L’«inutile strage» di Gaza. La Santa sede tra diplomazia e censura

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Foto LaPresse

«Si fermi l’inutile strage di innocenti». La frase campeggiava sulla prima pagina de L’Osservatore romano del 18 luglio scorso. Ne rendeva inequivocabile il significato la sua collocazione su una fotografia dei funerali di due delle vittime del bombardamento israeliano sulla chiesa della Sacra Famiglia nella striscia di Gaza.

Si trattava di una ripresa, alla lettera, di un brano del comunicato che la Sala stampa vaticana, tramite il suo canale Telegram, aveva pubblicato per dar conto di una telefonata del pontefice. Era intercorsa con il cardinale Pizzaballa, al momento in cui questi, assieme al patriarca ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, entrava nella martoriata striscia palestinese.

Portavano aiuti ad una popolazione massacrata da continui attacchi militari e ridotta allo stremo dagli ostacoli posti, persino con l’uso delle armi, al rifornimento di viveri, acqua e medicinali.

Non sappiamo se il papa abbia effettivamente espresso quelle parole oppure se si tratti di una riformulazione del discorso papale compiuto dal servizio informativo della Santa sede. Nell’articolo del quotidiano vaticano il termine “strage” ricorre altre volte. Anche nella riproduzione virgolettata di un discorso tenuto dal patriarca latino. Mai però si accompagna all’aggettivo “inutile”.

Nel comunicato della Sala stampa, relativo al colloquio telefonico svoltosi tra il primo ministro israeliano e il pontefice, non appare nemmeno il termine “strage”. Né questo sostantivo si trova negli interventi pubblici che – almeno nella versione fornita dall’ufficiale sito vaticano, peraltro in ristrutturazione – ha finora tenuto Leone XIV.

La censura di Benedetto XV: la Chiesa davanti alla guerra

Eppure, non si può non rilevare l’importanza che, sia pure attraverso un ufficioso canale di comunicazione, assume l’utilizzazione del sintagma “inutile strage”. La locuzione ha una forte capacità evocativa.

Nella memoria ecclesiale rinvia infatti alla censura espressa, nella celebre nota dell’agosto 1917, da Benedetto XV nei confronti della Grande guerra. In larga misura riaffiora in chiave autoassolutoria. Consente infatti di evitare la riflessione sulle pesanti compromissioni delle chiese nazionali, a partire da quella italiana, nella legittimazione etica di quella immane tragedia.

Ma il richiamo al sintagma va oltre la funzione consolatoria della memoria. Gioca un ruolo importante nella definizione dell’atteggiamento della Chiesa verso la guerra. Asserire l’inutilità di un conflitto sgretola infatti l’impianto della tradizionale dottrina della guerra giusta.

Il criterio di fondo che ha tradizionalmente portato alla moralizzazione della violenza bellica sta nella considerazione che, pur trattandosi di un male, essa può diventare necessaria. Una volta costatato il fallimento di tutte le possibili vie negoziali, i governanti ricorrono lecitamente alle armi, quando esse costituiscono il solo strumento per ripristinare la giustizia violata nelle relazioni tra i popoli.

Ovviamente, se il ricorso alle armi è dichiarato inutile, tale presupposto cade. La guerra diventa allora puramente e semplicemente un male che non ha alcuna giustificazione etica.

La ripresa di papa Francesco

Papa Francesco – come ha mostrato il bel libro di Giovanni Cavagnini, Inutile strage. Storia di una locuzione (Biblion, 2024) – aveva ampiamente fatto ricorso al sintagma. Lo collegava ad una tesi che aveva sintetizzato in una sua celebre frase: «non esistono guerre giuste, non esistono».

Poi Bergoglio aveva mutato accenti di fronte alle contingenze della storia. In particolare, davanti all’invasione russa dell’Ucraina, si era trovato costretto ad affrontare il problema di una presa di posizione sulla liceità morale della legittima difesa. Il pontefice aveva allora affermato che la guerra è «sempre un errore».

La comunità ecclesiale era perciò chiamata a rivedere, approfondendola, la dottrina della guerra giusta. Intanto, però, la Santa sede la manteneva come punto di riferimento per orientare fedeli. Ci si trovava in una situazione in cui essi non si erano attrezzati per mettere in campo nuovi mezzi, come la non-violenza attiva, idonei ad arrestare lo scatenarsi della violenza distruttiva delle armi.

Non a caso proprio a questa concezione si era richiamato il Segretario di Stato, cardinal Parolin, per definire la posizione di Roma in ordine alle operazioni militari condotte dal governo di Gerusalemme nella striscia di Gaza.

Nel settembre 2024 in un discorso pronunciato nell’autorevole cornice delle Nazioni Unite, egli si rifaceva infatti alla tradizionale dottrina della guerra giusta. Richiamava in particolare il criterio della proporzionalità nella risposta militare ad un ingiusto attacco, come era quello perpetrato da Hamas. Proprio il massacro di innocenti civili compiuto dalle truppe israeliane ne metteva in dubbio la liceità morale.

La Santa Sede e la condotta di Israele

Il ricorso al lessico della “inutile strage” della Sala stampa vaticana sembra ora indicare un mutamento nella linea della Santa sede nella valutazione della condotta di Israele a Gaza. La questione si sposta infatti dall’adempimento di uno dei criteri della guerra giusta – la proporzionalità della risposta militare all’attacco di Hamas – al nucleo profondo di questa dottrina: la legittimità di una risposta militare ad un ingiusto attacco.

Infatti, se si tratta di una guerra inutile, cade ogni sua possibile giustificazione etica in chiave di legittima difesa. Agli occhi di Roma l’operazione militare israeliana su Gaza non sembra più costituire un atto condotto secondo modalità che ne possono mettere in questione la moralità, ma è in se stessa un atto immorale. Non mira infatti a ripristinare una giustizia violata, ma costituisce un mero atto di immotivata violenza.

Occorre ancora attendere per vedere se il discorso pubblico di Leone XIV recepirà questo mutamento. Intanto, nell’edizione del 19 luglio del quotidiano vaticano, il termine “strage” è scomparso. Per contro è ricomparso sulle sue pagine il termine “proporzionalità”.

Forse siamo ancora all’interno del gioco diplomatico tra potenze. Il governo di Gerusalemme ha giustificato il bombardamento della chiesa della Sacra Famiglia con l’affermazione che si è trattato di un errore. Senza rispondere che i comportamenti in atto nella striscia di Gaza non danno alcun credito a una simile asserzione – in modo da mantenere distese relazioni tra poteri – la Santa sede ha fatto trapelare, per via giornalistica, che siamo vicini ad un limite non superabile.

Verso una censura di Leone XIV?

Insomma, oltre a moniti, esortazioni, invocazioni e preghiere, Leone XIV potrebbe giungere a esprimere una censura morale. Il ricorso al lessico dell’”inutile strage” ne sarebbe l’evidente manifestazione. La presa d’atto di questo spostamento della linea vaticana non può però evitare una riflessione.

Se il passato dice ancora qualcosa agli occhi all’odierna stagione del presentismo, non si può infatti dimenticare che non ha giovato alla Chiesa puntare sulle regole felpate della diplomazia tra attori politici di cui si riconosce la rispettabilità, qualunque cosa facciano, anche genocidi. Gli archivi vaticani oggi ci restituiscono inequivocabilmente la cecità del diplomatico Pio XII davanti alle atrocità della guerra nazifascista.

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7 Commenti

  1. Lorenzo M. 21 luglio 2025
  2. Maria 21 luglio 2025
    • Angela 21 luglio 2025
    • Giampaolo Sevieri 22 luglio 2025
  3. Marco M. 20 luglio 2025
  4. Dora Marucco 20 luglio 2025
    • Angela 21 luglio 2025

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