Israele, il dilemma della risposta

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gaza

Davide Assael, ebreo italiano, Presidente della Associazione Lech Lechà per una filosofia relazionale, voce radiofonica di RAI Radio 3, è editorialista del quotidiano Domani e della rivista Limes. Giordano Cavallari lo ha intervistato dopo il feroce attacco di Hamas a Israele.

  • Caro Davide, tu hai amici e conoscenti in Israele: qual è stata la tua prima reazione – emotiva – al sopraggiungere delle drammatiche notizie?

Ovviamente di sorpresa, come per tutti. Negli ultimi anni, complice il disgregarsi dello scenario medio-orientale, il conflitto israelo-palestinese era scivolato ai margini. In molti, me compreso, denunciavano un pericolo in questo processo di marginalizzazione, ma nessuno si aspettava un attacco così improvviso. Soprattutto di queste proporzioni e con questa modalità. I miei parenti e amici, dislocati un po’ in tutte le aree del Paese, fortunatamente stanno bene. Grazie.

  • Perché un attacco di tale violenza e portata proprio ora? Cosa lo ha indotto?

Non è facile rispondere. L’ipotesi più probabile è il tentativo di Hamas di candidarsi a leader del mondo palestinese, magari riuscendo a inserirsi negli Accordi di Abramo che si stanno siglando sulla testa di Gaza e di Cisgiordania, che scontano anche la radicale e pluriennale divisione interna, che non rende nessun interlocutore affidabile in un eventuale tavolo di trattativa.

In questo modo, Hamas tenta pure di vincere la concorrenza interna della Jihad islamica, che da anni la insidia all’interno della Striscia di Gaza, ove non è stata in grado di migliorare in niente le condizioni di vita dei palestinesi, affidandosi solo a una inutile strategia di provocazione violenta nei confronti di Israele.

Non è, poi, chiaro il ruolo dell’Iran, che resta ambiguo, oscillando fra larvate rivendicazioni e prese di distanza da quanto accaduto. Chiaramente, l’Iran si ritiene vittima dell’asse israelo-sunnita, che si stava profilando con gli Accordi di Abramo, e, come dimostrano gli accordi stipulati nel marzo scorso con l’Arabia Saudita e la successiva riapertura delle rispettive ambasciate, un ruolo sembra poterselo e volerselo comunque ritagliare in questo Medio Oriente che cambia. Gli conviene buttare tutto all’aria per Hamas? Forse, posto quanto accaduto in Nagorno-Karabakh, ove l’Iran potrebbe sostenere una reazione armena, con un piano strategico ad ampio raggio di riacquisto di posizioni in Medio Oriente in contrasto con gli Accordi di Abramo. Personalmente non credo molto a questa ipotesi, ma in questo mondo abbiamo visto saltare qualunque regola: per cui tutto può essere.

L’impressione è che Hamas sia sostanzialmente isolata e che non abbia incontrato nemmeno il sostegno del mondo arabo e della Turchia, al di là delle tiepide, quanto scontate, dichiarazioni.

  • La cosa che più impressiona è il coinvolgimento dei civili: inermi, incolpevoli. Quale sarà la reazione della opinione pubblica israeliana, ora?

La reazione è, come sempre, in una società civile animata da un riconosciuto spirito critico, ben visibile anche in questi mesi, ed è assai articolata. Ci si compatta di fronte allo sdegno suscitato dalla indegna carneficina di Hamas. Si tratta, evidentemente, di episodi di rara crudeltà e viltà, persino per quelle zone di mondo che ne hanno viste molte negli ultimi decenni.

Si è quindi uniti in nome della sicurezza del Paese, ma le critiche al governo sono pure molte e pesanti. Si è dimostrata, a dir poco, fallimentare la strategia di concentrarsi sulla Cisgiordania, spostando truppe dai confini con Gaza e Libano, per sostenere il folle piano di annessione de facto di Netanyahu stesso e dei suoi scomodi alleati di governo. Si è pensato di controllare i confini con apparati tecnologici invece che con le truppe. Il risultato è stato che semplici deltaplani si sono dimostrati efficaci nel mantenersi al di sotto del raggio dei radar e le barriere di protezione sono state abbattute in ottanta e più punti perché sguarnite.

carro armato

AP Photo/Gil Eliyahu via Lapresse

  • Questa operazione produrrà un indebolimento o un rafforzamento politico di Netanyahu?

Netanyahu tenterà di accreditarsi come uomo forte chiamando a raccolta il popolo dietro di sé e ne approfitterà per cercare di far entrare nel governo i leader dell’opposizione Lapid e Ganz, liberandosi della sua componente razzista e suprematista che troppi imbarazzi, soprattutto verso sauditi e USA, gli sta creando.

È possibile si formi un governo di unità nazionale, ma dubito che basti a salvare Netanyahu dal suo definitivo declino politico. I suoi problemi personali non interessano più a nessuno, in uno scenario così catastrofico.

Si è fatto, in queste ore, il parallelo fra oggi ed il 1973, proprio perché, anche in quel caso, Israele si fece trovare impreparato. Ecco: in quel caso Golda Meir – allora Primo ministro – si dimise. Logica vuole che a Netanyahu tocchi la stessa sorte.

  • Quali sono i riflessi di politica internazionale che tu vedi all’orizzonte?

Secondo me, come temuto invece da molti, quanto accaduto non fermerà gli Accordi di Abramo. Hamas mi pare troppo isolata. Certo, Israele dovrà essere molto molto bravo a calibrare la reazione, che si annuncia durissima. Deve mettere a fuoco un obiettivo dell’offensiva di terra. Ma ancora non è chiaro quali siano le intenzioni finali. Rioccupare Gaza? E chi la gestirebbe? Eliminare Hamas? E chi al suo posto? L’ANP non è in grado di governare nemmeno la Cisgiordania e la Jihad islamica, se possibile, appare persino peggiore dei macellai di Hamas.

  • L’attacco è avvenuto nella Festa di Sukkoth: è possibile stabilire un parallelo con la guerra di Kippur, come è stato detto? Davvero nel giorno della festa l’apparato militare israeliano era distratto da altro? C’è comunque una simbolica religiosa nella scelta di attaccare nei giorni delle feste ebraiche?

Sicuramente la scelta della data, il cinquantenario esatto della Guerra di Kippur, non è casuale. In guerra, tanto più in Medio Oriente, i simboli contano. Ma io sarei cauto a creare paralleli. La guerra del 1973 è stata davvero quella che più ha messo a rischio l’esistenza dello Stato ebraico. Oggi, per quanto Hamas abbia di molto implementato la sua capacità militare, non è assolutamente in grado di poter vincere sul campo una guerra con Israele.

Le cose si complicherebbero se si aprissero altri fronti, ad esempio al Nord con Hezbollah. Ma, come detto, io non credo molto a tale ipotesi. Sarebbe, credo, già successo per approfittare dell’effetto sorpresa. Ma non metterei la mano sul fuoco su nulla. Troppe le previsioni sbagliate da parte degli analisti in questi anni. L’impressione è che si continui a leggere un mondo nuovo con categorie vecchie.

  • Cosa si prepara: altro sangue?

Sì, e molto.

gaza

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7 Commenti

  1. Aurelio Ascoli 17 ottobre 2023
    • Giampaolo Sevieri 20 ottobre 2023
  2. Gian Piero 13 ottobre 2023
    • Anima errante 13 ottobre 2023
      • Gian Piero 14 ottobre 2023
        • Anima errante 14 ottobre 2023
  3. Pietro 13 ottobre 2023

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