Turchia: Ocalan annuncia la fine della lotta armata?

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Sostenitori filocurdi mostrano un ritratto del leader del PKK Abdullah Ocalan (REUTERS/Umit Bektas)

C’è un’idea quasi rimossa che riemerge con modalità non chiare: l’accordo di pace proposto dal più debole sulla base di una rinuncia alla lotta armata, alla violenza. E l’annuncio di questa novità politica di enorme portata per tutto il Medio Oriente appare proprio imminente.

Sembra prendere corpo l’ipotesi che Ocalan, il leader del PKK, il 15 febbraio, giorno del 26esimo anniversario della sua cattura da parte dei turchi, potrebbe annunciare che la lotta armata è finita, il PKK deve deporre le armi, e aprire una pagina nuova, quella per una democratizzazione pluralista della Turchia. Se così fosse ovviamente questo avrebbe conseguenze regionali enormi; cesserebbero le azioni miliziani contro obiettivi turchi, l’attività armata del PKK nel Nord dell’Iraq come nel nord della Siria.

La vicinanza dei curdi iracheni al governo di Ankara e la caduta della giunta di Assad, che in Siria discriminava i curdi ma sosteneva il PKK contro Ankara, consentono ai curdi di Siria e Iraq di puntare a un’integrazione autonoma nei loro Paesi e Ocalan potrebbe sperare di avviare (per motivi che si spiegheranno più avanti) un cammino di autonomia de facto in Turchia: questo crea una possibilità nuova e di grande portata, non solo per i curdi.

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Se le cose andranno davvero così lo sapremo tra poco, ma vale la pena leggere quanto hanno scritto nelle ore trascorse dal Consiglio Esecutivo del PKK, stando alla traduzione fornita da MediaNews: «Se non ci saranno serie opposizioni o interventi, il nostro leader Apo (nome di battaglia di Ocalan) darà avvio a un processo di trasformazione e ricostruzione per tutti. Il PKK e i curdi cambieranno: la Repubblica di Turchia e il suo panorama politico cambieranno: il Medio Oriente e il mondo cambieranno».

E più avanti si legge: «Lo Stato non deve temere; il nostro leader Apo e i curdi non lo distruggeranno, lo ricostruiranno sulla base della democrazia. La società turca non deve temere: Ocalan e i curdi non divideranno la Turchia, ma si impegneranno per la sua democratizzazione». Su un sito giapponese viene inoltre citato Murat Karalyian, uno dei comandanti del PKK, attribuendogli queste parole: «Il nostro leader Apo farà un’importante e storico annuncio il 15 febbraio, facendone la base di un tentativo di soluzione (della questione curda)». Nessuno può assicurare quali parole userà né che siano tutti d’accordo nel PKK, ma il prestigio di Ocalan appare ai più ancora forte.

Questo sviluppo si accompagna a un’iniziativa politico diplomatica di enorme e sottostimata portata: i turchi vogliono prendere la guida della coalizione anti-ISIS. Questa colazione oggi è nei fatti costituita dai guerriglieri curdi in Siria, con l’assistenza militare americana. Trump non ha mai nascosto di voler richiamare quei duemila soldati dalla Siria, ma combattere l’ISIS è troppo importante.

Così Erdogan nella buona sostanza, dopo aver avuto un atteggiamento quantomeno ambiguo verso l’ISIS, ora vede l’opportunità di rendere inutile agli occhi del mondo la permanenza di curdi in armi, assumendo lui la lotta all’ISIS. E per avere efficacia vuole «imbarcare nell’impresa» la nuova Siria, l’Iraq, e la Giordania. La nuova Siria assorbirebbe i miliziani curdi di origine siriana, l’Iraq si strutturerebbe come alleato del mondo e non dell’Iran dando un sostegno soprattutto di intelligence alla lotta contro l’ISIS, e la Giordania si confermerebbe decisiva anche per gli Stati Uniti che tanto la stanno stressando con il piano per Gaza che non fa dormire il re di Giordania.

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La fine della lotta armata curda è un’idea che Ocalan coltiva da tempo, nella sua cella d’isolamento dove è rinchiuso da 26 anni ha spesso interloquito con la leadership turca, ha potuto parlare con i suoi e con la nuova formazione politica senza bracci armati curda, DEM, il cui leader è anche lui in prigione. Si sa che Ocalan più volte avrebbe detto, «vorrei vedere la pace prima di morire».

Molti sostengono che se lo farà, se dirà che la lotta armata è finita, Ocalan potrebbe intanto uscire di prigione. Ma non può essere solo questa la contropartita per un proclama ufficiale di questa portata. Già si parla di qualche forma di «autonomia di fatto» per i curdi in Turchia, ma ci sono poche indicazioni concrete su cosa concederebbe Erdogan.

È ben noto, perché lo hanno detto in tanti, che la disponibilità di Erodgan c’è, è concreta, perché il leader turco ha esaurito i due mandati presidenziali che può svolgere e dunque non potrebbe ripresentarsi, a meno che non si modifichi la Costituzione, consentendogli il terzo mandato. E per questo i voti curdi in Parlamento sarebbero fondamentali. Tra le modifiche ci saranno anche aperture ai curdi, sulle loro richieste? Un autorevole esponente del partito curdo DEM ha detto di sperare che Erdogan abbia il coraggio di prendere le decisioni che servono, che si attendono. Dunque non ci sono certezze, ma speranze.

Ocalan infatti ha le chiavi di un cambiamento che a Erodgan interesserebbe molto, e che gli consentirebbe di presentarsi ai turchi non come un leader avido di altri anni di potere presidenziale, ma come il leader che ha posto fine alla guerriglia dei curdi. Questo aprirebbe alla ricomposizione magari federale della Siria, con annessi diritti per i curdi, e una stabilizzazione della regione autonoma curda in Iraq.

Si arriverà a qualcosa come il modello alto-atesino? Non si sa, certo il discorso questa volta sembra avviato e potrebbe produrre rilevanti novità: ovviamente per gli estremisti significherà che la pace si fa dando ragione al più forte, cioè ai turchi, ma è evidente che per molti altri si potrà dire che se i deboli non cedono all’ estremismo, ma ci rinunciano, possono conseguire diritti. Forse è quello di cui si è convinto Ocalan, dopo decenni terribili.

La svolta curda arriverà? Lo sapremo tra poco, il 15 febbraio. Se non ci fosse però non sarebbe scontato il fallimento. C’è una data di riserva, l’imminente capodanno curdo, che ricorre nel giorno del solstizio di primavera. Forse anche questa indicazione ci dice che questa volta Ocalan è convinto che si debba voltare pagina.

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