Media in tempo di guerra

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Il diritto all’informazione è garantito a tutti, nello spirito dell’articolo 24 della Costituzione congolese del 28 febbraio 2006. Da esso dipende la libertà di stampa, di informazione, di trasmissione per radio, televisione, stampa scritta o qualsiasi altro mezzo di comunicazione.

La presenza dei media nei conflitti armati che portano alla guerra non è una novità. Informare il pubblico sull’andamento delle operazioni militari era uno dei compiti della grande stampa popolare del XIX secolo. Da questa missione è nata la figura del “giornalista di guerra”.

Ogni intervento armato, ogni conflitto militare ha portato con sé una schiera di giornalisti. Secondo Hervé Coutau-Begarie, il tempo dei media fa la sua comparsa a partire dal XVIII secolo, con la proliferazione dei giornali, della stampa militare erudita, ecc. Ma anche oggi siamo colpiti dal potere dei media (giornali, ma soprattutto televisione, radio, siti web di notizie e social network), in tempo di guerra come in tempo di pace.

L’informazione continua a essere uno dei motori della guerra. Come Cesare, durante le sue campagne militari in Gallia circa duemila anni fa, o Napoleone, attraverso i suoi “bollettini” due secoli fa, erano in grado di informare l’opinione pubblica sull’andamento dei conflitti, ovviamente con notizie sempre buone e decisioni sempre positive, con vittorie drammatizzate e sconfitte minimizzate, così fanno oggi alcuni governi.

Si tratta di “informazione dal fronte”, controllata e manipolata per servire gli interessi di un conquistatore di alto profilo, ma non è giornalismo di guerra. E questo a scapito degli abitanti delle zone di guerra, come quelli del Kivu, che da decenni subiscono una guerra ingiusta.

Questa manipolazione dell’informazione non è una novità. Già nel 1921, lo storico Marc Bloch pubblicò le sue riflessioni sulle false notizie di guerra. In esse mostrava come, in tempi di guerra, le false informazioni si diffondano con la stessa rapidità dei tempi di pace. Che interesse hanno i politici a distorcere la realtà? È l’interesse personale.

La natura equa dei media audiovisivi e scritti dello Stato congolese, in quanto servizio pubblico, è diventata obsoleta? L’imparzialità e il pluralismo delle opinioni sono presenti nel trattamento e nella diffusione delle informazioni? Leggendo le notizie presentate dai media, sui fronti di guerra in Ucraina, la Striscia di Gaza e l’est della Repubblica Democratica del Congo in particolare, possiamo negare il notevole impatto dei media?

Sebbene alcune guerre siano coperte dai media e altre siano silenziate, possiamo affermare senza timore di smentita che i media sono una vera e propria arma di guerra.

Va notato che, così come i media sono usati per alimentare le guerre, sono anche indispensabili nel processo di pace. I media rompono il silenzio in tempo di guerra. Ci forniscono informazioni che ci permettono di condividere gli stessi sentimenti delle persone che vivono il disastro.

Ad esempio, un giornalista impegnato che si trova in una zona di guerra mette a rischio ciò che gli è più caro (la sua vita). Merita di essere trattato bene. Cerchiamo di essere coscienziosi. Lasciamo che i media prendano il loro posto in totale indipendenza.

  • Bonheur Moyo è studente presso la facoltà di legge dell’Università UOR di Butembo e collaboratore della rivista J’écris, Je crie.

« Le droit à l’information », est garanti à toute personne selon l’esprit de l’article 24 de la constitution congolaise du 28 février 2006. Ainsi, la liberté de la presse, de l’information, de l’émission par la radio, la télévision, la presse écrite ou tout autre moyen de communication en dépend. La présence des médias dans les conflits armés qui engendrent la guerre n’est pas nouvelle. Informer l’opinion sur le déroulement des opérations militaires est une des taches de la grande presse populaire d’opinion du dix-neuvième siècle. Cette mission donne naissance au personnage du « journaliste de guerre ».

Chaque intervention armée, chaque conflit militaire entraine dans son sillage une multitude de journalistes. Selon Hervé Coutau-Begarie, le temps médiatique fait son apparition à partir du dix-huitième siècle quand se multiplient les journaux, la presse militaire savante, … Mais de nos jours, on est aussi frappé par la puissance des médias (journaux, mais surtout télévision, radio, sites d’information et réseaux sociaux), en temps de guerre comme en temps de paix. L’information continue d’être un des nerfs de la guerre. De la même façon que César, au cours de ses campagnes militaires en Gaules il y a environ deux mille ans ou Napoléon, à travers ses « bulletins » il y a deux siècles, ont su informer le public du déroulement des conflits, avec bien évidemment des nouvelles toujours bonnes sous leur plume et décisions toujours bonnes, des victoires montées en épingle et les défaites minimisées, de ma même manière, certains gouvernements les font aujourd’hui. Il s’agit bien là d’une « information sur le front » contrôlée et cali-brée pour servir les intérêts d’une haute personnalité en conquête, mais pas de journalisme de guerre. Et cela au détriment des habitants de la région en guerre comme ceux du Kivu par exemple qui, depuis des décennies, se voient subir une guerre injuste.

Cette manipulation de l’information n’est pas un fait nouveau. Déjà en 1921, l’historien Marc Bloch publiait des réflexions sur les fausses nouvelles de la guerre. Il y montrait comment, en temps de guerre, les fausses informations se diffusent aussi rapidement , et ce, plus qu’en temps de paix. Quel intérêt les politiques trouvent-ils donc à tordre le cou à la réalité ? C’est l’intérêt égoïste.

Le caractère équitable des médias audiovisuels et écrits de l’Etat congolais étant que service public est-il devenu obsolète ? L’impartialité et le pluralisme d’opinions dans le traitement et la diffusion de l’information sont-ils présents ? A lire l’actualité telle que présentée par les médias, les fronts de guerre en Ukraine, dans la Bande de Gaza, à l’Est de la République Démocratique du Congo notamment pouvons-nous nier l’impact considérable des médias ? Si en effet certaines guerre sont hypermédiatisées et que pour d’autres, on assiste au silence-radio, on peut se dire sans peur d’être contredit que les médias sont une véritable arme de guerre.

Notons en passant qu’autant les médias servent pour alimenter les guerres autant ils sont indispensables dans le processus de paix. Les médias rompent le silence en temps de guerre. Ils nous font parvenir les informations pour que nous partagions le même sentiment que la population en vie désastreuse. En titre exemplatif, un journaliste dévoué se trouvant en milieu de guerre met en péril ce qui lui est cher (la vie). Il mérite un bon traitement. Soyons consciencieux. Que les médias prennent leur place à toute indépendance.

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