
Con una decisione drastica e discutibile i servizi di sicurezza ucraini hanno sottoposto alla firma del presidente Volodymir Zelensky (2 luglio) la revoca della cittadinanza al vescovo e primate Onufrio, capo della Chiesa ortodossa ucraina (non autocefala, della tradizione russa).
La polizia ha appurato che Orest Berezovski (mons. Onufrio) «ha ottenuto volontariamente la cittadinanza della Federazione russa nel 2002 senza informare gli organi competenti dell’amministrazione ucraina». Il vescovo viene accusato di mantenere legami con il patriarcato di Mosca, di opporsi all’indipendenza canonica della sua Chiesa e, nonostante la guerra in atto, di sostenere l’indirizzo della Chiesa ortodossa-russa, gravemente compromessa nel consenso alla guerra contro l’Ucraina.
Giustificando l’aggressione militare e il progettato genocidio del popolo ucraino «contribuisce all’azione criminale della dirigenza politica del Paese aggressore».
Alcuni giorni dopo (8 luglio) i servizi di sicurezza nazionale hanno motivato la decisione sottolineando che, negli statuti della Chiesa ortodossa ucraina non autocefala, vi sono norme funzionali e subordinate al Patriarcato di Mosca. Quest’ultimo avrebbe un diritto di condizionamento del governo della metropolia di Onufrio, le cui decisioni di autonomia del 27 maggio 2022 appaiono insufficienti.
Così ha commentato Zelensky: «Continuiamo il nostro leale lavoro nei confronti di diverse persone che mantengono collegamenti con la Russia. Personaggi politicamente influenti, con passaporto russo, contrari all’indipendenza anche spirituale dell’Ucraina, che sostengono e giustificano l’attacco al nostro Paese».
Gli ecclesiastici della Chiesa non autocefala sottoposti a procedimenti giudiziari sono un centinaio, 18 di questi, fra cui alcuni vescovi, sono stati privati della cittadinanza. Il provvedimento impedisce di viaggiare all’estero, ogni diritto di proprietà, conti bancari, rappresentanze pubbliche e assistenza sociale.
Il passaporto
Cancellare la cittadinanza è a rischio di incostituzionalità, anche se l’emergenza guerra e una sentenza della Corte costituzionale sembrano legittimare la sanzione. L’accusa a Onufrio di possedere un passaporto russo nasce da un’inchiesta giornalistica del 2023 (Ukrainska Pravda) a cui il primate ha risposto: «Non mi considero un cittadino russo».
Ha ricordato i suoi studi teologici a Mosca negli anni Settanta in ragione del rifiuto che gli era stato opposto di poterli fare a Odessa (Ucraina). Dopo averli portati a compimento ed essere diventato monaco, è rimasto nella laura della Trinità di San Sergio (Russia sovietica) per 19 anni.
Ricorda con riconoscenza quel periodo e le figure spirituali che l’hanno accompagnato. Nel 1988 è stato trasferito alla laura della Dormizione ai Pochaev (Ucraina), chiedendo un passaporto ucraino. Nel frattempo, quello russo veniva automaticamente rinnovato e questo non faceva problema a nessuno. Ma quando, dopo la rivoluzione «arancione» del 2014, le tensioni fra i due Paesi hanno cominciato a guastarsi «ho abbandonato la mia cittadinanza russa. Non ho alcun passaporto russo. Tutto confermato dalle mie prese di posizione contro l’aggressione russa all’Ucraina che ho subito condannato. Mi considero unicamente ucraino».
«Condanno la guerra russa contro l’Ucraina e la considero come una vergogna per gli angeli e gli uomini, ma resto profondamente riconoscente ai russi che mi hanno accettato (nel tempo degli studi), mentre le autorità ucraine mi dissero di no. Sono riconoscente a Dio di aver incontrato in Russia personalità amabili, sincere, amanti di Dio alle quali vorrei ancora oggi rassomigliare».
Direttive coerenti
I servizi di sicurezza ricordano la sua battaglia intra-ecclesiale contro lo «scismatico» Filarete, che, dagli anni Novanta, ha perseguito l’autocefalia, finalmente concessa dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel 2018-2019 e duramente rifiutata da Onufrio. Come ricordano le manifestazioni pubbliche con imponenti pellegrinaggi e processioni per contrastare il crescente orientamento filo-occidentale del Paese nel decennio scorso.
Ma non si possono ignorare, a fronte della mancata denuncia di vescovi e pope palesemente fiancheggiatori filo-russi, la sua dura condanna dell’invasione nel giorno stesso in cui è iniziata, le decisioni di modifica degli statuti nel Concilio del maggio del 2022, che arrivano sul limite della proclamazione della totale indipendenza, la coerenza delle sue direttive successive.
Due anni dopo l’invasione, Onufrio definisce la guerra un «atto peccaminoso» da parte russa. «La mia Chiesa sostiene lo Stato e il nostro popolo nelle parole e nelle opere […]. Lo facciamo non per piacere a chicchessia, o per dar prova di qualche cosa. Lo facciamo perché il dovere di difendere la patria è uno dei principi più importanti nella vita del cristiano».
Parole confermate l’anno successivo: «Le coraggiose armate ucraine nelle cui file combattono i credenti della Chiesa ortodossa (non autocefala) difendono con coraggio le frontiere del nostro Stato». Denuncia le vessazioni subite dalla sua comunità nei territori già occupati dai russi (cf. qui).
Si pronuncia contro la legge che richiede alla sua Chiesa un totale distacco, anche canonico, dalla Russia (cf. qui). Ribadisce recentemente (3 giugno): «Dobbiamo sempre ricordare che le questioni di natura teologico-canonica non si risolvono con metodi politici». «Sono convinto che la politica religiosa (del Governo) dovrà essere riconsiderata, perché non porta niente di costruttivo e positivo se non dei problemi per il popolo sia all’interno sia all’esterno del Paese».
«Dopo il 27 maggio 2022 non facciamo più parte del Patriarcato di Mosca. Il Concilio ha chiaramente espresso l’aspirazione della nostra Chiesa a un’indipendenza canonica completa. Attualmente, noi già possediamo tutti gli attributi di una tale indipendenza»: dalle questioni interne alla scelta dei vescovi e del primate, dall’apertura di nuove diocesi all’estero alla preparazione del sacro crisma.
Un appello
Affermazioni che sembrano non convincere un Governo teso allo spasimo nella difesa militare e che non trovano conferma e sostegno nelle due altre Chiese importanti del Paese: la Chiesa autocefala e la Chiesa greco-cattolica. Il pieno sostegno della Chiesa russa e serba suona prevedibile e troppo interessato, funzionale al drammatico isolamento di una comunità che sarà comunque necessaria per la ricostruzione della nazione dopo la guerra.
In una lettera aperta dell’intero episcopato della Chiesa non autocefala (9 luglio) si legge:
«Sua beatitudine, il metropolita Onufrio, non è solo il primate della Chiesa che serve Dio e unisce milioni di cittadini ucraini, ma è anche un pastore che, dall’inizio della guerra, ha mostrato chiaramente una posizione non ambigua, risoluta e responsabile. Fin dalle prime ore dell’invasione delle truppe russe sul territorio ucraino ha pubblicamente condannato l’evento e ha chiamato i fedeli alla preghiera e alla difesa della patria. È restato al suo posto con il suo gregge e ha benedetto le armate ucraine in difesa della patria […] In questo momento, in piena guerra, il nostro popolo e il nostro Paese hanno particolarmente bisogno di pace, di concordia, di unità e non di dissensi. Milioni di parrocchiani della nostra Chiesa che amano e rispettano il loro primate costituiscono una parte non eliminabile della società ucraina. Per questo chiediamo a lei, signor presidente, di ristabilire la giustizia. Sarà non solo la manifestazione della forza dello Stato, ma anche il segno della sua saggezza».





