Il rapporto Stato-Chiesa in Venezuela

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Dai tempi della Conquista e fino all’arrivo della democrazia nel 1958, la Chiesa cattolica in Venezuela era governata nei suoi rapporti con lo Stato in base al Patronato.

Il Regio Patronato nasce verso la fine del XV secolo e l’inizio del XVI come istituzione che conferiva ai Re cattolici, per concessione papale e a pro dell’evangelizzazione, poteri plenipotenziari e privilegi che convertivano di fatto e di diritto i re nelle massime autorità ecclesiastiche dei territori sotto il loro dominio.

In virtù di ciò, l’ingerenza dei monarchi nei rapporti Chiesa-Stato era totale: dalla nomina dei vescovi alla creazione di diocesi, alla costruzione di Chiese e cattedrali, alla fondazione di seminari, conventi, monasteri… fino – ovviamente – all’amministrazione e alla destinazione dei beni e delle decime.

Dopo l’indipendenza

Una volta dichiarata l’indipendenza delle Province Unite del Venezuela nel 1811, e su pressione dei presbiteri che, nella loro qualità di deputati, parteciparono a quel congresso repubblicano – guidati da Ramón Ignacio Méndez –, quella prima Costituzione repubblicana dichiarò cessato il Patronato, che da tre secoli regolava la vita della Chiesa.

C’era – è chiaro – nei legislatori la consapevolezza che il Patronato sarebbe rimasto senza effetti una volta soppressi i legami del Vaticano con il Venezuela, inteso come una Repubblica, poiché quella istituzione era nata come concessione fatta dal papa ai re di Spagna.

Tuttavia, la perdita della Prima Repubblica e poi la dinamica della guerra d’Indipendenza resero impossibile favorire un’evoluzione del Patronato verso un’altra forma di rapporto Chiesa-Stato. E, allo stesso tempo, lo spirito liberale dei primi repubblicani, come la loro tendenza anticlericale, trovarono nell’istituzione del Patronato repubblicano una modalità conveniente di controllo per tenere a bada la Chiesa.

Così trascorse il secolo XIX nel sistema del Patronato, con alcuni timidi e infruttuosi tentativi di giungere, senza successo, a un concordato. Il XX secolo, con il gomecismo (dittatura di Juan Vicente Gómez), rappresenterà un periodo di ricostruzione, di riconoscimento e di rispetto della Chiesa cattolica da parte dello Stato, ma il Patronato rimase in vigore come legge. Benché esistessero buoni rapporti di fatto e non si vivesse il confronto o l’intensità del conflitto sofferto nel XIX secolo, la Legge del Patronato rappresentava una situazione giuridica che creava preoccupazione e disagio nella Chiesa.

Inizi della democrazia

I rapporti Chiesa-Stato vivranno nuovamente un profondo disaccordo durante il triennio Adeco (un periodo di tre anni nella storia venezuelana, dal 1945 al 1948, sotto il governo del partito popolare Azione Democratica), ma questo durerà ben poco dato l’instaurarsi della dittatura militare. Con l’arrivo della democrazia, e senza dubbio in buona parte grazie alla spinta convinta e all’iniziativa e all’azione del Partito Social-Cristiano Copei, il problema della regolarizzazione dei rapporti assunse un’importanza centrale nel dibattito nazionale.

La base legislativa, che avrebbe consentito di avanzare nell’accordo con la Santa Sede, venne proclamata nella nuova Costituzione del 1961, all’articolo 130: «In possesso come è la Repubblica del diritto di Patronato Ecclesiastico, essa lo eserciterà secondo quanto stabilito dalla legge. Tuttavia possono essere conclusi accordi o trattati per regolare i rapporti tra la Chiesa e lo Stato».

Una volta aperta questa porta, inizia il processo di riavvicinamento tra la Santa Sede, attraverso il nunzio apostolico allora in Venezuela mons. Luigi Dadaglio, e il card. José H. Quintero, con le autorità venezuelane. Fin dalle prime discussioni e considerazioni sul tema, Rafael Caldera metterà in evidenza le differenze che esistono tra un Concordato e un accordo sul modus vivendi, come sottolineerà lo stesso card. Quintero in un articolo pubblicato nel 1961. Ma in che cosa consisteva questa differenza? Perché optare per un modus vivendi e non per il sistema del Concordato?

Modus vivendi

Oliveros Villa, nel suo studio sulla libertà religiosa in Venezuela, propone ragioni pragmatiche e tecniche per spiegare tale decisione. In pratica, ricordiamo che, alla guida del paese, c’è un governo socialdemocratico e Betancourt è il presidente di turno. Optare per il modus vivendi consentirà di mantenere una certa immagine dell’anticlericalismo (o almeno del laicismo) del passato, di eviatare novità, pretese di cambiamento e ancor più significato al Trattato, per affrontare pregiudizi, sospetti e riluttanza, da parte di un settore minoritario ma attivo del paese che vedeva in un accordo qualcosa che avrebbe potuto influenzare il Patronato.

Un altro motivo pragmatico deriva da quanto sancito nel testo stesso dell’accordo, considerando «che la Religione cattolica, apostolica e romana è la Religione della stragrande maggioranza dei venezuelani e nel desiderio che tutti i problemi di interesse comune possano essere regolati quanto prima e nel più breve tempo possibile in modo completo e conveniente»; o, per usare le parole della Cancelleria venezuelana, conferire il carattere di un patto a quello che, nei fatti e in pratica, era stato un modus vivendi tollerabile.

Per quanto riguarda le ragioni tecniche, non si potrebbe parlare di Concordato nel senso stretto del termine, perché l’accordo non comprende né regola tutte le questioni che comporterebbe il rapporto Chiesa-Stato – come nel caso, ad esempio, del Concordato tra Santa Sede e Spagna che include, nei trentasei articoli dell’accordo più i cinque del Protocollo finale, temi come il matrimonio, l’educazione e altre questioni della vita del paese.

Allo stesso modo, il nostro modus vivendi differisce da un Concordato in quanto si tratta di un accordo di sviluppo progressivo, come indicato nello stesso testo firmato fin dall’inizio, stabilendo e consentendo altri accordi futuri. È il caso dell’accordo firmato nel 1994 con la creazione dell’Ordinariato Militare in Venezuela. Nel caso del nostro modus vivendi, fin dalle prime affermazioni, sembra che si trattasse solo di un “semplice” accordo per definire alcune questioni di particolare urgenza tra le parti, ma la verità è che la sua forza risiede in due articoli chiave: il primo e l’ultimo.

Libero esercizio della religione cattolica

Nel primo articolo si stabilisce che lo Stato venezuelano continuerà ad assicurare e a garantire il pieno e libero esercizio del potere spirituale della Chiesa cattolica, come anche il libero e pubblico esercizio del culto cattolico in tutto il territorio della Repubblica. In questo modo, lo Stato venezuelano riconosce la Chiesa cattolica come un’istituzione fondamentale della storia e della realtà del Venezuela.

L’ultimo articolo stabiliva che, una volta entrato in vigore l’accordo, sarà questa la norma che regolerà d’ora in poi i rapporti tra Chiesa e Stato, rendendo con questa precisazione definitivamente superata e sepolta la Legge del Patronato. Il 6 marzo 1964 l’accordo fu firmato dalla Cancelleria della Repubblica del Venezuela. Paolo VI e Rómulo Betancourt conferirono poteri plenipotenziari a mons. Luigi Dadaglio, nunzio apostolico in Venezuela, e al dottor Marcos Falcón Briceño, ministro degli Affari Esteri, per firmare l’accordo. Ratificato dal Congresso il 23 giugno, fu promulgato dal presidente Raúl Leoni il 30 giugno e il 24 ottobre 1964 fu effettuato lo scambio delle ratifiche a Roma.

Senza dubbio, la firma del modus vivendi ha rappresentato una condizione non solo più favorevole per la Chiesa cattolica in Venezuela, ma era anche maggiormente in linea con i tempi che l’umanità viveva in quegli anni.

Concordati e accordi oggi

Ma dobbiamo porci questa domanda nel primo quarto del XXI secolo in cui viviamo: gli accordi e i Concordati con la Santa Sede sono reliquie del passato o continuano ad avere valore nei rapporti con i Paesi?

La risposta sembra semplice. Gli accordi e i Concordati saranno validi nella misura in cui costituiscono uno «strumento utile nelle società sempre più secolarizzate, individualiste, plurali e dinamiche per rispondere alle domande e ai problemi sociali in materia religiosa e per garantire alla Chiesa un giusto quadro giuridico di azione nell’ambito statale che le consenta di rispondere adeguatamente ai suoi fini» (Miguel Rodríguez Blanco).

Papa Francesco, nei suoi discorsi annuali ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha delineato quali sono i grandi temi su cui si dovrebbero incentrare le relazioni con e tra gli Stati, e cioè: casa comune, migrazione, efficacia delle organizzazioni internazionali, dialogo e fraternità, armi nucleari, istruzione e pace come bene comune. Da parte sua, anche l’agenda mondiale segnala in maniera inesorabile temi quali l’intelligenza artificiale, la bioetica, i progressi tecnologici con tutte le profonde differenze e i divari sociali che tutto ciò comporta.

Accordi e Concordati non sono quindi reliquie del passato, ma strumenti diplomatici molto utili per affrontare seriamente questi temi. Spetta a ciascuno Stato assumerli e valorizzarli al meglio, mentre le riforme e le revisioni devono essere effettuate partendo da questo approccio e tenendo presenti questi grandi problemi.

Venezuela 60 anni dopo

Per finire, formuliamo la stessa domanda: nel caso del Venezuela, è ancora valido il modus vivendi firmato 60 anni fa? A nostro avviso la risposta è un rotondo si.

Esso ha – potremmo in un certo senso affermare – una validità profetica, poiché all’articolo 17° dell’accordo si stabilisce che «le parti si impegnano a risolvere amichevolmente le eventuali divergenze che possano sorgere in futuro nell’interpretazione o nell’applicazione di qualsiasi clausola della presente Convenzione e, in generale, nei reciproci rapporti tra Chiesa e Stato».

Senza dubbio, negli ultimi anni ci sono stati momenti difficili e di profonda discordia tra il governo (nella sua pretesa e confusione di credersi, allo stesso tempo, sia governo sia Stato) e la Chiesa cattolica, tanto che anche nel 2010 il presidente Hugo Chávez chiese al suo cancelliere d’allora, Nicolás Maduro, di rivedere l’accordo con il quale lo Stato venezuelano aveva concesso «alcuni privilegi» alla Chiesa cattolica rispetto ad altre confessioni.

In questa prospettiva sbagliata si è voluto interpretare il modus vivendi come una reliquia del passato, come un oggetto vecchio e in disuso di epoche remote. Tuttavia, oggi più che mai, ha senso quanto sancito dall’Accordo sull’impegno a risolvere amichevolmente le eventuali divergenze tra Chiesa e Stato.

Ma attenzione! Quando si parla di risolvere amichevolmente le differenze, non è e non può mai essere qualcosa di ingenuo. Né può essere fatto in ginocchio o con una delle parti che sia costretta a sottomettersi. Né tanto meno con un accordo tra complici allo scopo di perseguire i reciproci interessi, bensì in linea con gli interessi generali.

Quando parliamo di soluzione «amichevole» delle divergenze, non ci sono attenuanti. Si tratta di raggiungere con urgenza, con dedizione e pacificamente le soluzioni che il Paese richiede e di cui ha bisogno, senza indugi, senza cinismo, senza distrazioni e invitando tutti i venezuelani di buona volontà a farlo. Il modus vivendi non solo è in vigore, ma ci indica la via corretta per uscire dalle difficoltà.

  • Juan Salvador Pérez è direttore della Revista SIC (originale spagnolo qui).

Per un maggiore approfondimento dell’argomento si suggerisce di leggere:

La Chiesa nel Venezuela repubblicano, Vol. VII/5, dr. Rafael Caldera, uomo della patria e della Chiesa, Fr. Ramon Vinke. Anno 2010.
Pedro Oliveros Villa, Il diritto alla libertà religiosa in Venezuela. Biblioteca nazionale di storia. Anno 2000.
Il diritto alla libertà religiosa in Venezuela. Pedro Oliveros Villa. Biblioteca nazionale di storia. Anno 2000.
Ivan C. Ibán, Concordati nell’Unione Europea: una reliquia del passato o uno strumento valido per il XXI secolo?.
Lo studio del Concordato agli inizi del XXI secolo. I simposi internazionali di diritto concordatario
, 2003-2019. Miguel Rodríguez Blanco, Università di Alcalá, 2003.

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