guerra: disabili e anziani. Questa seconda carovana di giugno ha raggiunto, con un minor numero di automezzi, Odessa e Mykolaïv, portando ancora aiuti umanitari alla rete delle Caritas in Ucraina.

Odessa

La differenza tra la prima e la seconda spedizione sta nell’aver questa volta fisicamente raggiunto – con la presenza di poco meno di 50 rappresentanti – un’area in cui il conflitto è acceso, così come le cronache di questi giorni peraltro ci ricordano.

  • Raccontaci il primo giorno a Odessa…

A Odessa ha avuto luogo la conferenza stampa caratterizzante, con la partecipazione dei vescovi rappresentanti le Chiese: cattolica latina, greco-cattolica, ortodossa ucraina. Tutti hanno fatto discorsi molto forti sulla parte russa. Chiaramente ce lo aspettavamo, ma forse non con tale forza, stante gli intenti di promozione della pace della nostra carovana. I vescovi ucraini hanno fatto capire di essere per la resistenza armata, anche se non hanno espressamente parlato di armi.

Alla fine, è intervenuto un prete cattolico con un testo scritto – quindi presumo concordato col suo vescovo – con cui ci ha detto che dalla loro gente il papa non è molto amato, perché fa troppi discorsi sulla non violenza, mentre là c’è bisogno di armi. Penso che un po’ tutti i religiosi ucraini presenti avessero e abbiano quella posizione. Sapevamo, ma sentirlo dire ci ha fatto un certo effetto.

  • Chi è intervenuto per la carovana?

Tonio dell’Oglio – noto presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi -, Alberto Capannini della Comunità Papa Giovanni e naturalmente mons. Savino. Penso che loro siano stati molto bravi a ricondurre gli interventi nell’alveo della comprensione, trovando margini di apertura al dialogo, per quanto questo fosse difficile. Fare il discorso della non violenza a persone sotto le bombe e gravemente colpite negli affetti e nei beni, non era e non è affatto semplice. È stato un momento comunque vibrante.

È mancata una voce laica della carovana, benché gli organizzatori abbiano fatto di tutto perché la stessa non prendesse un’impronta del tutto religiosa.

  • Sono intervenute altre figure locali, oltre a quelle religiose?

Purtroppo no: c’era un consigliere comunale ma poi se n’è andato o ha dovuto andarsene, ed è mancata la voce della società civile ucraina che pure era stata cercata dai promotori in loco, ma non è stata trovata.

È intervenuta una signora della Caritas di Odessa, ma sempre come espressione cattolica. Il fatto che fossero presenti tutte o quasi le espressioni delle Chiese – insieme – non era comunque scontato. Ritengo sia stato un fatto di rilievo in Ucraina.

  • Qual è il clima di guerra che hai percepito a Odessa e poi a Mykolaïv?

La prima impressione a Odessa è che quasi non ci sia la guerra o che la popolazione ci si sia abituata. Era una città di un milione di abitanti. Non so quanti siano rimasti. C’è pochissimo traffico per le strade. Sono risuonate ripetutamente le sirene lunedi e martedì scorso, ma non abbiamo visto la gente correre nei rifugi.

I missili che arrivano ad Odessa sono relativamente pochi. [Ma è notizia di stamattina – 1° luglio – il missile caduto nel sobborgo della città di Odessa che ha fatto più di 20 morti]. Molte attività sono chiuse, ma dove sono aperte ci sono persone che cercano di vivere – diciamo – normalmente.

Mykolaïv

A Mykolaïv – 130 chilometri da Odessa – abbiamo trovato una situazione ben diversa: abbiamo visto una città letteralmente militarizzata, soprattutto verso nord e verso est, cioè dai lati in cui c’è stata l’avanzata russa, poi respinta. Abbiamo visto le trincee preparate per respingere altri possibili attacchi. Abbiamo visto militari dappertutto. In lontananza qualcuno ha sentito i colpi dell’artiglieria.

Mykolaïv era una città di 450.000 abitanti. Ora saranno la metà. Il centro dista 15 chilometri dal fronte: l’ultimo sobborgo è a soli 7 chilometri.

La gente che è rimasta vive in una situazione davvero molto difficile, da tutti i punti di vista. Basti pensare che la città si trova all’estuario del fiume Dnipro che sfocia nel Mar Nero: è una città seduta su una laguna di acqua salmastra. I militari russi hanno colpito e messo fuori uso l’impianto di desalinizzazione per la produzione di acqua potabile. Così la gente non ha l’acqua. L’orrore della guerra l’abbiamo visto nelle lunghe file di persone in attesa di ricevere l’acqua, appunto, il cibo e altri aiuti.

  • A Mykolaïv è avvenuto un altro incontro?

C’è stato un incontro più informale. Siamo stati ospitati da un religioso, definito pastore. Nella casa è arrivato un consigliere comunale. Si è intuita bene la sua posizione governativa, ma devo dire che ha immediatamente capito il contesto e la ragione per cui eravamo nella sua città.

Ci ha ringraziato non solo perché stavamo portando gli aiuti alla Caritas – evidentemente d’intesa col suo Comune – ma soprattutto perché eravamo lì, fisicamente, appunto, a correre un certo rischio. In fondo, avremmo potuto mandare dei camion carichi di roba, come fanno da quasi tutti i Paesi occidentali. Le sue parole hanno dato una certa emozione.

Non ci ha chiesto armi, anche se probabilmente la pensava anche lui in quel modo: ci ha chiesto, anzi, di aiutare la sua città a dare acqua potabile alla gente. Perciò con la prossima spedizione cercheremo di fornire piccoli impianti di desalinizzazione per potabilizzare l’acqua che viene sollevata dai pozzi scavati nei cortili interni agli edifici ancora popolati. Ha insistito sulla forza della nostra presenza fisica.

  • Come pensa la gente? Avete avuto modo di parlare?

Siamo stati in alcuni Centri in cui sono raccolti gli sfollati che sperano di poter tornare nelle loro case, ovvero di allontanarsi, anche in Europa. Alcuni venivano da Mariupol. Hanno raccontato le loro storie: tremende. Avevano necessità di raccontare le loro sofferenze, di dire dei loro cari che sono morti. Nessuno, nonostante questo, ha parlato di armi, almeno con me.

La gente
  • Quali sentimenti hai percepito nei confronti degli invasori russi?

Il consigliere comunale di Mykolaïv di cui ho detto, ci ha spiegato che la metà della popolazione della sua città era “russofona”: non solo perché di lingua russa, ma anche perché, di per sé, simpatizzante della Russia.

Dopo l’invasione la maggior parte dei russofoni ha cambiato completamente idea: anche se hanno esposto la bandiera russa – diceva – lo hanno fatto per evitare ritorsioni. Mi è parsa una versione attendibile: un conto è simpatizzare in un tempo di pace, sia pure relativa, altra cosa è vedersi arrivare le bombe russe sulla casa. Questo è per dire che con la guerra tutto può cambiare.

  • Questa gente vuole andare avanti ancora a lungo con la guerra?

Non so. Ho saputo che c’è un discreto numero di ragazzi che stanno entrando in età di leva militare che stanno scappando dal loro Paese. Non saprei dire però quale sia l’entità del fenomeno. Quello che è certo è che ai 18 anni scatta l’obbligo militare e questo vuol dire che possono essere mandati al fronte. Farsi disertore significa andare in guai seri.

Non è facile scappare: i controlli alle frontiere sono severissimi.  Se sono pronti a correre questi seri rischi pur di non andare in guerra, ciò potrebbe dire qualcosa. Abbiamo visto più di un diciottenne ai posti di blocco…

Ho raccolto poi – per la verità di seconda mano – qualche critica al governo di Zelensky, perché la gente si sente abbandonata ai propri problemi di vita quotidiana: l’acqua, l’elettricità, il cibo, il lavoro, i guadagni ecc…

Non stupisce: trovo normale che, in una situazione di guerra, il governo possa essere percepito come un regime. Del resto, criticare il governo non vuol dire essere, nel loro caso, filorussi. Ne sappiamo qualcosa in Italia!

Secondo me, dopo 4 mesi, la gente sente tutto il peso devastante della guerra: anche la guerra di difesa che è apparsa all’inizio sacrosanta può apparire odiosa, sempre più. Questo mi sembra un percorso naturale.

La carovana
  • Gli stranieri come vengono visti? Tu come ti sei sentito?

C’è un episodio – pur sempre un episodio ma vissuto in prima persona – che posso raccontare: mentre stavo facendo una foto ad un palazzo dove erano stati appostati sacchi di sabbia di difesa, un signore mi ha strappato il cellulare: aveva tutta l’aria di essere un cittadino comune con la sua bambina. Ha fatto intervenire la gendarmeria nel timore che io fossi una spia.

Ho spiegato ed è finita lì, ma dopo aver cancellato l’unica foto dove si vedevano sacchetti di sabbia a difesa di un edificio.  Mi sembra un esempio del clima di sospetto nei confronti degli stranieri tipico di ogni guerra. Purtroppo, tutte le guerre si assomigliano.

  • È stato fatto qualche bilancio della spedizione? Il tuo, qual è?

Non è stato fatto ancora un bilancio, anche perché a breve – a metà luglio – è prevista una nuova e forse più ampia carovana. La prospettiva è di poter arrivare ad avere presenze fisse delle associazioni per la pace a Leopoli, Kiev, Odessa, col proposito di stabilire legami con organizzazioni della società civile ucraina, ciò che ancora manca. Solo la società ucraina può volere la pace e adottare modelli di pace. Noi possiamo solo aiutare.

La mia considerazione è che la pace è sempre un grande percorso in salita, soprattutto per chi è direttamente coinvolto. Non dico nulla di nuovo. Noi non siamo ucraini. Penso tuttavia che iniziative di questo tipo siano molto importanti per capirsi, per trovare punti di comprensione e di rispetto da posizioni sicuramente diverse. Poi da cosa può nascere cosa.

Dopo esperienze come questa risulta con chiarezza che il problema della guerra non può risolversi con le armi o solo con le armi. La gente ha bisogno di molto di più: capisce e apprezza chi porta altro o chi porta semplicemente la propria umanità.

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Un commento

  1. Roberto 12 luglio 2022

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