Cosa si può fare perché il Califfato (IS/Daesh) non si espanda ulteriormente e venga progressivamente rimosso come è successo nel 1898 al movimento fondamentalista Mahiyyah del Sudan? Le risposte di uno studio di Charles Lister (Profilo dello stato islamico, Brookings Dooha Center analysis paper, 11/2014) sono ancora attuali: – contrastare la forza finanziaria del Daesh; – neutralizzare la sua capacità di mobilitazione militare; – chiarire la sua struttura di comando e di controllo; – delegittimare il suo uso dei media; – stabilizzare politicamente l’area siriana e irachena. A queste preoccupazioni di tipo immediatamente politico vanno aggiunte: – una comprensione più accurata dei riferimenti religiosi; – la conferma di un dialogo del cristianesimo col mondo islamico per invalidare l’uso e il ricorso alla violenza.
Uno stato terrorista
Jacques Murad racconta ai fedeli e agli amici romani i suoi 83 giorni di prigionia a Raqqa, uno delle maggiori città del Califfato (Daesh) e della sua avventurosa fuga dal paese, quando si è accorto che la sua permanenza avrebbe giustificato la pretesa dei fondamentalisti di far pagare ai cristiani la tassa (jizya) per poter vivere nelle proprie terre (Il giornale 14 gennaio). Il giorno dopo appaiono sui media italiani le foto di alcuni siti archeologici, documentando la distruzione avvenuta. Al posto di moschee e monumenti vi sono piazze per parcheggi o edifici in costruzione. Nello stesso giorno il governo turco attacca e bombarda 500 obiettivi del Daesh facendo 200 vittime fra gli jihadisti, tra cui alcuni esponenti di rilievo. L’operazione militare è la risposta turca all’attentato dell’11 gennaio che ha fatto 10 vittime fra i turisti nella piazza Sultanahmet di Istambul. Sabato 16 gennaio il Daesh attacca i quartieri di Deir Ezzor che ancora resistono, massacra 300 civili e sequestra 400 fra donne e bambini trasferendoli a Raqqa, divenuta la capitale del Daesh in Siria. Per farne «vittime». La violenza della guerra nell’area fra Siria e Iraq degli ultimi anni è proseguita nel 2015 ingrossando le file dei profughi e dei migranti, in particolare verso l’Europa. Parte di quei 60 milioni di persone che nel mondo sono state costrette a fuggire dalla loro case. I profughi in Europa nel 2015 sono ormai un milione e le richieste di asili, anche in Italia, in forte aumento (64.000 nel 2014).
I rapporti fra questi brandelli di informazione che ci giungono rimandano al complicato quadrante del Medio Oriente (cf. Sett. 24/2015 p. 1; 36/2015 p. 12; 27/2015 p. 1). Ci possono essere di aiuto due studi relativamente recenti: «Profilo dello stato islamico» di Charles Lister (Brookings Doha Center analysis paper, novembre 2014; citerò dalla traduzione di Pier Paolo Bastia, gennaio 2016) e («Iconoclasme en Jihadie». Una riflessione sulle violenze e distruzioni culturali dello stato islamico, di Olivier Moos, www.religion.info, dicembre 2015).
Il consenso
Del primo studio riprendo le pagine dedicate alla struttura e al funzionamento dello stato islamico che il 5 luglio del 2014 ha visto Abu Bakr al-Baghdadi celebrare l’avvio del califfato. Il Daesh «non deve essere pensato come un semplice gruppo terroristico, ma di fatto una evoluzione qualitativa del modello di Al Qaeda. Non solo la sua strategia militare è proiettata e realizzata più professionalmente, ma incorpora anche un modello pratico di governo sociale che si è dimostrato sorprendentemente efficace in ambienti instabili».
Può contare su 31.000 combattenti e il controllo di un ampio territorio. Gli interventi aerei americani, francesi e russi, oltre agli scontri di terra con l’esercito iracheno, i militanti curdi e truppe provenienti dall’Iran e altri paesi confinanti, hanno contenuto, ma non interrotto la sua espansione. Grazie a incursioni e occupazioni possiede sistemi d’arma efficaci, come carri armai, blindati, artiglieria, missili anticarro, cannoni anti-aerei ecc. Due le categorie fondamentali delle operazioni militari del Daesh. La prima, di tipo terroristico, è costituita dagli attentati urbani di massa che hanno interessato soprattutto l’Iraq gli sciiti, gli alawiti e gli altri gruppi minoritari. Sono piccole cellule di guerriglieri del posto che hanno alle spalle finanziamenti a una struttura militare. Il compito è di mettere in difficoltà il governo di Bagdad, colpendo le minoranze eterodosse e non islamiche per creare un consenso alla propria immagine di protettore efficace degli ideali sunniti veri e puri. Il secondo tipo di strategia è la campagna concertata su aree tendenzialmente favorevoli con una vera e propria occupazione territoriale. Così è successo a Mossoul, ripetutamente attaccata, con minacce dirette ai militari governativi per cambiare di casacca, la formazione di una sorta di autorità ombra e un offensiva finali che in 24 ore ha premesso di avere il controllo della città. Durissima la repressione iniziale per azzerare qualsiasi resistenza per poi promuovere una regolamentazione civile coerente con l’ideologia del Daesh. Le alleanze con fazioni e dinamiche locali (anche tendenzialmente oppositive) e la regia di figure di alto rilievo nell’esercito di Saddam. I governatori di Tikrit e Mossoul sono ex-generali baathisti.
Dal punto di vista della politica interna il Daesh opera come una organizzazione strettamente controllata e burocratica. «Un aspetto della struttura interna e dei meccanismo di formazione delle politiche del Daesh che si è dimostrato decisivo per consentirne l’espansione è la produzione di reddito. Il Daesh si è quasi interamente autofinanziato almeno dal 2005». La risorsa più produttiva è la vendita del petrolio siriano e iracheno. Nel 2014 ha piazzato sui mercati illegali 70.000 barile di petrolio al giorno che, alla fine dell’anno, significa 1.100 milioni di dollari. Altre risorse con il mercato agricolo, il cotone, l’acqua e l’elettricità. Anche i rapimenti mirati sono fonte di reddito così come la vendita degli oggetti d’antiquariato sottratti ai musei e ai siti archeologici. È attivo anche un sistema fiscale alimentato da una tassa sui autocarri che muovono prodotti alimentari o di elettronica: dai 300 ai 400 dollari per ogni carico. Questo ha permesso di garantirsi la lealtà dei clan locali e di fornire cibo, sussidi e trasporti per molti a prezzi contenuti se non gratuiti.
Sharia
Il governo è fortemente coeso attorno alla figura centrale i Abu Bakr al-Baghdadi che ha un consulente personale, due delegati diretti per Siria e Iraq, un gabinetto di otto persone e un consiglio militare di 13. Attraverso personaggio del vecchio governo e del vecchio esercito ha mostrato una efficacia di governo in zone instabili di significativo rilievo, sfruttando i diversi malcontenti, alimentando l’amministrazione locale (polizia, affari, reclutamento) e servizi sociali molto più distribuiti delle precedenti amministrazioni. Le nuove legislazioni locali fanno rigoroso riferimento alla sharia islamica con il ritorno delle punizioni, il rispetto delle cinque preghiere quotidiane, il divieto di droghe, alcool e tabacco, il controllo dell’aspetto personale, il divieto dell’azzardo, della musica, la distruzione dei santuari religiosi ecc. La tassa sui dhimmi pongono le minoranze tollerate in una cittadinanza di seconda classe. Alawiti e yazidi sono considerati politeisti, quindi possono essere fatti schiavi. «In ultima analisi, il progetto politico del Daesh si basa sulla creazione di uno stato islamico sunnita e, di conseguenza, i non sunniti godono di diritti minimi, se pure ne hanno alcuno».
Di grande interesse la strategia comunicativa. Ad agosto del 2014 il Daesh ha superato qualsiasi altro gruppo militante su Twitter, garantendo comunque ampia diffusione ai suoi contenuti informativi. Fino a sfruttare hashtag affiliate alla coppa del mondo del giugno 2014 come veicolo per le sue comunicazioni. La rivista Dabiq, pubblicata in inglese, utilizza un doppio registro tradizionale («attraendo» e «terrorizzando») con una accurata rete di richiami agli haditdel profeta e una forte accentuazione di temi come la guerra, l’afflato escatologico, la rimozione di ogni «zona grigia» fra consensi e dissensi, appartenenti e nemici.
Il tema della comunicazione può aprire la riflessione sull’iconoclastia del Daesh e la distruzione del patrimonio storico. Ne scrive O. Moos nello studio già citato, mettendo in stretta relazione l’omicidio rituale del nemico (è il caso delle uccisioni di ostaggi occidentali per sgozzamento) con la distruzione del patrimonio culturale antico: «L’omicidio rituale partecipa della stessa logica della distruzione del patrimonio storico in Iraq e Siria. Omicidio rituale e distruzione culturale servono come sigillo identitario e sacralizzazione dello spazio».
Violenza, rito e iconoclastia
La distruzione dell’arco romano di Palmira, delle tombe dei sufi o delle chiese cristiane, come il saccheggio del museo di Mossoul, dell’antica città di Hatra e, nel 2001, dei Buddha giganteschi di Bamyan da parte dei talebani, rispondono alla medesima logica religiosa, simbolica e comunicativa. Quella cioè di marcare la sovranità e il possesso di territori fisici e come immagine di un potere islamico della fine dei tempi (il califfato). L’iconoclastismo antico si sposa con obiettivi di natura identitaria, politica e religiosa (contro l’eresia sciita e l’idolatria nazionalistica). L’arrivo dell’età dell’oro o della fine dei tempi richiede la violenta purificazione di territori e persone. «La pratica di una violenza estrema secerne una miscela di potenza e trasgressione agendo come strumento di seduzione per eccellenza di una propaganda che riprende codici estetici e visivi moderni, indirizzandosi, in maniera sproporzionata, all’attenzione dell’Occidente». Il califfato trascende razze, culture e nazionalità attraverso una violenza che è parte integrante della sua identità.
La tradizionale condanna islamica dell’arte figurativa come potere creativo proprio solo ad Allah e come timore che possa aprire al politeismo e alla venerazione degli idoli si sposa con un linguaggio identitario. Esso colpisce il patrimonio artistico che caratterizza un territorio come anche il consenso occidentale alla sua qualità e rilevanza. L’idea stessa di patrimonio culturale che è specifica dell’Occidente è investita dalla violenza distruttrice esattamente come l’uccisione rituale.
L’iconoclastia del Daesh «è una miscela fra considerazione secolarizzate e teologiche che la conduce a identificare un insieme di costruzioni e di oggetti la cui funzione o identità può essere religiosa, storica, politica o culturale, come parte di una stessa deviazione, cioè l’essere segno di una alterità perturbante il fantasma della purità. La moschea di tradizione sufica e il posto di frontiere fra Iraq e Siria manifestano la stessa eresia».