Moldavia: Chiese nelle elezioni

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Maia Sandu.

Il 28 settembre gli elettori moldavi hanno ridato la maggioranza dei voti al partito filo-europeo (PAS) di Maia Sandu (oltre 50%) bloccando l’opposizione filo-russa di Igor Dodon al 25%. Il risultato elettorale di una nazione che non supera i due milioni e mezzo di abitanti può sembrare irrilevante, mentre costituisce un importante risultato geo-politico.

Come ha detto il primo ministro polacco Donald Tusk: «avete fermato la Russia nei suoi tentativi di assumere il controllo dell’intera regione». Per Bruxelles, che è scesa in campo in forme esplicite, il risultato garantisce un limite rispetto agli appetiti egemonici di Mosca nell’area, ma soprattutto la conferma della compattezza del progetto europeo (cf. qui).

Le due Chiese ortodosse fra Mosca e Bucarest

In un contesto in cui come è successo nelle elezioni georgiane del 2024 e in quelle rumene recenti i servizi russi hanno messo in campo tutte le armi di una guerra ibrida (attacchi informatici, allarmi bomba, compravendita di voti, disinformazione social ecc.) la tenuta del fronte filo-europeo ha dovuto fare i conti anche con spinte e metodi manipolatori della estrema destra rumena filo-russa.

E perfino dell’ideologia MAGA statunitense che ha dato voce in una conferenza nella capitale (Chisinau, luglio 2025) alle reti anti-europee. Un contesto in cui non sono mancate le contrapposte mire nelle Chiese ortodosse, l’una di obbedienza russa e l’altra di ceppo rumeno.

Nel piccolo paese che fra il 1993 e il 1999 ha visto crollare la ricchezza nazionale al 60% e un dissanguamento demografico passando da oltre 4 milioni ai due e mezzo attuali e la cui unità è minacciata dalle pretese indipendentiste della regione filo-russa della Transnistria e filo-turca della Gagauzia (cf. qui) il consenso alla fede cristiana arriva al 95%. Dividendosi però fra la Chiesa di obbedienza russa e quella, fortemente in crescita, di ceppo rumeno.

In una intervista al settimanale cattolico austriaco Die Furche (28 agosto), Maia Sandu ha denunciato la Chiesa filo-russa di diffondere disinformazione e paura. Essa rivestirebbe un ruolo centrale nella propagazione delle “narrazioni” moscovite e nell’uso strumentale dei riferimenti ai “valori tradizionali”, familistici e anti-omosessuali. Dipinge l’Europa come «una sentina del male mentre la Russia sarebbe a difesa dei vari valori».

La Chiesa ortodossa filo-russa sarebbe parte della guerra ibrida che il processo elettorale ha portato alla luce. Ha fatto girare la voce che il suo destino sarebbe quello della Chiesa non autocefala in Ucraina (estromissione dalla legalità) in vista di una unificazione territoriale con la Romania.

In una intervista alla rivista bulgara Glasove, uno dei sei vescovi filo-russi, mons. Markell di Balti e Falesti (9 luglio) ha denunciato la Chiesa ortodossa filo-rumena della diocesi di Bessarabia di perseguire la spaccatura della Chiesa maggioritaria sul territorio, di ignorare i suoi diritti e di infrangere l’integrità ecclesiale in una corsa che arriverà allo scisma come è successo per l’Ucraina.

Ha denunciato come spergiuri e traditori i numerosi preti e comunità parrocchiali che sono passati all’obbedienza del patriarcato rumeno: una pseudo-chiesa che «esprime una sorprendente sintonia con tutte le iniziative anti-cristiane delle autorità attuali e una totale inazione contro la propaganda di relazioni “non tradizionali” (omosessuali)». Lamenta la persecuzione dello stato che favorisce il passaggio di proprietà alle comunità filo-rumene e che si permette di multare «centinaia di fedeli, compresi degli ecclesiastici, che si erano recati in pellegrinaggio in Russia».

Dentro la disfida elettorale

Il richiamo della Chiesa del paese confinante si fonda sulle radici rumene dei principati del XIV secolo, la prevalenza della lingua rumena (ora confermata per legge), la doppia cittadinanza di circa 600.000 moldavi e la crescente irritazione popolare contro la guerra in Ucraina. Tanto più che in Transnistria vi è una base importante dell’esercito russo.

Uno scontento espresso a suo tempo anche dal metropolita Vladimir, filo-russo. In una lettera a Cirillo e al sinodo russo del 2023 scriveva: «Purtroppo Mosca non ha ancora capito che la gente della Moldavia ha radici latine ed è del tutto naturale che (le persone) si sforzino di ottenere vicinanza e farsi riconoscere in questo spazio di civiltà, dopo secoli di artificiosa divisione, senza per questo tradire in alcun modo l’ortodossia» (cf. qui). Dissenso presto rientrato nel momento in cui le sue richieste (finanziarie, di scelta di alcuni vescovi e altre) sono state esaudite. L’espansionismo ecclesiale del patriarcato rumeno (cf. qui) si giova delle radici tradizionali come anche dell’appartenenza “occidentale” del paese e del suo governo.

Da parte del vescovo Pietro, filo-romeno, non ci sono state particolari esposizioni nel momento elettorale, ma il risultato del voto conferma le sue attese. Meno rilevanti dal punto di vista civile rispetto alle Chiese ucraine, nondimeno anche nel caso moldavo esse hanno mostrato di essere parte del conflitto politico.

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