Libano: a piccoli passi tra grandi sfide

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I cento giorni dalla costituzione del Governo che tenta di creare un nuovo Libano, quello che punta a creare un Libano post-bellico, hanno coinciso con la non semplice celebrazione delle elezioni amministrative, sebbene manchi ancora il delicato test dell’effettivo svolgimento delle elezioni nel devastato Sud del Paese. Essere riusciti in questo non è poco, ma l’ultimo banco di prova nella zona dove permangono cinque postazioni. dell’esercito israeliano in territorio libanese sarà la prova decisiva. Se tutto andrà bene il Governo e il Presidente della Repubblica avranno titolo per parlare di successo. Non è affatto scontato, la presenza di soldati israeliani rende la situazione estremamente tesa. Domenica 25 maggio vedremo come andrà.

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Il quadro politico che emerge dalle elezioni amministrative sin qui svolte, e che il voto al Sud se ci sarà non cambierà, indica tendenze rilevanti: nel campo cristiano la disfatta è tutta del Fronte Patriottico Libero dell’ex presidente Michel Aoun, che paga l’alleanza con Hezbollah e la gestione inadeguata da parte del genero dell’ex presidente. A fare la parte del leone in questo campo sono state le Forze Libanesi del nemico ferreo di Hezbollah e dei suoi alleati, Samir Geagea.

Soprattutto nel cruciale Monte Libano il campo cristiano rispecchia, in buona parte, il vero problema della politica libanese: essere ancora pienamente confessionale e bloccata alla forma che assunse ai tempi della guerra civile, divampata ormai cinquant’anni fa. A quel tempo Michel Aoun andò in esilio, Geagea in prigione; oggi, con la famiglia Gemayel, più volte nella storia arrivata alla Presidenza della Repubblica, sono ancora i titolari del campo cristiano.

È questa arcaicità ferma all’egemonia dei tempi della guerra civile che rende i libanesi assai distanti dalla politica organizzata, come conferma il bassissimo tasso di partecipazione al voto amministrativo a Beirut, la città che da sola fa quasi mezzo Libano. Beirut ci aveva provato alle passate amministrative a dire come cambiare la politica: fallì per pochi voti la sfida alla «casta» e ora le urne sono quasi vuote. I signori della «casta» capiranno?

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Chi ha avuto un buon risultato è Hezbollah, che conserva il suo consenso e questo potrebbe essere un problema se ci fosse ancora un progetto iraniano, ma potrebbe essere un aiuto se qualcuno dentro Hezbollah, capita la lezione della storia, pensasse di proporre ai suoi di diventare un partito libanese, cioè disarmato come gli altri, e non più una milizia che risponde a un progetto politico iraniano. Se così fosse infatti si potrebbe dire che Hezbollah regge anche senza il ricatto delle armi.

È un’idea nella testa di qualcuno di quel partito? Molto difficile a dirsi. Molto dipende dal negoziato in atto tra Iran e Stati Uniti. Ma più che agli interessi iraniani Hezbollah dovrebbe interessarsi alla tutela degli interessi degli sciiti libanesi, ancora al centro di una questione sociale evidente e grave, per l’antica discriminazione socioeconomica che hanno patito e poi anche per l’uso che Hezbollah ha fatto della loro «povertà», strumento utilissimo all’indottrinamento, alla milizianizzazione.

Se Hezbollah diventasse un partito libanese, difendendo gli interessi socio-economici della comunità di fede in cui nasce e non quelli di un progetto colonialista made in Teheran, questa comunità potrebbe finalmente dar voce anche ad altre voci, liberandosi di quel marchio di uniformazione forzata.

Non è difficile vedere che, come tutte le comunità economicamente svantaggiate, anche quella sciita percentualmente cresce, ma questa forza numerica è stata penalizzata perché Hezbollah ha impedito il fermento culturale e il libero confronto su cosa servirebbe meglio gli interessi degli sciiti in Libano. In ogni caso il disarmo effettivo di Hezbollah è ancora il nodo.

È stato quasi ultimato nel Sud, come previsto dagli accordi sul cessate nel fuoco, e non era scontato. Ma è evidente che sta arrivando al pettine la questione di disarmare anche nel resto del Paese. Interessante notare che questa tematica, il controllo delle armi da parte dello Stato e non di soggetti miliziani, unisce Iraq, Siria e Libano in un confronto dal quale dipende l’esistenza stessa di questi Stati traballanti. In campo libanese non c’è solo Hezbollah con «armi improprie» ma anche gruppi collegati, mentre in Siria e Iraq l’elenco è estesissimo e conflittuale.

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Nel campo sunnita il voto amministrativo ha fatto emergere la scontata conferma della crisi: una miriade di liste si sono confrontate in quello spazio senza che si vedesse né a Beirut né a Tripoli un nuovo soggetto politicamente diffuso su tutto il territorio nazionale.

La fine dell’esperienza politica riconducibile alla famiglia Hariri, o per meglio dire a Rafiq Hariri, il compianto premier martire, ucciso da operativi di Hezbollah stando a quanto stabilito dal Tribunale Internazionale per il Libano, è tutta nel «fallimento dinastico» dell’erede Saad Hariri, che ha ufficializzato che nessun candidato era riconducibile al movimento fondato da suo padre, «Futuro».

Saad Hariri pensa di rientrare in scena dopo la tabula rasa a cui il suo campo è giunto? C’è un’altra strada per uscire dalla polverizzazione? È il vero interrogativo, che c’era prima e che rimane confermato dopo il voto, benché la mano sotterranea di Saad Hariri si veda per alcuni in una lotta tutta sunnita che ha danneggiato il vero capolavoro di suo padre nel Comune di Beirut: realizzare anche lì la parità islamo-cristiana, che a discapito dei cristiani nel Consiglio Comunale non c’è più.

Dunque occorre guardare alla nuova leadership nazionale. Il nuovo Presidente, il cristiano maronita Joseph Aoun, è il vero uomo nuovo, portatore di un’idea di Stato moderno, sebbene anche lui sia un ex generale, come tutti i suoi recenti predecessori. Joseph Aoun potrebbe essere il traghettatore dei cristiani fuori dai vecchi pozzi politici fermi agli anni della guerra civile, e che quindi ormai sanno di «casta».

Avrebbe bisogno di interlocutori con cui creare un sistema post-confessionale, come invocato dalla stessa costituzione libanese da trent’anni. Uno c’è, è il premier, sunnita, Nawaf Salam. Ma lui appare troppo moderno, troppo liberal, in passato anche radical, un giurista formato nelle migliori università europee. Il suo governo, formato da figure non interne ai partiti, ma tutte qualificate e stimate, sta facendo molto bene. Ma Salam, da tecnico di prestigio internazionale prestato alla politica, nei panni del federatone dei sunniti appare proprio un sogno «futuribile».

Bisognerà dunque vedere se i sauditi decideranno di intervenire in qualche modo, investendo anche politicamente su un nuovo Libano attraverso una nuova leadership sunnita.

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Con la celebrazione di elezioni amministrative in tutto il Paese, se così sarà davvero, si potrà dire che le elezioni politiche si avvicinano davvero e il rinnovamento della classe dirigente appare sempre più urgente, è difficile che si possa immaginare un rinnovamento istituzionale con questa classe dirigente. Probabilmente, come fu ai tempi di Rafiq Hariri, si riterrà che prima si cambiano gli uomini, poi le strutture, l’architettura, le forme dello Stato, della «democrazia consociativa» libanese. Sin qui la consociazione appare e limitata ad alcune famiglie.

Uscire dal confessionalismo permanendovi non è facile, ma il Libano deve fare i conti con questo rompicapo. Aoun e Salam, con un buon rapporto personale sebbene con qualche incomprensione, stanno facendo molto per portare il Libano fuori dai limacciosi bassifondi dove la vecchia politica, con responsabilità equamente distribuite, lo ha fatto sprofondare.

Possono vantare non solo la bonifica del Sud, ma anche l’avvio della riforma del sistema bancario (vero snodo di un’altra, indispensabile bonifica, quella etica) la riforma del sistema giudiziario, che diverrebbe finalmente autonomo dal potere politico. Dagli Emirati Arabi è stato tolto il divieto di recarsi in Libano, segnale importantissimo per tornare a guardare con fiducia al futuro e sperare che presto segua anche l’Arabia saudita.

È chiaro che la pretesa di Hezbollah di sequestrare la politica nazionale di difesa ha avuto un peso preponderante, ma anche la vecchia casta ha fatto il suo nella paralisi sociale, nel gioco corruttivo, nella deriva lottizzatoria. Joseph Aoun e Nawaf Salman non hanno molto tempo per districarsi in questa terribile matassa e trovare il modo per tornare a coinvolgere la popolazione nella costruzione del futuro Paese. Un successo avrebbe certamente ricadute anche in Siria e Iraq. Nel bene e nel male il Libano è diventato un modello

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