
«Tutto si sta risolvendo. Oggi è un giorno storico per la pace. Con Netanyahu abbiamo parlato di come porre fine alla guerra a Gaza nel quadro più grande di una pace eterna nel Medio Oriente». Con queste parole il presidente americano Trump ha iniziato la conferenza stampa congiunta con il premier israeliano Netanyahu, in cui ha enunciato i venti punti del suo piano per la pace a Gaza.
E le reazioni internazionali hanno confermato il suo ottimismo. Il piano ha riscosso l’unanime approvazione dei governi di tutto il mondo. In particolare, i leader europei, da Ursula von der Leyen a Emmanuel Macron, che ultimamente erano apparsi piuttosto critici verso politica di Israele nella Striscia, hanno reagito positivamente a quella che hanno considerato, per usare le parole della presidente, un passo importante verso «la soluzione dei due Stati», che rimane, a loro avviso, «l’unica strada percorribile per una pace giusta e duratura».
Entusiasta la reazione del Governo italiano. La premier Giorgia Meloni ha ringraziato Trump «per il lavoro di mediazione e i suoi sforzi per portare la pace in Medio Oriente. L’Italia esorta quindi tutte le parti a cogliere questa opportunità e ad accettare il Piano». Da parte sua, il vice-premier Matteo Salvini ha definito la notizia «splendida», avvertendo che «nessuno deve sabotare questo accordo prezioso». Meloni non ha fatto altro che esprimere l’opinione comune in questo momento: grazie a Trump – ancora più convinto, adesso, di meritare il premio Nobel per la pace – si è arrivati finalmente a un accordo giusto e ragionevole che può porre fine a tante sofferenze di innocenti e la responsabilità di ratificarlo o respingerlo ricade ora solo su Hamas.
Accordo o ultimatum unilaterale?
Qualche dubbio, però, non può non emergere se si guarda con un po’ di attenzione quello che sta accadendo. A cominciare da ciò che Meloni ha definito, in un primo commento, «mediazione» e, in una successiva dichiarazione, «accordo per la pace», dandone il merito al presidente americano.
«Mediazione» e «accordo» tra chi? Manca la controparte.
Non è stato Hamas, che pure lo è nella realtà e il cui assenso, infatti, è riconosciuto dallo stesso Trump decisivo. Non è stato neppure l’Autorità Nazionale Palestinese, che pure, a differenza di Hamas, riconosce Israele. Ma anche questa legittima rappresentanza del popolo palestinese non è riconosciuta, a sua volta, dal Governo di Tel Aviv ed è guardata con diffidenza da quello di Washington, che pochi giorni fa ha addirittura negato ai suoi rappresentanti il visto per entrare negli Stati Uniti e partecipare, come avrebbe pieno diritto di fare, all’Assemblea dell’ONU.
Nessuna meraviglia che non sia stata invitata, non dico per discutere il piano, ma almeno per esprimere le esigenze del popolo di cui esso definisce il futuro.
Le parole della nostra premier e di quanti, nel mondo occidentale, le ripetono, sono dunque una finzione linguistica per coprire il fatto che siamo davanti a un progetto scritto sulla testa degli interessati, senza neppure ascoltarli, e costruito in base ai loro progetti.
Che già, peraltro, essi avevano espresso senza mezzi termini fin dalla precedente conferenza-stampa congiunta, tenuta all’indomani dell’insediamento del Tycoon alla Casa Bianca, in cui avevano annunciato il proposito di trasformare la Striscia di Gaza in un resort di lusso.
Un progetto che ora, pur con qualche importante modifica (non si parla più di deportazione in massa degli abitanti della Striscia), è in fondo ripreso nel piano presentato ora, dopo qualche mese.
Adesso questo proposito si è trasformato in un vero e proprio ultimatum, rivolto certamente ad Hamas, ma in definitiva al popolo palestinese: se non ci si piegherà al diktat unilaterale di Stati Uniti e Israele, sarà l’inferno, e non solo per i terroristi, ma prima di tutto per la popolazione civile, anche se è difficile immaginare qualcosa di peggio di quello che ha già dovuto subire.
Il fantomatico «Stato palestinese»
Una seconda perplessità (per usare un eufemismo) nasce dal fatto che i soli garanti della corretta realizzazione dei venti punti elencati nel piano saranno i suoi stesi autori, Trump e Netanyahu.
Quest’ultimo, proprio per la sua politica verso Gaza, è stato giudicato colpevole, dalla Corte Penale Internazionale, di «crimini contro l’umanità» e di recente è stato accusato, da una Commissione indipendente dell’ONU e da autorevoli intellettuali – anche ebrei e israeliani, come David Grossmann – di essere responsabile di genocidio.
Quanto a Trump, si è sempre senza riserve schierato dalla sua parte, fino al punto di perseguitare con pesantissime sanzioni chiunque avallasse quelle accuse, dai giudici della stessa Corte alla relatrice dell’ONU per Gaza Francesca Albanese.
A questi due personaggi, ufficialmente nemici del popolo palestinese, non solo si deve l’ideazione del piano sull’assetto da dare a questo popolo, ma è affidata anche la sua applicazione. Ruolo tanto più delicato in quanto molti punti del piano stesso non contengono precisazioni cronologiche e lasciano indeterminato il futuro.
Primo fra tutti quello che ha spinto molti Governi, fautori della soluzione dei «due Stati» ad accogliere con favore questo piano, la nascita, finalmente, di uno Stato palestinese.
La soluzione prevista è, in realtà, che a governare Gaza sia «un comitato tecnocratico e apolitico» composto da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, con la supervisione di un nuovo organismo internazionale di transizione, il «Board of Peace», che sarà presieduto dal Presidente Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da decidere, tra cui l’ex Primo Ministro Tony Blair» (n. 9).
Questo «fino a quando l’Autorità Nazionale Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme (…) e potrà riprendere il controllo di Gaza in modo sicuro ed efficace» (ivi). Solo allora «potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese, che riconosciamo come l’aspirazione del popolo palestinese» (n. 19).
Formule al condizionale, fortemente ipotetiche, e comunque aperte a qualunque possibile scadenza temporale. Chi deciderà quando le «condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese» si saranno finalmente realizzate? Evidentemente non i palestinesi.
E poiché i promotori e i garanti del piano sono due nemici acerrimi e dichiarati dell’ipotesi stessa di uno Stato palestinese – «Non si farà mai!», ha gridato anche recentemente Netanyahu, approvato in pieno da Trump – non è da maligni sospettare questo percorso, già ora rimandato a un lontano e ipotetico futuro, non comincerà mai.
Come sembra confermare, del resto, il fatto che nel piano non si dice nemmeno una parola sul destino della Cisgiordania, la cui progressiva occupazione illegale da parte degli insediamenti israeliani, secondo l’ultima dichiarazione del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, «seppellirà l’idea di uno Stato palestinese». A questi insediamenti il piano non prevede alcun freno, avallando tacitamente la prospettiva del ministro.
Ancora una volta siamo davanti a una evidente smentita delle commosse dichiarazioni diplomatiche che lo hanno salutato come una porta aperta verso il giusto riconoscimento della patria palestinese. I tanti governanti che hanno detto questo o non avevano letto bene il testo, oppure non hanno visto l’ora di scaricarsi del problema posto nell’opinione pubblica, dalle stragi in corso a Gaza, sacrificando la verità e la giustizia alla loro cessazione.
La rinascita del colonialismo
Nel frattempo a governare la Striscia sarà il «Board of Peace», «presieduto dal Presidente Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da decidere, tra cui l’ex Primo Ministro Tony Blair» (n. 9).
Vero è che nel piano si dice che «Israele non occuperà né annetterà Gaza» (n. 16) e che, a differenza del progetto originario enunciato all’inizio di quest’anno da Trump e Netanyahu, essi assicurano nel testo attuale che «nessuno sarà costretto a lasciare Gaza, coloro che lo desiderano saranno liberi di farlo e di tornare», aggiungendo anzi: «Incoraggeremo le persone a rimanere e offriremo loro l’opportunità di costruire una Gaza migliore».
Ma non certo come cittadini liberi e indipendenti. Gli unici nomi menzionati nell’organismo destinato al controllo del territorio palestinese sono quello del presidente americano e di un ex primo ministro inglese. Siamo in una logica che ha caratterizzato tutta la storia del colonialismo: per il bene degli indigeni è meglio che siano gli occidentali a decidere al posto loro – come è stato nell’«accordo» che ha dato vita al piano – e a esercitare il potere sulle loro terre.
Con quali intenti e con quale stile lo dice tutta la storia del colonialismo. Quel che è certo è che l’ex premier Tony Blair – noto per aver collaborato alla falsificazione delle prove portate dal presidente americano Bush per aggredire gratuitamente, nel 2003, l’Iraq – si è da tempo dato a una fiorente attività economica e finanziaria. E poiché Gaza è considerata oggi, per usare le parole del ministro Smotrich, «una miniera d’oro immobiliare», si delinea già la prospettiva di uno sfruttamento sistematico della Striscia da parte dei Paesi occidentali e di Israele, che ne è stato, ne è e ancor più ne sarà il fido partner democratico nella barbare terre mediorientali.
E, in questa logica, potrà essere anche realizzata quella idea del resort di lusso da costruire sulle macerie, annunciata da Trump e Netanyahu nella loro prima conferenza stampa congiunta. Ai palestinesi – a quelli che non sono morti di fame o per i bombardamenti –, visto che non avranno diritti politici, potrebbe essere affidato il compito di personale di servizio nella futura Gaza Beach.
Quanto al controllo militare, gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e internazionali per sviluppare una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) temporanea da dispiegare immediatamente a Gaza», a cui le truppe israeliane «cederanno progressivamente il territorio di Gaza che occupano» (n. 16).
Resta, anche qui, indeterminato il momento di questo passaggio di consegne. E uno dei proponenti/garanti del piano, Netanyahu, ha già chiarito che «l’esercito israeliano resterà su gran parte della Striscia di Gaza». Come aveva sempre detto. Non sembra esagerato quello che ha scritto il New York Times secondo il quale, con questo patto, il premier israeliano ha avuto tutto ciò che voleva. Giusto premio per il genocidio compiuto.
- Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 2 ottobre 2025







“”Dove fanno il deserto lo chiamano pace”” è una frase di Tacito che denuncia l’imperialismo romano e che, verosimilmente, ben si attaglia alla situazione odierna nella Striscia di Gaza
Negare che l’accordo un discorso sia in realtà un ultimatum e che l’attuale politica americana sia una politica imperialista (e quindi inevitabilmente neocolonialista) mi sembra – a mio modestp giudizio – difficilmente sostenibile. D’altronde, gli esponenti dei think tank di destra americani dicono fin troppo chiaramente quale è la loro visione del mondo e dell’America e quali sono gli obiettivi che si sono posti.
@Gazzato. No Sig.ra Gazzato, non dimentico la strage del 7 ottobre, ma non dimentico neppure 80 anni di apartheid del popolo palestinese. Lei e molti altri quella sofferenza non la ricordano o fanno finta non sia esistita. Non è iniziato tutto il 7/10; è una lunga catena di violenza e di dolore quella che lega indissolubilmente questi due popoli.
C’è una tendenza generale, purtroppo, ad analizzare solo l’ultimo miglio del percorso. Questo è metodologicamente sbagliato. Le radici dei conflitti sono sempre profonde e se si vuole estirpare la pianta bisogna scavare.
Che quello palestinese sia un genocidio lo dicono i massimi esperti in materia. E’ un fatto, non un’opinione. Non è peraltro utile paragonarlo ad altri genocidi per sminuirne l’importanza. Peraltro il genocidio compiuto da Hitler a la minimizzazione di quello compiuto da Netaniahu sembrerebbe voler giustificare quest’ultimo; sarebbe un modo abbastanza “basso” di argomentare le proprie idee.
L’ideologia non c’entra nulla; qui ci sono persone. Decine di migliaia di civili morti, maggior parte dei quali bambini, donne, vecchi, malati, disabili. Questa è umanità, non ideologia.
Per quanto concerne l’Ucraina i russi da tre anni e mezzo guerreggiano, ma stanno fronteggiando un esercito fortissimo, da noi armato, finanziato ed in parte condotto. La maggior parte dei morti sono militari, dovrebbe saperlo. La Russia ha violato il diritto internazionale, certamente; infatti è stata sanzionata e boicottata com’è giusto che sia. Israele no. Perché? Riguardo il fatto abbia attaccato non provocata è un punto di vista non condiviso da molti; l’allargamento della NATO a est è un fatto, richiamato anche dall’ex pontefice o da ignoranti come Jeffrey Sachs.
Ma da due loschi figuri come questi, che hanno l’interesse personale innanzi a tutto, possiamo davvero immaginare possa venire qualcosa di buono?
“Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?”
Il Papa questo 30 settembre ha chiamato l’accordo “realista” ed espresso la speranza che Hamas accetti: io sono con lui. Non dobbiamo remare contro gli spiragli di pace solo in nome dell’ideologia (come la parola “neocolonialismo” suggerisce). Lo dico con il massimo rispetto verso il dott. Savagnone, il cui intento sono certo non sia gettare benzina sul fuoco.
Gentile Sig. Fabio, il Papa ha solo salutato con gioia la fine del massacro, come tutti. E in questo anche io sono con lui. Ciò non esclude un giudizio critico di ordine politico più analitico e approfondito, che è quello che io ho cercato di esporre in questo chiaroscuro. La ringrazio di non attribuire i miei rilievi all’intento di gettare benzina sul fuoco. Mi perdoni, però, se respingo l’accusa di parlare «in nome dell’ideologia (come la parola neocolonialismo suggerisce)». Con lo stesso rispetto che lei ha per me, e che apprezzo, le faccio notare che il tema del colonialismo e del neocolonialismo non è patrimonio di una ideologia, ma del linguaggio degli storici. Per indicare «lo sfruttamento territoriale realizzato con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi» (Enciclopedia Treccani). Qui la variante è che, al posto di “europee”, bisogna mettere “occidentali”, perché l’Europa è coinvolta, tramite il nome di Blair, ma il soggetto principale è Trump, in stretto collegamento con quella propaggine dell’Occidente che è Israele. E della «trasformazione del sionismo da progetto volto a dare agli ebrei una patria, in una impresa “di tipo coloniale”» parla la storica ebrea Anna Foa nel suo recente libro «Il suicidio di Israele».
Ho capito, ma prendo dal Manifesto (cartaceo) di questa mattina: “”La sorpresa non è venuta da Hamas è stato Trump a sorprenderci” ci diceva ieri un giornalista di Gaza commentando il si, seppur parziale del movimento islamico al piano americano.”
https://ilmanifesto.it/hamas-approva-il-piano-di-trump-ma-non-si-disarma
Quando si parla di ideologia si intende un atteggiamento tipo: poichè lo ha detto Trump deve essere per forza “coloniale” perchè si analizza la situazione tramite dei paraocchi politici estremamente partigiani. Poi Trump magari otterrà qualche successo non perchè è buono ma solo perchè si è stancato della guerra che gli toglie consensi, perchè ha davvero fretta di specularci su, perchè nel suo narcisismo vuole prendere il premio per la pace come Obama, non si giudica l’intenzione, si analizza il piano in sè, per vedere se ha un minimo di possibilità di successo ecc. Buttarsi subito a giudicare secondo la propria appartenenza politica inficia la credibilità di questo o altri siti. Entri e sai già che è un sito apertamente schierato e fai la tara da solo, anche se non ti prendi il disturbo di farlo notare. Non si è espresso solo il Papa, anche Pizzaballa ieri ha inviato un commento insolitamente “speranzoso” alla diocesi del patriarcato latino. Prima di buttarvi a commentare potreste ogni tanto cercare semplicemente di spiegare, in cosa consista il piano, cosa sta avvenendo ecc., in modo che i lettori possano avere gli strumenti per giudicare da sè, senza imboccargli analisi e risposte preconfezionate.
Gentile Sig.ra Sara, leggo con profonda tristezza il suo invito: «Prima di buttarvi a commentare potreste ogni tanto cercare semplicemente di spiegare, in cosa consista il piano, cosa sta avvenendo ecc., in modo che i lettori possano avere gli strumenti per giudicare da sè, senza imboccargli analisi e risposte preconfezionate». La tristezza è dovuta al fatto che o lei non ha letto il mio articolo o non l’ho letto io. Perché quello che avevo scritto è tutta una analisi punto per punto del piano di Trump ed era volto precisamente a far rendere conto ai lettori, sulla base del testo, che esso in realtà – sia per quello che dice (citavo testualmente le parole del piano sul futuro Stato palestinese, tramandato alle calende greche), sia per quello che non dice (il silenzio sulla Cisgiordania è un tacito assenso all’attuale dilagare degli insediamenti che, secondo gli stessi ministri israeliani, renderanno impossibile un o Stato palestinese) – è la tomba del progetto dei “due Stati”, in nome del quale tutti i governi, incredibilmente, lo hanno salutato come un passo avanti decisivo! Lei ha scritto: «poiché lo ha detto Trump deve essere per forza “coloniale” perché si analizza la situazione tramite dei paraocchi politici estremamente partigiani». Nell’articolo che o lei o io non abbiamo presente, quando io l’ho scritto il riferimento ai proponenti – Trump e Netanyahu – era non alla loro persona, ma a quello che hanno detto prima, durante e dopo la proposta del piano ed è servito comunque solo a confermare la mia lettura, del testo, visto che entrambi hanno dichiarato con forza che uno Stato palestinese non nascerà mai. Ad ogni buon conto, dopo il suo messaggio, andrò a rileggerlo. Ma forse non sarebbe male che lo facesse anche lei.
Posto che tutti i commenti (compresi i miei ovviamente) rispecchiano la posizione di chi li esprime, in questo caso basta il titolo: “dal genocidio al colonialismo” dato che riassume bene il tono dell’analisi.
Che per carità è legittima, ma nel suo amplificare lo scarto tra l’entusiasmo di Trump e del governo, fino a parlare di “fantomatico” o “ultimatum” chiarisce bene l’antipatia dello scrivente per il governo, Trump e gli accordi.
https://www.terrasanta.net/2025/10/trump-per-la-pace-a-gaza-e-in-medio-oriente/
Questa già è un’analisi più serena.
https://formiche.net/2025/10/sul-piano-usa-voto-responsabile-ma-va-migliorato-le-manifestazioni-no-alle-derive-parla-quartapelle/
Questo pure, per carità, capisco che sia troppo centrista, ma se lo è lo è proprio perchè è molto radicale la lente di questa pagina.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/07/vaticano-gaza-parolin-leone-tensioni-news/8152407/
Questo articolo di Grana ad esempio: in che modo dovrebbe esserci uno scontro tra Parolin e il Papa attuale? ieri sera Leone ha chiarito come Parolin abbia espresso perfettamente la posizione della santa sede. Sono alcuni esempi per mostrare come un lettore attento debba muoversi in una marea di giudizi personali che spesso ricoprono i fatti stessi che dovrebbero raccontare. E’ veramente, ma veramente difficile orientarsi.
il piano di pace è meglio di un piano di guerra, Trump farà i propri interessi e però ormai la situazione era ingovernabile. Trump non ha pregi, solo difetti, ma se riesce a far finire la mattanza sarà anche un suo merito e dei paesi arabi vicini che finalmente hanno battuto un colpo.
Condivido la soddisfazione per la possibile fine della “mattanza” di civili palestinesi. Ma che l’unica alternativa ad essa fosse il piano Trump, come si sente dire e come è presupposto nel sospiro di sollievo di tutti i governi, è falso. Ce n’era un’altra, quella che da tre anni si sta adottando nei confronti di un’altra “mattanza” – di proporzioni umane meno spaventose, ma comunque tremende – che é quella della guerra in Ucraina. In quel caso, giustamente, per fermarla si sono varate durissime sanzioni contro la Russia (diciannove pacchetti solo dall’Europa). Nemmeno una, invece, è stata decisa, in due anni di massacri, dai paesi occidentali (con la sola eccezione della Spagna), nei confronti Israele. Nemmeno quelle che implicavano il blocco delle forniture di armi! Anzi, da parte di Trump, c’è stato il sostegno incondizionato allo Stato ebraico. Ora gli attribuiamo il merito di far cessare il massacro da lui avallato e da tutti i nostri governi permesso perché il suo piano accetta le richieste del criminale di guerra e genocida Netanyahu (a dirlo è il New York Times) – anche se non quelle degli ultraortodossi ancora più estremisti – , miscelandole con i gli interessi economici degli immobiliaristi occidentali (con la complicità dei paesi arabi, che hanno stretto da poco accordi economici miliardari con gli Stati Uniti). E se nel prossimo piano Trump suggerisse di cedere alla Russia mezza Ucraina, in cambio della fine della “mattanza”, dovremmo dire dunque che «un piano di pace è meglio di un piano di guerra»?
Assolutamente no. Io sono per la libertà degli ucraini e creda, so benissimo che Trump è quello che è e ne penso tutto il male possibile. Ma la mattanza qui implica ancora più problematiche che in Ucraina perché si tratta di sgominare una organizzazione terroristica incistata a Gaza che si serve della popolazione e se ne fa scudo. Ci sono persone in ostaggio da due anni e passa e chi li aspetta con ansia e angoscia In più c’è un antisemitismo crescente e dilagante estremamente pericoloso per la diffusione mondiale che implica. Trump, lo ripeto, ha interessi privati sempre in quello che fa, ma i palestinesi preferiscono vivere e mangiare e se è Trump a favorire il cessate il fuoco a loro importa solo la sopravvivenza non le implicazioni geopolitiche.
Fa un distinguo tra la situazione ucraina e palestinese che non comprendo. Hamas, come sappiamo, è sì un’organizzazione terroristica, ma è stata un partito politico finanziato anche da Israele e dagli USA. Succede un po’ quanto avvenne con Saddam Hussain, con i Kurdi o con chi ha contrastato i Taliban, ovvero prima li si usa per portare in essere quel neocolonialismo di cui parla il prof. Savagnone e poi li si cestina assieme a qualche centinaia di migliaia di persone, nella migliore delle ipotesi.
Condivido totalmente la posizione dell’articolista: perché Israele non è sanzionato? Non dimentichiamoci, in tutto questo, che quella di Gaza è una situazione senza precedenti nella storia moderna e contemporanea; non è una guerra e, come dicono tutti gli osservatori internazionali competenti, è indiscutibilmente un genocidio che gli stessi intellettuali ebrei definiscono tale. Questa questione non si può più mettere in discussione. Mai un esercito ha aggredito solo ed esclusivamente civili. A Gaza non c’è da molto tempo neppure una fionda per difendersi da uno degli eserciti più agguerriti ed attrezzati al mondo.
Gli ostaggi? Forse qualcuno è ancora vivo e spero lo recuperino, ma la gestione Netaniahu non pare abbia avuto molto interesse in tal senso. Il suo stesso popolo lo afferma e lo manifesta continuamente. Avrebbe dovuto usare meno forza e più intelligenza. Forse ha ritenuto gli ostaggi un qualcosa di sacrificabile per un obiettivo superiore. Quale? Bisognerebbe domandarlo a lui, perché il bene superiore dovrebbe essere la vita, quella di tutti.
Mi dispiace, ma il paragone con l’Ucraina è improbabile; ad essa stiamo fornendo armi e danaro, ne stiamo accogliendo milioni di profughi. Sosteniamo questo carico economicamente e socialmente. Mi piacerebbe vedere lo stesso trattamento dei confronti del popolo palestinese. Nel luglio 2006. Giulio Andreotti, non un pericoloso sovversivo estremista, in Senato disse questo: “Nel 1948 l’ONU ha creato lo Stato di Israele e lo Stato arabo: lo Stato di Israele esiste, lo Stato arabo non esiste. Chiunque di noi, se non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista”. Questo per dire che se si tendesse la mano al popolo palestinese sarebbe lui stesso ad espellere le frange estremiste, ma chi gli ha mai teso una mano, a parte forse gli attivisti che hanno navigato a bordo di mezzi di fortuna a proprio rischio e pericolo verso la Striscia?
Secondo me il paragone con l’Ucraina dovrebbe consistere nel comune interesse degli Stati Uniti . Ucraina, Taiwan e Israele sono una spina nel fianchi di storici competitori: Russia, Cuna e Paesi medio-orientale. Sono tutti conflitti “per procura” a volte sembrano coincidere con il diritto internazionale a volte no, non è questo il punto.
Avremmo dovuto mantenere fin da subito una posizione “terza” rispetto ai conflitti, avendo scelto di appi attorci sulla posizione della Nato nel 2022 ci troviamo adesso in un’impasse molto più evidente, ma era facilmente prevedibile allora.
Detto ciò non è chi ci siano risposte magiche perché non è uno scontro tra buoni e cattivi ma tra diverse sfumature di cattivi con civili che pagano il conto per tutti.
Avendo scelto di appiattirci.
E se nel prossimo piano Trump suggerisse di cedere alla Russia mezza Ucraina, in cambio della fine della “mattanza”, dovremmo dire dunque che «un piano di pace è meglio di un piano di guerra»?
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io rispondo a questo e non faccio paragoni. Hamas è una organizzazione terrorista, anche lei dimentica volutamente la strage che ha originato la guerra. E Hamas ha armi nascoste nei sotterranei dove si cela e Netanyahu ha chiesto da subito la liberazione degli ostaggi, cosa che non è avvenuta.
I palestinesi hanno sempre ottenuto aiuti e spesso sono finiti nelle mani dei terroristi.
Meno ideologia sarebbe utile a tutti e più obiettività: gli ebrei hanno avuto 6 milioni passati per i forni dai nazisti, quando si parla di genocidio, secondo me, bisognerebbe ricordarselo. Con questo condanno la ferocia degli israeliani come condanno quella di Hamas. Ma la “pace è un compito” scriveva Kant e soffiando sul fuoco condannando solo una parte non serve mai al processo di pace ma rinfocola le guerre.
In Ucraina i russi stanno da quattro anni massacrando i civili (anche stanotte 6 morti) nella quasi indifferenza generale. Certo i due conflitti non sono sovrapponibili ma la Russia non ha subito provocazioni come si fa spesso credere, ma ha agito indiscriminatamente calpestando tutti i trattati internazionali.
Direi che solo gli ingenui o le persone in malafede possono davvero credere che ciò che è proposto dagli Usa nella forma di ultimatum sia stato pensato per giungere alla pace e alla convivenza tra israeliani e palestinesi. Ma forse, vista la tragedia in corso, tutti vogliamo illuderci che sia così..,..