Santa Sede-Cina: complessità e importanza

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Il cardinale Parolin e il vescovo di Shangai

Il cardinale Parolin e il vescovo di Shangai Shen Bin.

Il convegno di ieri all’università Urbaniana di Roma sul centenario del Concilium Sinense di Shanghai del 1924 ha mostrato con chiarezza, una rara volta, l’estrema complessità del rapporto storico tra Santa Sede e Cina. I rappresentanti della Santa Sede e quelli venuti dalla Repubblica popolare cinese hanno infatti difficoltà e distanze su almeno tre livelli.

C’è l’aspetto religioso, quello politico e quello culturale.

Quello religioso è la volontà di evangelizzazione della Chiesa e la diffidenza e il dubbio di Pechino al riguardo, nonostante che Pechino dica ufficialmente di non occuparsi di religione. Quello politico c’è la difesa del potere da parte del governo del partito e l’ansia di libertà da parte della Chiesa, nonostante che la Chiesa affermi e sia convinta di non volere interferire nella vita civile cinese.

Poi c’è la cultura: la tradizione cattolica passa da due millenni di inculturazione ellenistica occidentale che deve essere tradotta e traslata in una cultura, quella cinese, che è da una parte tradizionalmente diversa, ma che da oltre un secolo è essa stessa nelle more di una trasformazione epocale.

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Ad ogni livello ci sono confusioni e distanze reciproche e poi ci sono incomprensioni e pasticci nella confusione dei livelli. La questione era problematica nel 1924, quando in realtà in Cina non c’era alcun governo in carica, il paese era diviso tra signori della guerra e potenze coloniali. In questo vuoto gli spazi di manovra della Chiesa erano oggettivamente ampli.

I problemi sono oggi molto più complessi con un governo forte ed esigente in carica che si sente però nel mirino dell’occidente per una serie di questioni politiche ed economiche esistenziali. La Chiesa è storicamente parte dell’occidente, fatta da molti occidentali e comunque interessata a mantenere buoni rapporti con chiunque, anche con l’occidente.

In questo contesto già burrascoso, come è stato chiaro negli interventi della professoressa Zheng Xiaojun e del vescovo Shen Bin, la questione politica è fondamentale per la Cina. Invece come era chiaro per gli interlocutori della Santa Sede la questione “Cina” è puramente religiosa. In questi due spazi c’è un vuoto che minimizza i conflitti, ma forse evita anche gli incontri. Se la Chiesa parla solo di questioni di Chiesa in Cina essa parla solo ai suoi convertiti, alla sua gente. Ma forse i politici cinesi sarebbero interessati anche a parlare di politica, negli ambiti che interessano a loro.

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In questo territorio c’è la vicenda della “sinizzazione”. Essa è tanto delicata e importante per i dieci, venti milioni di cattolici cinesi e per Pechino, ma forse non è così importante per il miliardo e passa di cattolici mondiali e per il miliardo e passa di cinesi non cattolici.  Ma per i miliardi di cattolici non cinesi e di cinesi non cattolici rimane fondamentale la questione dell’inserimento o meno, e in che termini l’inserimento, della Cina nel contesto internazionale attuale.

Un secolo fa Celso Costantini, motore del concilio, aprì alla trasformazione della Chiesa in Cina. Essa era dominata da stranieri, e poi aprì alla ordinazione di vescovi e di un primo cardinale cinese. Tale passaggio anticipò i tempi ma poi li seguì seguendo e adattandosi tra errori e scelte illuminate all’evoluzione della politica cinese e mondiale del tempo. Gli sbagli della Chiesa furono forse anche gli sbagli del periodo.

I cattolici cinesi parlavano con tutti i protagonisti del tempo, i signori della guerra, i nazionalisti del KMT, i giapponesi, gli occidentali ma non i comunisti di Mao, anche se forse alcuni dirigenti del PC cinese di allora venivano da esperienze o famiglie cattoliche. Ma questa chiusura era della Chiesa del tempo. Essa era sotto assedio, senza più lo Stato pontificio, che per oltre un millennio aveva garantito la sua indipendenza politica, e appesa per un filo allo Stato italiano fascista (e anti comunista) che nel 1929 le aveva promesso minime condizioni di sopravvivenza.

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Il segretario di stato Pietro Parolin nel suo intervento ha ricordato che: “L’intento del Delegato Apostolico – così come il nostro oggi – non era certo quello di istruire un processo contro la storia. Con equilibrio, egli riconobbe il merito di molti missionari stranieri che, con senso di vera carità e dedizione, avevano portato il Vangelo in Cina e si erano prodigati per lo sviluppo sociale di quel popolo. Tuttavia, riconobbe anche che gli «aiuti umani» dati dalle Potenze straniere – per riprendere il termine da lui impiegato – pur avendo per un certo tempo tutelato e favorito l’espansione missionaria, avevano «pure portato un peso morale passivo nell’economia dell’evangelizzazione» (Con i Missionari in Cina, vol. I, XVII). …Come detto, il primo tratto della “strategia” del Delegato Apostolico era lo sforzo di calare maggiormente la fede cattolica nella vita dei Cinesi. Questo sviluppo veniva inteso in senso ampio e comprendeva differenti aspetti. La necessità di una vera plantatio ecclesiae, innanzitutto, che radicasse in profondità il Cattolicesimo nella società cinese.[1]

Oggi la storia è totalmente diversa. L’interlocutore della Chiesa è chiaramente, per motivi storici, il governo cinese, non il popolo cinese. Cosa interessa al governo cinese che la Santa Sede può offrire? Siamo in un momento storico cruciale dove si addensano come non mai nubi di guerra fredda o commerciale intorno alla Cina, mentre due guerre sono aperte in Ucraina e Medio Oriente. Qui Pechino affronta sfide senza precedenti nella sua storia, cercando di salvare la pace e quello che ritiene sia un sistema politico che garantisce se stessa e il suo paese.

D’altro canto, con papa Francesco la Chiesa sta tentando di aprirsi a un ruolo internazionale più grande intervenendo sui vari conflitti aperti, nei rapporti con le varie religioni, sui grandi temi sociali e umani. Qui sta cercando di trovare, a tentoni, una misura adeguata ai tempi e al suo ruolo.

In questo nuovi tempi e spazi è normale procedere per tentativi prudenti. Il convegno non ha dato risposte da alcun lato ma forse, appunto per la prima volta con chiarezza, ha mostrato i livelli incrociati e complessi di difficoltà che dovranno essere affrontati in futuro.


[1] https://www.fides.org/it/news/75008-VATICANO_Cardinale_Parolin_la_comunione_e_la_migliore_garanzia_di_una_fede_sottratta_agli_interessi_politici_esterni

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