
Serafino di Sarov.
Sull’utilizzo dei santi nella Russia di Putin: fra ricerca spirituale e manipolazioni teologiche: è il titolo di un colloquio pluridisciplinare svoltosi alla Facoltà di scienze politiche di Parigi il 6 ottobre, presentando un numero della rivista Slavica Occitania (n. 61/2025). Aleksadr Nevski (1221-1263), Fiodor Usakov (1744-1817), Vladimir I (988 conversione al cristianesimo), Serafino di Sarov (1754-1833), Nicola II (1868-1918), Sergio di Radonez (1312- 1392): sono alcuni dei santi la cui memoria è mobilitata per servire i progetti e l’ideologia putino-cirilliana.
Va detto subito che la memoria dei santi nelle confessioni cristiane (eccetto la tradizione protestante che non li riconosce) è intimamente connessa con le esigenze di modelli e di indirizzo delle singole Chiese e che talora essa è utilizzata per interessi politici ed esigenza di identità nazionali.
In qualche maniera, tutti i santi sono “costruiti”, cioè rispondono ad una narrazione che alimenta singoli e comunità alla sequela cristiana in cui vengono accentuate particolari caratteristiche della loro vita e spiritualità. Il travaso della loro memoria nel campo storico civile, e soprattutto politico, gonfia talora in maniera impropria la reinterpretazione fino a trasformare il loro culto in un utensile per gli interessi immediati della politica. Sia il convegno citato sia la rivista allargano i riferimenti ben oltre la Russia.
Eroi, santi e giusti
La manipolazione della loro memoria nel contesto attuale della guerra all’Ucraina e nel conflitto culturale con l’Occidente vede un cammino a pari passo fra il governo autocratico del presidente con l’indirizzo ecclesiale del patriarca Cirillo. Questo non esclude che la manipolazione ideologica conviva con una autentica ricerca spirituale e che le esigenze dei centri di potere utilizzino una sincera pietà popolare.
Secondo la curatrice del colloquio e della rivista, Irene Semenoff-Tian-Chansky-Baïdine, «in Russia, dopo l’adozione del cristianesimo alla fine del X secolo, il culto dei santi ha sempre riflettuto fedelmente le evoluzioni sociali e politiche. Oggi alcuni eroi della storia russa elevati al rango dei santi, come il principe Aleksadr Nevski, Dmitri Donskoj (1350-1389) o l’ammiraglio Fiodor Usakov (i due ultimi canonizzati recentemente) sono convocati per la difesa della nazione. La canonizzazione dell’imperatore Nicola II, un vero anti-eroe, ma modello di sacrificio, ha visto una riabilitazione della monarchia e dell’antico regime. San Vladimiro “uguale agli apostoli” – Vladimiro I Iaroslavic che ha adottato il cristianesimo nel 988 – è largamente utilizzato per giustificare il ritorno all’unità perduta tra Russia e Ucraina. I santi Pietro e Fevronia di Murom (1167-1228; 1175-1228) volano in soccorso della famiglia tradizionale. Tutto ciò sottolinea fino a che punto il legame fra santità e nazione resiste nel tempo» (dall’introduzione al colloquio).
Senza sovrastimare la specificità del caso russo, rimane l’enfatica e ripetuta affermazione di Cirillo del “miracolo” del riferimento alla memoria sacra della nazione da parte del potere russo e dell’“ortodosso” Putin in specie.
Civilizzazione russa anti-occidentale
Mentre il culto di san Nicola di Bari è il più popolare e diffuso, testimoniato dalle straordinarie celebrazioni legate al pellegrinaggio in Russia delle sue reliquie nel 2017, emerge in particolare il riferimento ad Aleksadr Nevski. Eroe della storia russa è oggi proposto per sostenere l’ideologia nazionale ufficiale. Fenomeno non nuovo, perché già utilizzato da Pietro il Grande.
L’anniversario della sua nascita (800 anni) è stato largamente festeggiato nel 2021 come santo dello stato. «Nel contesto politico predominante alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina, l’aspetto anti-occidentale di Aleksadr Nevski è stato largamente sottolineato e la sua celebrazione ha assunto il carattere di una preparazione ideologica-religiosa e psicologica della guerra» (I. Baïdine). La sua memoria diventa parte della teologia di guerra che accompagna e giustifica l’operazione militare speciale.
Curiosa anche la memoria di Maria di Gatchima (1874-1932) uccisa durante il regime comunista, espressione della “Chiesa delle catacombe” (quindi in contrasto con il compromesso col regime del patriarca Sergio), venerata soprattutto in ragione della sua potente intercessione nelle difficoltà quotidiane.
La festa di Tutti i santi è entrata nel calendario liturgico russo nel 1918 ma la sua celebrazione liturgica si è allargata effettivamente solo dopo il 1946, piegandosi all’esigenza di onorare tutti i “santi russi”. Dal 2013 ha subito un ritocco: festa non solo dei santi “russi” ma di quelli che appartengono al “mondo russo” al Russkij Mir (partecipazione anche solo etnica e culturale alla tradizione russa).
A questo si aggiungono “nuovi santi” al di fuori del controllo ecclesiastico. Lo stesso Vladimir Putin è talora rappresentato con l’aureola della santità con tonalità autocratiche e anti-occidentali. La cosa vale anche per Stalin.
Cirillo come Sergio di Radonez
Un caso curioso è quello di Serafino di Sarov, monaco ed eremita, che è diventato protettore delle armi nucleari russe. E questo in ragione del suo monastero, confiscato dai bolscevichi nel 1927 e trasformato in un centro militare segreto di ricerca sul nucleare, attività che prosegue anche oggi.
Del resto, Cirillo ha visitato le basi militari più segrete e custodite dell’esercito russo e proclama con forza la necessità per la sopravvivenza della Russia del suo armamento atomico. Si arriva a tematizzare una “ortodossia nucleare”, anche se risulta strano affidare all’umile monaco di Sarov la convinzione che la capacità atomica della Russia sia garanzia della sua civilizzazione e della sua sovranità.
Anche san Sergio di Radonez, fondatore della laura della Trinità e figura di riferimento per la spiritualità russa, è oggi a servizio di un patriottismo dai toni messianici e megalomani. Ne è un esempio la recente celebrazione della sua memoria (8 ottobre) in cui il patriarca Cirillo onora le gesta del santo per il bene che ha compiuto per il gregge dei fedeli, per il popolo e per la patria.
Nell’omelia dice: «Quando il santo benedisse il granduca perché andasse a Kulikovo – la battaglia contro i tartari e i polacchi dell’8 settembre 1380 vinta dai russi guidati da Dmitri Donskoj (ndr) – a combattere per la libertà della patria, agì sia come padre spirituale che come figura politica. Se si fosse rifiutato avrebbe peccato non solo come pastore ma anche come statista».
E prosegue passando direttamente al presente e al potere putiniano: «Perché voglio parlarne oggi? Perché noi, composti di anima e di corpo, apparteniamo a due mondi: il mondo della vita eterna e il bene terreno in cui viviamo e in cui ci prepariamo alla vita eterna. E, in un certo senso, l’esistenza stessa delle persone nelle nostre attuali circostanze dipende dalla politica; quando l’umanità possiede veramente la capacità sufficiente per l’autodistruzione completa, allora la politica cessa di essere politica nel senso usuale della parola e riguarda piuttosto il futuro di ogni individuo e dell’intero genere umano. Quante persone pregano oggi per il nostro presidente? Fortunatamente sempre di più, ricordando che il Signore ci ha inviato un capo di stato ortodosso. Ma quanto ha bisogno il capo di stato del nostro sostegno! Un sostegno spirituale, orante che, rispecchiato nelle nostre vite attraverso azioni concrete, dovrebbe garantire l’autorità del nostro presidente e dei nostri attuali responsabili politici. In altre parole, la preghiera per le autorità e i militari non è qualcosa di ereditato dal passato, ma qualcosa che deve essere al centro della nostra vita spirituale oggi. Dobbiamo pregare per coloro dalle cui azioni dipende il futuro del paese e, in un certo senso, il futuro della Chiesa».
La sinfonia e il Katechon
L’immediata collocazione del santo a giustificazione dell’attuale guerra con l’acritico sostegno dei vertici del patriarcato si configura come compimento della “sinfonia” fra trono e altare perseguita nella tradizione bizantina. «C’è veramente una certa sinfonia nelle relazioni fra le autorità secolari ed ecclesiastiche», ma – prosegue Cirillo, insorgendo contro chi sospetta della sua subalternità servile rispetto al presidente: – «Certuni dei nostri oppositori puntando il dito affermano che il patriarca è attivo su ordine del presidente. Io affermo davanti a Dio: il presidente non ha mai dato ordini al patriarca. E sono sicuro che, in quanto credente ortodosso, non li darà» (omelia del 18 aprile 2023).
Posizione coerente con la ripetuta affermazione che la Russia costituirebbe il “katechon”, colui che trattiene il mistero dell’iniquità (2Ts 2,7-8). Una giustificazione teologica della guerra e dello sconto civilizzazionale con l’Occidente difficilmente compatibile con il Vangelo e con la coscienza cristiana di oggi.
Il sensus fidei del popolo di Dio coltiva anche figure assai diverse come Paul Florenski (1882-1937) e Alexander Men (1935-1990). Intellettuali geniali nell’interpretazione del loro tempo e servitori appassionati della fede degli umili, hanno concluso la loro vita con il martirio. Il primo nelle “purghe” staliniane, il secondo in un attentato da parte di uno sconosciuto. Figure di grande rilievo ma politicamente poco spendibili.






Vero: che tristezza. Ma soprattutto: che spudoratezza!
Già a vedere insieme i tags: chiesa ortodossa, russa, putin, santità, viene da rabbrividire